Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21660 del 14/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 21660 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 4536-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
2015

contro

PULITO ANTONIO C.F. PLTNTN67S22L049Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 18,
presso lo STUDIO LEGALE GREZ, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 14/10/2014

dall’avvocato FRANCESCO BLASI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

269/2007 della CORTE D’APPELLO

DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO, depositata il
11/02/2008 R.G.N. 257/2006;

udienza del

05/06/2014

dal Consigliere Dott. GIULIO

MAISANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’ 11 febbraio 2008 la Corte d’appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, in riforma della sentenza del Tribunale di Taranto
depositata il 19 luglio 2005, ha dichiarato la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro stipulato tra Poste Italiane s.p.a. e Pulito Antonio dal 10

tra le parti era intervenuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con
decorrenza e on la condanna di Poste Italiane al pagamento delle
retribuzioni a decorrere dalla messa in mora e cioè dalla formale messa a
disposizione delle energie lavorative individuata nella data di ricezione
della lettera del 20 febbraio 2003. La Corte territoriale ha motivato tale
decisione escludendo preliminarmente la risoluzione consensuale del
rapporto in mancanza di atti precisi contrari alla volontà di proseguire il
rapporto stesso, non essendo all’uopo sufficiente la semplice inerzia del
lavoratore protrattasi nel tempo. La stessa Corte d’appello ha poi
considerato che il contratto di lavoro in questione era stato stipulato oltre il
termine di efficacia dell’accordo sindacale che consentiva l’apposizione del
termine stesso. In ordine alle conseguenze economiche la Corte territoriale
ha considerato quale formale messa a disposizione della prestazione
lavorativa la nota del lavoratore ricevuta da Poster Italiane in data 20
febbraio 2003, e da tale data ha riconosciuto le retribuzioni a titolo di
risarcimento del danno.
Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza
affidato a cinque motivi illustrati da memoria.
Resiste il Pulito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

settembre 1999 al 30 ottobre 1999, con la conseguente dichiarazione che

Con il primo motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione
degli artt. 1372, comma 1 e 2 cod. civ., nonché omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, e nullità del procedimento con riferimento all’art. 360, nn. 3, 4 e 5
cod. proc. civ. In particolare si sostiene che il rapporto si sarebbe

quattro anni fra la sua cessazione e la richiesta del lavoratore di
dichiarazione della nullità del termine, ed il comportamento inerte del
lavoratore protrattosi per così lungo tempo, avrebbe causato un ragionevole
affidamento della società comunque meritevole di tutela.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli
arti. 1362, 1363 e seguenti cod. civ. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art.
360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. con riferimento al ragionamento del giudice
dell’appello relativo all’asserito limite temporale alla previsione della
possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di
diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art.
360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla necessità, anche per il motivo
di apposizione del termine riferito alla sostituzione dei lavoratori in ferie,
della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1, comma 2 della legge n. 230
del 1962.
Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di
diritto, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360,
nn. 3 e 4 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata considerazione del
difetto di prova del danno subito per l’illegittima apposizione del termine,
nel riconoscimento delle retribuzioni.

comunque risolto per mutuo consenso stante la distanza temporale di ben

Con il quinto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod.
proc. civ. con riferimento alla mancata considerazione dell’aliunde
perceptum nonostante la tempestività della relativa eccezione.
Il primo motivo è infondato. Come questa Corte ha più volte affermato “nel

rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario
che sia accertata, sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la
conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento
tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative, una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono
vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10 novembre 2008 n. 26935, Cass.
28 settembre 2007 n. 20390, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554, Cass. 11
dicembre 2001 n. 15621, nonché da ultimo Cass. 11-3-2011 n. 5887). Tale
principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre che, come
pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la
risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2 dicembre 2002
n, 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279). Orbene
nella fattispecie la ricorrente non ha dedotto alcun elemento di fatto da cui
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro, pretendendo di dedurre o
presumere dal solo trascorrere del tempo la volontà risolutiva in questione.

giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico

Il secondo motivo è pure infondato. Osserva il Collegio che la Corte di
merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in
esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del
CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997,
in data successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla operatività del

autorizzatoria”. Tale considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato
in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente
a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine
apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo
2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi
casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzìa per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde,
pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento
fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20
aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della

CCNL del 2001), in epoca cioè in cui “era venuta meno la contrattazione

disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità

2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere il motivo di ricorso in esame
relativo al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a termini
delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Il terzo motivo è infondato sebbene vada rilevata l’erroneità
dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il datore
di lavoro, nel contratto a termine giustificato dalla sostituzione di lavoratori

della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto

assenti con diritto alla conservazione del posto, avrebbe il dovere di
precisare il nominativo del lavoratore sostituito. La questione, nel caso in
esame, è comunque superata dall’epoca della stipulazione del contratto
successiva, come detto, a quella contrattualmente stabilita per la possibilità
del ricorso al contratto a termine.

risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto
si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia,
senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass.
4 gennaio 2001 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di
inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata
di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es.
Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come
inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche
precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la
cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione
del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto
imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie”
(v. Cass. S.U. 30 ottobre 2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito
integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della
questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7 aprile 2009
n. 8463). Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la
illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza
in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da
parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente indichi se e
in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) sia

Il quarto motivo è inammissibile per carenza di valido quesito di diritto. (19-

stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass.
15 febbraio 2003 n. 2331, Cass. 10 luglio 2001 n. 9336).
Il quinto motivo è pure inammissibile per la sua genericità non essendo in
alcun modo indicata la censura relativa all’aliunde perceptum di cui si
lamenta il mancato esame.

e vanno distratte al procuratore del contro-ricorrente dichiaratosi
anticipatario.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in €
100,00 oltre € 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge
da distrarsi in favore dell’avv. Francesco Blasi.
Così deciso i Roma il 5 giugno 2014.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza

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