Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2166 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. II, 31/01/2011, (ud. 20/10/2010, dep. 31/01/2011), n.2166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11208-2005 proposto da:

D.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA BELISARIO 6, presso lo studio dell’avvocato NATALE CARLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RIZZO CORRADO;

– ricorrente –

contro

G.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 131, presso lo studio dell’avvocato IANNELLI

ANTONINO, rappresentato e difeso da se medesimo; G.T.R.

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

131, presso lo studio dell’avvocato IANNKLLI ANTONINO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAZZARA SANTI;

– controricorrenti –

e contro

G.G. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 73/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 03/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2010 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- I signori G. e G.T. chiedevano al Tribunale di Messina il rilascio del fondo di cui erano proprietari nei confronti di D.L., già fidanzata del loro nipote e figlio, che l’aveva ricevuto in comodato e che l’aveva già rilasciato. La signora D. era rimasta nella detenzione del bene senza alcun titolo. Costituitasi la D. affermava di aver realizzato opere e miglioramenti per circa L. 300 milioni e, quindi, chiedeva riconoscersi il suo diritto alla ritenzione del fondo fino al rimborso di tale somma per la quale avanzava domanda riconvenzionale.

Il giudice di primo grado, a richiesta degli attori, emetteva ordinanza ex art. 186-quater c.p.c., decidendo la causa relativa al rilascio (accogliendola) e rimettendo la causa sul ruolo per la riconvenzionale, in relazione alla quale erano stati chiesti termini ex art. 183 c.p.c., comma 5.

2. La Corte d’appello, adita dalla D., con la sentenza n. 73 del 2005, rigettava l’impugnazione, osservando, per quanto ancora interessa in questa sede, sui sette motivi di appello, quanto segue.

Correttamente il giudice di prime cure aveva pronunciato sentenza ex art. 186-quater c.p.c. in esito all’udienza di trattazione, senza assegnare termini e senza attività istruttoria, avendo ritenuto matura per la decisione la causa relativa al rilascio del fondo e ben potendo pronunciare separatamente sulle due domande stante la loro sostanziale indipendenza. Nel merito rilevava la Corte che, dalla stessa ammissione dell’appellante ( D.), l’ingresso nel fondo era avvenuto in virtù del suo fidanzamento con G.S. e, quindi, non in virtù di un potere reale autonomo e che, inoltre, la sua permanenza sul fondo si era protratta, dopo lo scioglimento del loro rapporto sentimentale, come risultava dalle lettere in atti e dalla sua stessa difesa in giudizio. Il vantato diritto alla ritenzione del bene era solo a garanzia del preteso diritto di credito relativo all’indennità per i miglioramenti e non a tutela del potere reale di fatto sul fondo. La Corte territoriale giudicava poi inammissibili gli altri quattro motivi perchè attinenti alla domanda per la quale era stata disposta la prosecuzione del giudizio di primo grado. Rilevava in definitiva la Corte “l’insussistenza alla stregua delle risultante in atti di possesso, tanto poco di buona fede, ai sensi dell’art. 1147 codice civile in capo alla D.”.

Era poi rimasta esclusa la addotta, in via subordinata dalla D., qualità di affittuario del G.S., in ragione sia della sua diversa attività lavorativa (di avvocato) e sia per essere stato tale rapporto negato dalle parti interessate.

3. – La D. impugna tale sentenza articolando quattro motivi.

Resistono con controricorso G.R.T. e G.S..

Nessuna attività in questa sede ha svolto invece G.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Motivi di ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 anche in relazione agli artt. 186-quater, 183, 184 e 187 c.p.c. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: difetto di motivazione”. Alla prima udienza di trattazione dell’11 ottobre 2001, a fronte della richiesta dell’odierna ricorrente di depositare memoria di cui all’art. 183, comma 5, il Tribunale emetteva ordinanza ex art. 186- quater, senza concedere i termini richiesti e senza che fosse chiusa la fase di trattazione, nè che fosse esaurita l’istruzione e senza che vi fosse stata la precisazione delle conclusioni. La Corte territoriale non aveva rilevato tali enunciati errori.

1.2 – Col secondo motivo di ricorso in relazione alla violazione degli artt. 186-quater, 183, 184 e 187 c.p.c. viene dedotta la violazione di legge anche sotto il profilo di cui all’art. 345 c.p.c., oltre che difetto di motivazione. Avendo il primo giudice deciso senza prove circa la dedotta qualità di possessore della ricorrente con il conseguente diritto alla ritenzione del bene, la Corte territoriale avrebbe dovuto, quanto meno, consentire alla parte le facoltà previste dall’art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 184 c.p.c..

1.3 – Col terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1152, 1147 e 2730 ss. c.p.c., nonchè difetto di motivazione. La Corte territoriale, infatti, pur dichiarando inammissibili i motivi di appello relativi alla qualificazione del possesso, aveva affermato nel merito che non sussisteva l'”animus possidendi” in virtù di una dichiarazione contenuta in una lettera che la ricorrente aveva inviato al suo fidanzato (nella quale affermava di sentirsi ospite), senza considerare l’intero contesto della missiva e le sue specifiche finalità (trovare un accordo), nonchè le ammissioni che al riguardo avevano formulato i proprietari del terreno in ordine alle opere eseguite sul fondo che dimostravano, invece, che l’odierna ricorrente da tempo agiva nel fondo per conto e in nome proprio. Del resto le consistenti trasformazioni del fondo operate, e le intestazioni delle utenze erano del tutto note ai proprietari ed erano attività incompatibili con un rapporto di mero precario, oltre tutto durato oltre sette anni.

1.4 – Col quarto motivo infine la ricorrente lamenta “violazione falsa applicazione dell’art. 360, n. 3, anche relazione all’art. 186- quater c.p.c., artt. 279 e 31 e ss. c.p.c., art. 103 c.p.c., comma 2 e art. 104 c.p.c., comma 2 e dell’art. 1152 c.c.. Violazione dell’art. 360, n. 5: Difetto di motivazione”. La Corte territoriale aveva, infine, errato nell’affermare “la sostanziale indipendenza della domanda riconvenzionale (indennità per miglioramenti e diritto di ritenzione) rispetto alla domanda di rilascio del fondo detenuto senza titolo”. Tale affermazione, fatta allo scopo di giustificare la “diacronica” pronuncia sulle domande, risultava infondata, per aver comunque la Corte territoriale invertito l’ordine delle questioni, posto che la domanda riconvenzionale poneva una questione preliminare: la pronuncia sul diritto di ritenzione, la cui esclusione poteva permettere l’accoglimento della domanda di immediato rilascio. Il primo giudice si era implicitamente su ciò pronunciato.

2. – Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1 – Occorre in via generale osservare che il provvedimento ex art. 186-quater c.p.c. può essere adottato dal giudice su richiesta di parte con riferimento anche ad una sola delle plurime domande proposte (Cass. 2002 n. 9379), oppure nel caso in cui sia stata avanzata una domanda riconvenzionale (Cass. 2002 n. 2084), dovendosi in quest’ultimo caso applicare le norme di cui gli artt. 36, 35 e 34 c.p.c., quanto al rapporto fra domanda attorea e domanda riconvenzionale. Qualora sia competente per entrambe le domande il giudice adito, la pronuncia dell’ordinanza ex art. 186-quater sulla sola domanda attorea richiede la separazione della cognizione delle stesse, senza che ciò violi principi fondanti del processo, come la parità tra le parti (tra attore e attore in via riconvenzionale). Il provvedimento di separazione delle domande è discrezionalmente adottato dal giudice istruttore e non è sindacabile. Il presupposto della separazione – nel caso di giudice competente per entrambe le domande – si poggia sulla diversa – ritenuta – situazione probatoria riguardo ad esse, essendo evidentemente necessaria un’ulteriore istruttoria per la domanda non oggetto di decisione immediata.

L’ulteriore attività istruttoria non può che riguardare fatti diversi da quelli costitutivi o impeditivi posti a fondamento della decisione anticipatoria adottata per l’altra domanda. Quanto infine al momento in cui può essere adottata la pronuncia di cui all’art. 186-quater c.p.c., facendo la norma in questione riferimento nel suo incipit alla “esaurita l’istruzione”, occorre aver riguardo alle singole domande proposte, verificando per quella nella quale si adotti la pronuncia, che sia “esaurita l’istruttoria” e che appaia quindi “matura” per la decisione, non escludendo ovviamente la norma, ma anzi ricomprendendolo, il caso in cui la domanda si presenti sulla base degli atti (anche in ragione della posizione assunta dalle parti) priva di esigenze istruttorie (vedi al riguardo Cass. 2004 n. 17807 e, indirettamente, Cass. 2010 n. 5423). Ciò in conformità con la ratio posta a base di tale norma e in relazione agli effetti attesi di semplificazione ed accelerazione del processo.

2.2 Tanto premesso, con riguardo alla vicenda odierna, occorre rilevare che all’esito dell’udienza di trattazione il giudice unico del tribunale ha ritenuto che la domanda attorca fosse matura per la decisione in relazione alla posizione assunta, con riguardo alla situazione possessoria, dalla odierna ricorrente, allora convenuta, posizione asseverata dalla scrittura di sua provenienza prodotta in giudizio e non disconosciuta, che escludeva una situazione possessoria autonomamente tutelabile, poichè la sua detenzione del fondo era conseguenza esclusiva del rapporto sentimentale esistente con G.S., comodatario, essendo il rapporto in questione venuto meno da tempo. La domanda riconvenzionale di restituzione delle spese effettuate sul fondo richiedeva accertamenti in ordine alle spese e non alla qualificazione del possesso. Di qui l’esclusione del preteso diritto alla ritenzione (art. 1152 c.c.) del bene, riservato esclusivamente al possessore in buona fede, situazione questa non ricorrente nel caso di specie, essendo la odierna ricorrente, come risultava dalla sua posizione assunta in giudizio, ben consapevole di essere “ospite” nel fondo in questione.

Conseguentemente, la decisione assunta dalla corte territoriale appare corretta, essendo invece infondati tutti motivi di ricorso avanzati.

2.3 – Il primo motivo è infondato perchè, per la domanda di rilascio, la causa era “matura la decisione”, non essendo necessaria una istruttoria sul punto e non essendo richiesto un formale provvedimento di chiusura dell’istruzione o l’invito la precisazione le conclusioni, posto che la norma va interpretata come su esposto alla luce dei principi del giusto processo.

Il secondo motivo è pure infondato – per quanto su esposto – avendo il giudice dell’appello ritenuto corretta la scansione temporale processuale seguita dal giudice di grado in ordine all’adozione del provvedimento ex art. 186-quater c.p.c., motivando al riguardo, tale decisione appare conforme ai principi espressi in questa sede.

Infondato è anche il terzo motivo, posto che correttamente la corte territoriale ha ritenuto non applicabile l’art. 1152 c.c. (così come il primo giudice), riguardando tale norma il solo caso del possessore buona fede, tale non essendo, per sua stessa ammissione, l’odierna ricorrente che, come si è detto più volte, ha chiaramente indicato le ragioni per le quali si trovava sul fondo, ragioni che escludevano in radice la stessa ipotizzabilità di un autonomo possesso con diritto alla ritenzione. Infine è infondato anche l’ultimo motivo, dovendosi ritenere le due domande fondate su situazioni di fatto distinte e dovendosi escludere che per la domanda di rimborso di quanto speso sul fondo fossero necessari accertamenti sul possesso influenti sulla domanda attorca di rilascio del fondo, per quanto appena esposto in relazione al terzo motivo, tale situazione consentiva la separazione delle domande (così come disposto dal giudice di primo grado) e la decisione con l’art. 186-quater c.p.c. della domanda attorca a seguito di esplicita richiesta sul punto.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.800,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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