Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21657 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19571/2015 proposto da:

M.U., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

NOBILE;

– ricorrente –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 3, presso

lo studio dell’avvocato IGNAZIO MORMINO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 553/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.U. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 553/2015 della Corte d’Appello di Palermo, depositata il 14 aprile 2015.

Resiste con controricorso B.G..

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Con citazione del 22 settembre 2004 B.G., promissario acquirente di un appartamento sito in (OMISSIS), in forza di preliminare del 24 marzo 2004, convenne davanti al Tribunale di Palermo la promittente venditrice Me.Al., domandando l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre. Con ordinanza del 4 dicembre 2007 venne ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di M.U. (che si costituì) e di M.G., creditori muniti di ipoteca legale ex art. 2817 c.c., n. 2, per il pagamento dei conguagli sopra l’immobile assegnato ad Me.Al. nel giudizio di divisione. In seguito alla morte di Me.Al. nel (OMISSIS), M.U. e M.G. si costituirono in giudizio anche quali eredi e domandarono l’annullamento del preliminare per incapacità naturale di Me.Al., o in subordine la rescissione per lesione dello stesso.

Con sentenza del 12 aprile 2011 il Tribunale accolse la domanda di B.G., trasferendogli l’appartamento promesso in vendita e subordinando il pagamento del prezzo residuo di Euro 118.000,00 all’estinzione dell’ipoteca gravante sull’immobile; vennero invece dichiarate inammissibili le riconvenzionali proposte a seguito della riassunzione. Proposti appelli in via principale da M.U. e in via incidentale da M.G., gli stessi vennero respinti dalla Corte d’Appello di Palermo con la sentenza del 14 aprile 2015.

Va premesso che il ricorso per cassazione non è stato proposto anche nei confronti di M.G., litisconsorte necessaria che era stata già parte del giudizio nei precedenti gradi di merito. Tuttavia, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, può ritenersi superflua, poichè i motivi di ricorso appaiono “prima facie” infondati, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670).

I. Il primo motivo di ricorso di M.U. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2932,1100,1103,1116 c.c., art. 102 c.p.c., assumendo che il contratto preliminare del 24 marzo 2004 era stato stipulato dalla promittente venditrice Me.Al. che era però titolare di soli 4/6 dell’immobile, in quanto M.U. era titolare dei restanti 2/6 (avendo altresì acquistato la quota indivisa di M.G.). Essendo stata proposta da B.G. domanda ex art. 2932 c.c., nei confronti soltanto di Me.Al., il Tribunale avrebbe perciò dovuto integrare il contraddittorio.

La Corte d’Appello, riguardo tale eccezione, sollevata da M.U. in comparsa conclusionale del giudizio di gravame, ha ritenuto insussistente la necessità del litisconsorzio, sia per la natura personale dell’azione, sia perchè il Tribunale di Palermo, con sentenza di scioglimento di comunione ereditaria del 19 settembre 2001, aveva attribuito proprio ad Me.Al. la restante quota del 50% dell’appartamento di (OMISSIS).

Il primo motivo di ricorso è infondato, dovendosi solo correggere la motivazione adottata sul punto dalla Corte d’Appello.

M.U. si costituì nel giudizio di primo grado davanti al Tribunale di Palermo, essendo stata disposta nei suoi confronti l’integrazione del contraddittorio dapprima quale creditore ipotecario (dichiarandosi disponibile a consentire la cancellazione dell’ipoteca dopo il pagamento in suo favore della somma di Euro 15.613,92), e poi quale erede di Me.Al., a seguito della morte di quest’ultima.

Il ricorrente non ha dunque ragione di lamentare la mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti altresì nelle vesti di comproprietario del bene oggetto dell’azione ex art. 2932 c.c., promossa dal promissario acquirente.

Non è certamente necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nella qualità di comproprietario nei confronti di persona che sia già costituita in giudizio, sia quale creditore ipotecario che quale erede di una delle parti originarie, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (arg. da Cass. Sez. 1, 23/05/2008, n. 13411; Cass. Sez. 6-3, 07/05/2012, n. 6844).

E’ peraltro non oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e ciò condiziona rigidamente il devolutum del provvedimento gravato, la questione sostanziale della ammissibilità della sentenza ex art. 2932 c.c., che disponga il trasferimento dell’intero immobile, ove sia stato promesso in vendita un bene unitariamente considerato di proprietà del promittente venditore, e che invece risulti appartenente a più comproprietari in comunione pro indiviso.

II. Il secondo motivo di ricorso di M.U. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 183,115 c.p.c., artt. 428 e 1448 c.c., nonchè l’omessa e insufficienza motivazione circa un fatto controverso. Vi si sostiene che dalla documentazione prodotta già in primo grado all’atto della costituzione quali eredi di Me.Al. (due consulenze inerenti alla incapacità della stessa ed alla stima dell’immobile, che aveva un valore di Euro 280.250,00, a fronte di un prezzo convenuto in Euro 153.000,00) sarebbe stato doveroso per la Corte d’Appello accertare il vizio di capacità della promittente venditrice e così annullare il preliminare.

Si premette che il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza non è più configurabile nel nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Il secondo motivo di ricorso è comunque inammissibile, in quanto carente di specifica riferibilità alla ratio decidendi che la Corte d’Appello ha esplicitato con riguardo alla domanda di annullamento della promessa di vendita, avendo i giudici di secondo grado condiviso la valutazione di inammissibilità per tardività di tale domanda nuova proposta dagli eredi M. dopo la loro costituzione in giudizio.

Anche in tal caso, è comunque essenziale rimarcare come il secondo motivo di ricorso si limiti a ritenere “sufficientemente” provata la incapacità naturale di Me.Al. sulla base della documentazione genericamente richiamata, senza investire la questione processuale – che è stata dirimente per la Corte d’Appello – della preclusione contraria all’esperibilità della necessaria domanda di parte.

La sentenza impugnata parte dalla ineccepibile considerazione che l’erede, nella sua qualità di successore universale nella stessa situazione processuale giuridica del defunto, ex art. 110 c.p.c., non è titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo, sicchè, se a costui siano rimaste precluse, tali preclusioni valgono anche per il successore.

E’ vero però che all’erede dell’incapace di intendere e di volere spetta una legittimazione all’azione di annullamento ex art. 428 c.c., distinta da quella appartenente in proprio alla medesima persona autrice dell’atto, ed anzi che si acquista sol quando sia intervenuto il decesso del de cuius e l’istante ne sia divenuto erede (Cass. Sez. 2, 30 maggio 2017, n. 13659), sicchè la domanda di annullamento tardivamente proposta da M.U. e M.G. era quella loro attribuita in via originaria ed alternativa dal comma 1 della citata disposizione. Tale questione non è tuttavia oggetto di specifica censura e resta perciò del pari sottratta al sindacato di questa Corte.

III. Il terzo motivo di ricorso di M.U. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c. e l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso. Il ricorrente sostiene che l’incapacità in cui versava Me.Al. avrebbe dovuto indurre il Tribunale e la Corte d’Appello a procedere ai necessari accertamenti, anche d’ufficio, senza alcuna preclusione processuale.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 482 c.c. e art. 1442 c.c., comma 4, nonchè l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso. In questo motivo viene ribadito che la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio il difetto di capacità processuale di Me.Al..

Terzo e quarto motivo vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi.

Al riguardo, la Corte di Palermo aveva spiegato come l’incapacità processuale ex art. 78 c.p.c., fosse collegata alla incapacità legale di agire, e non alla mera incapacità naturale. Deve allora affermarsi, anche a conferma di un consolidato orientamento giurisprudenziale, che l’art. 75 c.p.c., nell’indicare le persone processualmente incapaci, si riferisce ai soli soggetti che siano stati privati della capacità di agire per effetto di una sentenza di interdizione o di inabilitazione, e che siano rappresentati o assistiti da un tutore o curatore, senza far menzione, invece, dei soggetti colpiti da incapacità naturale, che non risultino ancora interdetti o inabilitati nelle forme di legge; nè, pertanto, in relazione a questi ultimi, si pone l’esigenza per il giudice di un accertamento d’ufficio della capacità di intendere e di volere della persona che stia in giudizio (come auspica il ricorrente), posto che la “ratio” della disposizione dettata dall’art. 75 cit. si fonda, da un lato, sull’esigenza che ogni limitazione della capacità di agire, con le relative ricadute sul piano processuale, possa operare solo all’esito finale di uno specifico procedimento e, dall’altro, sull’altrettanto incontestabile esigenza di impedire il pericolo che ogni processo possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di situazioni di non sollecito ed agevole accertamento (cfr. Cass. Sez. L, 22/06/2002, n. 9146; Cass. Sez. L, 04/04/2002, n. 4834; Cass. Sez. 3, 01/02/1988, n. 910).

IV. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori ex art. 93 c.p.c..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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