Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21656 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20159/2015 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERTOLONI 26/B,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO MORRONE, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA 81,

presso lo studio dell’avvocato CARLO POLIDORI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MANRICO MARIA COLAZZA;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 4646/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

R.A. ha proposto articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 4646/2014 della Corte d’Appello di Roma.

Resiste con controricorso B.L., che però propone anche un “motivo autonomo di parte resistente”.

Con citazione del 17 giugno 2004, B.L. convenne R.A. davanti al Tribunale di Roma, domandando che venisse accertato che il box n. (OMISSIS), costituisse pertinenza dell’appartamento interno (OMISSIS), scala (OMISSIS), la cui nuda proprietà era stata acquistata dall’attrice in forza di contratto del 24 giugno 2002, al quale avevano partecipato anche P.A.M. e B.R., rispettivamente venditrice ed acquirente del diritto di usufrutto. Il Tribunale rigettò la domanda con sentenza del 25 agosto 2008. La Corte d’Appello di Roma ha invece parzialmente accolto il gravame spiegato da B.L., dichiarando che il box n. (OMISSIS) costituisce pertinenza dell’appartamento interno (OMISSIS) “ai sensi dell’art. 817 c.c.” e “con le conseguenze di cui all’art. 918 c.c., comma 1”. Ciò atteso che nell’atto del 10 dicembre 1996, con cui la Parsitalia s.r.l. aveva venduto ad R.A. la nuda proprietà e ad P.A.M. il diritto di usufrutto, era espressamente indicato anche il box numero tredici, e quindi, visto che appartamento ed autorimessa si trovano nello stesso edificio (OMISSIS) del Comparto (OMISSIS), località (OMISSIS), risultavano integrati i requisiti oggettivi e soggettivi della pertinenza ex art. 818 c.c..

R.A. ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Deve pregiudizialmente disattendersi l’eccezione di inammissibilità della procura della controricorrente, contenuta nella memoria di R.A.. La procura al difensore apposta a margine o in calce al ricorso o al controricorso deve infatti considerarsi conferita, salvo diversa volontà, per il giudizio di cassazione e soddisfa perciò il requisito di specialità previsto dall’art. 365 c.p.c.. La mancanza di data non produce nullità della procura, atteso che la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza gravata si ricava dall’intima connessione con l’atto al quale accede, nel quale la sentenza è menzionata (tra le tante, Cass. Sez. L, 05/11/2012, n. 18915). Il primo motivo di ricorso di R.A. deduce la nullità della sentenza e del procedimento per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di P.A.M. e B.R., le quali avevano partecipato al contratto del 24 giugno 2002 in veste, rispettivamente, di venditrice e di acquirente del diritto di usufrutto.

I.1. Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato.

Nel giudizio volto all’accertamento della sussistenza del rapporto di pertinenzialità tra due immobili, quali, nella specie, un appartamento ed un box, promosso dall’acquirente della nuda proprietà degli immobili nei confronti del venditore di essa, non sono litisconsorti necessari il venditore e l’acquirente del diritto di usufrutto, potendo semmai costoro intervenire in giudizio, in via adesiva, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., comma 2, dal momento che non si controverte affatto dell’esistenza dell’usufrutto, e l’eventuale esito della causa, limitativo del diritto di godimento dell’usufruttuario, non sarebbe che un effetto riflesso della limitazione del diritto del proprietario (arg. da Cass. Sez. 2, 08/11/1974, n. 3441; Cass. Sez. 2, 21/02/2019, n. 5147).

II. Il secondo motivo di ricorso di R.A. deduce la nullità della sentenza e del procedimento per vizio di ultrapetizione, avendo la Corte d’Appello riconosciuto tra il box n. (OMISSIS) e l’appartamento interno (OMISSIS) un vincolo pertinenziale “ai sensi dell’art. 817 c.c.” e “con le conseguenze di cui all’art. 918 c.c., comma 1”, mentre l’attrice aveva domandato di accertare il rapporto di pertinenzialità alla stregua della L. n. 765 del 1967, art. 18.

Il terzo motivo di ricorso di R.A. deduce la violazione e falsa applicazione della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18,L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 18 e 26, nonchè degli artt. 817 e 818 c.c.. La ricorrente assume che, essendo stato accertato che l’originario proprietario costruttore del fabbricato si era impegnato a destinare a parcheggio una determinata area, con l’atto d’obbligo sottoscritto ai fini dell’ottenimento della concessione edilizia, doveva trovare applicazione con riguardo alla fattispecie di causa la normativa speciale pubblicistica sul vincolo di destinazione, e non la disciplina codicistica delle pertinenze.

Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all’accertamento che il box oggetto di causa fosse un parcheggio “in eccedenza” rispetto agli standard minimi stabiliti dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies.

Il quinto motivo di ricorso deduce, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, in relazione alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18,L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 18 e 26. Sostiene la ricorrente che doveva gravare sull’attrice l’onere di dimostrare che l’area di parcheggio fosse vincolata, in quanto elemento costitutivo del diritto azionato.

II.1. Anche il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati. In particolare, tali censure si incentrano su un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione della questione giuridica per cui è causa, ma risultano comunque inidonee a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Quanto, in particolare, alla seconda censura, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda: ricorre, perciò, il vizio di ultrapetizione soltanto allorchè dalla pronunzia derivino effetti giuridici più ampi di quelli richiesti dall’attore.

Ne consegue che incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c., il giudice che ritenga esistere un vincolo pertinenziale tra due beni, quando lo stesso non sia stato dedotto o eccepito da alcuna delle parti in giudizio (Cass. Sez. 2, 05/12/1988, n. 6581; Cass. Sez. 2, 13/02/2006, n. 3069).

Viceversa, ove pure sia domandato dall’attore l’accertamento della sussistenza, con riguardo ad un box auto, del vincolo pubblicistico di destinazione di uso di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18 (ovvero di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies – prima dell’operatività della modifica L. n. 246 del 2005, ex art. 12, comma 9, il quale non può essere spezzato da atti di autonomia privata ed incide, per la sua natura cogente e inderogabile, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato), non incorre in ultrapetizione il giudice che ravvisi l’esistenza di una pertinenza alla stregua, però, dell’art. 817 c.c., in quanto tale soggetta al regime dell’art. 818 c.c. (come correttamente avviene, ad esempio, allorchè si tratti di box realizzato in area eccedente la misura minima legale degli appositi spazi per parcheggi): trattasi, infatti, di decisione comunque contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte, senza esulare dalla “causa petendi” posta a fondamento della pretesa.

Le restanti censure partono dall’assunto che il box acquistato in proprietà da R.A. con l’atto del 10 dicembre 1996 stipulato con la Parsitalia s.r.l. fosse compreso in quella determinata area da destinare a parcheggio individuata nell’atto d’obbligo intercorso tra la società costruttrice ed il Comune di Roma e nella correlata concessione edilizia. Del contenuto di tale documentazione la ricorrente non fa tuttavia specifica indicazione a sostegno dei rispettivi motivi di censura, secondo quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Se fosse stata raggiunta la prova che il box n. (OMISSIS) era effettivamente compreso in detto spazio destinato a parcheggio nei patti d’obbligo e nella concessione, la successiva stipulazione di atti di compravendita delle singole porzioni immobiliari, con espressa esclusione o mancata menzione del contestuale trasferimento della proprietà o del diritto reale d’uso sulla porzione pertinenziale, avrebbe portato alla dichiarazione di nullità di quegli atti per inosservanza delle richiamate disposizioni pubblicistiche, sia pur al limitato fine di far salvo il vincolo di destinazione a parcheggio.

Ove, invece, non risultasse dimostrato che il box rientrava nello spazio vincolato, proporzionato alla costruzione dell’edificio di (OMISSIS), secondo l’obbligo previsto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, esso poteva pure essere liberamente venduto, locato o formare oggetto di altri negozi giuridici, non costituendo pertinenza ai sensi della suddetta normativa speciale, il che però non escludeva che avesse assunto, eventualmente, la diversa natura di pertinenza alla stregua dell’art. 817 c.c..

R.A. aveva, quindi, acquistato, dalla Parsitalia s.r.l. con contratto del 10 dicembre 1996 la (nuda) proprietà dell’appartamento interno (OMISSIS), scala (OMISSIS) e del box n. (OMISSIS). Con atto del 24 giugno 2002 R.A. aveva poi venduto la (nuda) proprietà dell’appartamento interno (OMISSIS), scala (OMISSIS). L’art. 2 di quest’ultimo contratto precisava che l’immobile veniva venduto “con ogni accessione e pertinenza”. Nel contratto tra R.A. e B.L. (cui avevano partecipato anche P.A.M. e B.R., quali venditrice ed acquirente del diritto di usufrutto) mancava qualsiasi riferimento al box n. (OMISSIS) e tanto più un’espressa riserva di proprietà di esso in capo all’alienante o a terzi, come anche una clausola contraria al trasferimento dell’eventuale diritto reale di utilizzazione della L. n. 1150 del 1942, ex art. 41 sexies. La Corte d’Appello di Roma, dalle vicende circolatorie descritte, ha ritenuto che il box n. (OMISSIS) costituisse, in realtà, pertinenza dell’appartamento interno 2 in base alla nozione posta dall’art. 817 c.c., con la conseguenza di far applicazione dell’art. 818 c.c., comma 1, per cui gli atti aventi per oggetto la cosa principale devono intendersi tali da comprendere anche le pertinenze, se non sia diversamente disposto. A tale conclusione la sentenza impugnata è pervenuta valutando come nell’atto di provenienza del 10 dicembre 1996 R.A. avesse acquistato insieme dalla venditrice la nuda proprietà dell’appartamento e del box, trovandosi gli stessi nello stesso edificio (OMISSIS) del Comparto (OMISSIS).

Non avendo, dunque, accertato la sussistenza del vincolo di pertinenzialità necessaria inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui alla L. n. 765 del 1967, art. 18, la Corte d’Appello ha tuttavia reputato nella specie applicabile la disciplina ordinaria di cui agli artt. 817 c.c. e segg., secondo la quale, per l’esistenza del vincolo pertinenziale tra beni, è richiesta la sussistenza di un elemento oggettivo che, cioè, il bene sia destinato al servizio o all’ornamento di altro bene – e di un elemento soggettivo – che, cioè, tale destinazione risponda all’effettiva volontà dell’avente diritto di creare un vincolo di strumentalità necessaria o complementarietà funzionale tra i beni. In particolare, per affermare la configurabilità di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di alienazione e un’autorimessa (anche se, come nella specie, individuata in distinta particella catastale), è sufficiente accertare l’esistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dell’elemento soggettivo della destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volontà dei titolari della proprietà sui beni collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 17/06/1997, n. 5395).

L’accertamento del requisito soggettivo dell’appartenenza dominicale di entrambi i beni al medesimo soggetto, nonchè del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra le due cose, ai fini del quale la res accessoria deve arrecare un’utilità a quella principale, ovvero la verifica nella volontaria e permanente destinazione di uno dei beni al servizio dell’altro, comportano un giudizio di fatto che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Cass. Sez. 2, 02/03/2006, n. 4599; Cass. Sez. 1, 03/03/2011, n. 5143; Cass. Sez. 1, 16/05/2018, n. 11970).

E’ comunque coerente sotto il profilo logico ravvisare un vincolo pertinenziale tra un appartamento, bene principale, ed un box, quale cosa accessoria, qualora questi siano situati nello stesso palazzo ed entrambi gli immobili appartengano ad uno stesso proprietario (cfr. Cass. Sez. 1, 13/11/2009, n. 24104).

Il proprietario del bene principale e di quello costituente pertinenza, nel trasferire a terzi la proprietà del primo bene, può, in ogni caso, sempre riservarsi quella dell’altro, determinando in tal modo la cessazione del vincolo pertinenziale ai sensi dell’art. 818 c.c.. Anche siffatto accertamento di una esplicita volontà contraria, nell’ambito dei trasferimenti negoziali, alla permanenza della relazione di pertinenza costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, supponendo l’esame di tutte le clausole contrattuali (Cass. Sez. 2, 13/06/2002, n. 8468; Cass. Sez. 2, 10/05/2000, n. 6009).

Conformemente alla decisione adottata dalla Corte d’Appello di Roma, va quindi riaffermato che gli accessori pertinenziali di un bene immobile (nella specie, il box auto di un appartamento) devono ritenersi compresi nel suo trasferimento, anche nel caso di mancata indicazione nell’atto di compravendita, essendo necessaria un’espressa volontà contraria per escluderli (Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 634; Cass. Sez. 2, 15/12/2006, n. 26946).

III. Va infine ritenuto che non valga come ricorso incidentale il “controricorso” di B.L., avendo questa concluso per la “conferma” della sentenza della Corte d’Appello e l’annullamento della “sentenza del Tribunale” (per violazione dell’art. 106 Cost., comma 1, artt. 158 e 161 c.p.c., con riguardo al “difetto di giurisdizione e di costituzione del G.O.T. che aveva reso la pronuncia di primo grado).

Secondo l’interpretazione di questa Corte, un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, purchè, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c., in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza impugnata da controparte, specificamente prevista dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. Sez. U. 07/12/2016, n. 25045; Cass. Sez. 1, 21/10/2005, n. 20454).

In ogni caso, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito (nella specie, relative alla nullità della sentenza di primo grado per vizio di costituzione del giudice), ha comunque natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicchè, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. Sez. U, 25/03/2013, n. 7381).

IV. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente nell’ammontare liquidato in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori ex art. 93 c.p.c..

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori ex art. 93 c.p.c..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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