Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21655 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 29/07/2021), n.21655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8353/2014 R.G. proposto da:

Da Rosa di V.M. & C. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, V.M., P.R. e

V.V.A., elettivamente domiciliati in Roma, viale Parioli

n. 43, presso lo studio dell’avv. Francesco d’Ayala Valva, che li

rappresenta e difende unitamente all’avv. Antonino Palmeri, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione staccata di Salerno, n. 145/09/13, depositata il

29 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 ottobre 2020

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Udito l’avv. Antonino Palmeri per i ricorrenti e l’avv. Giammario

Rocchitta per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 145/09/13 del 29/04/2013, la Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 117/06/09 della Commissione tributaria provinciale di Avellino (di seguito CTP), che aveva, a sua volta, accolto il ricorso originariamente proposto da Da Rosa di V.M. & C. s.n.c., V.M., P.R. e V.V.A. (di seguito Da Rosa e soci) nei confronti dell’avviso di accertamento a fini IRAP e IVA, notificato nei confronti della società, e degli avvisi di accertamento a fini IRPEF, notificati nei confronti dei soci, tutti relativi all’anno d’imposta 2003.

1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento nei confronti della società era stato emesso al fine di rettificare, previo controllo della documentazione contabile, il reddito d’impresa dichiarato in applicazione della percentuale di ricarico media applicata da aziende similari, operanti nella medesima area geografica. Gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci, invece, comportavano una rettifica delle loro dichiarazioni IRPEF in ragione del maggior reddito da partecipazione, per come risultante dall’accertamento espletato nei confronti della società.

1.2. La CTR motivava l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate, con conseguente conferma degli avvisi di accertamento, osservando che: a) l’Ufficio aveva agito, in deroga al metodo analitico, utilizzando il metodo induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2; b) “le varie incongruenze riscontrate, la carenza della documentazione prodotta e la mancata suddivisione delle rimanenze di beni di consumo indispensabili per il normale svolgimento dell’attività esercitata non avevano consentito all’ufficio accertatore di effettuare un esame analitico delle quantità di beni di consumo utilizzate in rapporto alle somministrazioni effettuate; le scritture contabili erano inattendibili nel loro complesso mancando delle garanzie proprie di una contabilità sistematica e, pertanto, l’Ufficio è legittimato all’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)”; c) “l’Ufficio finanziario, raggiunta la prova presuntiva dell’an” – fondata sull’inverosimiglianza del rapporto complessivo tra merci acquistate/impiegate nella produzione e prodotti rivenduti, desunta presuntivamente dalla mancanza dei necessari riscontri contabili (…) – ha ritenuto di determinare la entità di tale sproporzione (“quantum”) utilizzando gli unici dati contabili della impresa disponibili – in assenza della tenuta dei libri contabili indispensabile per effettuare un accertamento di tipo analitico -, ed applicando un mero criterio matematico di calcolo che, in quanto tale, non può essere oggetto di una valutazione sul piano dell’efficacia del mezzo di prova (id est sul piano della capacità rappresentativa di un fatto empirico), ma può esserlo esclusivamente sul piano dell’errore di percezione del dato numerico base ovvero della correttezza dell’operazione aritmetica secondo la logica formale che le è propria”; d) l’applicazione degli studi di settore non si collocava nell’ambito dell’accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ma affiancava tale accertamento “essendo indipendente dai risultati delle scritture contabili”;

2. Da Rosa e soci impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente evidenziato che il controricorso dell’Agenzia delle entrate contiene difese non strettamente pertinenti all’oggetto del presente giudizio, sicché delle considerazioni ivi svolte non può tenersi conto ai fini della decisione.

2. Con il primo motivo di ricorso Da Rosa e soci contestavano violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 39, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che l’Amministrazione finanziaria aveva posto in essere un accertamento analitico-induttivo e non un accertamento induttivo, come erroneamente sostenuto dalla CTR, sicché l’appello dell’Agenzia delle entrate era stato accolto sulla base di un presupposto di diritto erroneo.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39, 40 e 41 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1 sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR aveva riqualificato un accertamento analitico-induttivo in accertamento analitico puro, con ciò violando il principio di tipicità dell’atto amministrativo tributario.

3. Con il terzo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su più punti rilevanti della controversia e omesso esame di fatti decisivi. In particolare, i contribuenti evidenziano: a) diversamente da quanto affermato dalla CTR, la società avrebbe tempestivamente ottemperato alla richiesta di esibizione formulata dall’Ufficio; b) la motivazione sarebbe contraddittoria perché, da un lato, si affermerebbe l’inottemperanza all’ordine di esibizione e dall’altro si prenderebbero implicitamente in considerazione quegli stessi documenti contabili di cui si nega l’esistenza; c) la CTR avrebbe omesso di considerare quei fatti rilevanti ai fini di un accertamento analitico-induttivo in ragione della ritenuta applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, con conseguente grave vizio della motivazione; d) nessuna rilevanza avrebbe nel caso di specie il riferimento agli studi di settore.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 42 nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che il giudice d’appello non avrebbe rilevato l’illegittimità di un accertamento analitico-induttivo con il quale si accerta il reddito attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico assolutamente arbitraria e fantasiosa e con riferimento a elementi indiziari privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

5. Con il quinto motivo di ricorso Da Rosa e soci affermano la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 31 non avendo la CTR valutato l’istanza di differimento dell’udienza presentata dal difensore degli appellati per ragioni di salute, con conseguente violazione del principio del contraddittorio.

6. Con il sesto motivo di ricorso si contesta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 avendo il giudice di appello pronunciato extra petita, essendo l’oggetto del giudizio costituito dalla legittimità di un avviso di accertamento analitico-induttivo e non già induttivo puro.

7. Va pregiudizialmente esaminato il quinto motivo di ricorso, in quanto idoneo a definire l’intero giudizio. Il motivo e’, peraltro, inammissibile.

7.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., applicabile anche nel processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1 presuppone l’impossibilità di sostituzione dello stesso, venendo in difetto in rilievo una carenza organizzativa del professionista incaricato che non consente la concessione del differimento di tale udienza, con conseguente legittimità della sentenza pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio” (così Cass. n. 25783 del 15/10/2018; si vedano, altresì, Cass. n. 22094 del 17/10/2014; Cass. n. 10546 del 03/05/2018; Cass. n. 11121 del 10/06/2020).

7.2. Nel caso di specie, non risulta che la sentenza della CTR abbia affrontato la questione, sicché deve ritenersi che il giudice di appello la abbia rigettata implicitamente.

7.3. Peraltro, non sussiste un diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza da parte del difensore impedito, a meno che questi non alleghi e dimostri l’impossibilità di delegare altro difensore. Poiché non risulta essere stato trascritto in ricorso il contenuto dell’istanza e l’eventuale documentazione giustificativa, questa Corte non è in grado di apprezzare le ragioni del chiesto rinvio né la completezza dell’istanza presentata, con conseguente inammissibilità del motivo per difetto di specificità.

8. I motivi primo, secondo e sesto possono essere congiuntamente esaminati, involgendo questioni connesse, e vanno disattesi.

8.1. Secondo la prospettazione dei ricorrenti la CTR avrebbe illegittimamente proceduto alla riqualificazione dell’accertamento analitico-induttivo cui ha proceduto l’Amministrazione finanziaria in accertamento induttivo puro.

8.2. In proposito, va subito sottolineato che è sempre consentito al giudice tributario di riqualificare l’accertamento espletato dall’Amministrazione finanziaria, laddove quest’ultimo, per le modalità di svolgimento, ha assunto caratteristiche differenti rispetto a quelle formalmente indicate.

8.2.1. E’ vero che la scelta della tipologia di accertamento spetta discrezionalmente all’Agenzia delle entrate, sicché la parte contribuente, in assenza di un pregiudizio sostanziale, non ha titolo a dolersi della scelta operata (Cass. n. 2872 del 03/02/2017; Cass. n. 8333 del 25/05/2012). Ne consegue, peraltro, che, una volta che sia stata scelta la metodologia di accertamento da adottare, la legittimità dello stesso va valutata in relazione alle disposizioni che regolano quella specifica tipologia di accertamento prescelta.

8.2.2. Peraltro, laddove l’Amministrazione finanziaria abbia erroneamente indicato di avere adottato una certa metodologia di accertamento, ma ne abbia, in concreto e all’evidenza, seguita un’altra, nulla osta a che il giudice di merito possa riqualificare in termini giuridici l’accertamento effettuato, indicando le norme effettivamente applicate e che ne determinano i confini e la legittimità.

8.3. Ciò detto in termini generali, nel caso di specie, indipendentemente da erronee qualificazioni e indicazioni normative, deve escludersi che la sentenza impugnata, interpretata nel suo complesso, abbia effettivamente proceduto alla riqualificazione dell’accertamento analitico-induttivo dell’Agenzia delle entrate in accertamento induttivo.

8.3.1. Invero, la CTR, dopo ampia sottolineatura della differenza tra accertamento analitico extracontabile e accertamento induttivo puro, ha evidenziato l’esistenza di incongruenze e carenze documentali, idonee a rendere la contabilità sostanzialmente inattendibile e a presumere l’infedeltà della dichiarazione, con conseguente impossibilità per gli accertatori di effettuare un esame analitico delle quantità di beni di consumo utilizzate in rapporto alle somministrazioni effettuate

8.3.2. E’ stato, altresì, riscontrato che: a) l’indice di ricarico dichiarato (51%) è inferiore alla media settoriale; b) il reddito dichiarato è inferiore alle spese sostenute per quattro lavoratori dipendenti; c) la percentuale di ricarico reale oscilla tra il 106,20% del vino al 269,31% delle bibite analcoliche, sicché il ricarico del 120% mediamente applicato dalle imprese di settore nella medesima area geografica deve ritenersi congruo; d) la predetta percentuale di ricarico è stata applicata al costo del venduto così come dichiarato dalla società.

8.3.4. In definitiva, secondo la CTR, “l’Ufficio finanziario, raggiunta la prova presuntiva dell'”an” – fondata sull’inverosimiglianza del rapporto complessivo tra merci acquistate/impiegate nella produzione e prodotti rivenduti, desunta presuntivamente dalla mancanza dei necessari riscontri contabili (…) – ha ritenuto di determinare la entità di tale sproporzione (“quantum”) utilizzando gli unici dati contabili della impresa disponibili – in assenza della tenuta dei libri contabili indispensabile per effettuare un accertamento di tipo analitico -, ed applicando un mero criterio matematico di calcolo che, in quanto tale, non può essere oggetto di una valutazione sul piano dell’efficacia del mezzo di prova (idest sul piano della capacità rappresentativa di un fatto empirico), ma può esserlo esclusivamente sul piano dell’errore di percezione del dato numerico base ovvero della correttezza dell’operazione aritmetica secondo la logica formale che le è propria”.

8.4. Orbene, l’analisi dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata induce a ritenere che, a parte l’erroneo richiamo al metodo induttivo puro (pag. 3), la CTR ha chiaramente condotto l’indagine sul presupposto che l’Ufficio abbia applicato il metodo analitico-induttivo, così come dichiarato nel contesto dell’avviso di accertamento e come si deduce dalla metodologia accertativa descritta, laddove si afferma che, preso atto della complessiva inattendibilità della contabilità, si è applicata al costo del venduto dichiarato dalla società una percentuale di ricarico del centoventi per cento, costituente il ricarico medio praticato dalle imprese del settore nella medesima area geografica e pienamente compatibile con il ricarico effettivamente praticato dalla società contribuente.

8.4.1. Con la metodologia descritta, infatti, si accerta induttivamente il reddito (si applica una percentuale di ricarico media) partendo da alcuni dati analitici noti (il costo del venduto dichiarato dalla società contribuente): in definitiva, si applica un metodo analitico-induttivo e non induttivo puro.

8.5. Ne consegue l’infondatezza dei motivi di ricorso in esame in quanto la CTR ha deciso la causa in base alla tipologia di accertamento indicata dall’Ufficio accertatore, senza riqualificare la tipologia di accertamento adottata e senza pronunciare extra petita.

9. Il terzo motivo, concernente alcuni vizi di motivazione, è in parte inammissibile e in parte infondato.

9.1. Per quanto concerne la questione della mancata esibizione “del libro inventari del prospetto delle rimanenze finali 2003 di cui al T.U. n. 917 del 1986, artt. 92 e 93 delle fatture e del registro dei beni ammortizzabili”, i ricorrenti si dolgono essenzialmente della circostanza che la CTR avrebbe negato l’esistenza della produzione dei menzionati documenti, produzione che in realtà vi sarebbe stata.

9.1.1. Trattasi all’evidenza della denuncia di un errore revocatorio che non può essere proposta in questa sede, sicché il motivo è inammissibile in parte qua.

9.1.2. Si noti che il motivo difetta, altresì, di specificità, non avendo i contribuenti né indicato, né trascritto, né allegato la specifica documentazione che, erroneamente ritenuta non prodotta, non è stata presa in considerazione dalla CTR.

9.2. Per quanto concerne la contraddittorietà della motivazione (si affermerebbe, da un lato, l’inottemperanza all’ordine di esibizione e dall’altro si prenderebbero implicitamente in considerazione quegli stessi documenti contabili di cui si nega l’esistenza), la censura è palesemente infondata.

9.2.1. Come sopra si è già riferito, la mancata esibizione riguarda solamente una parte delle scritture contabili e non già dell’intera contabilità, in ordine alla quale, proprio in ragione delle omissioni e carenze, si conclude per la complessiva inattendibilità.

9.3. Con riferimento alla mancata considerazione dei fatti rilevanti ai fini di un accertamento analitico-induttivo in ragione della ritenuta applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, il motivo è in primo luogo inammissibile per genericità, non essendo chiaro quali siano i fatti di cui sarebbe stato omesso l’esame; ma è anche infondato, essendosi in precedenza chiarito che la sentenza della CTR ha preso in considerazione un accertamento analitico-induttivo e non induttivo puro, come ritenuto dai ricorrenti.

9.4. Per quanto concerne, infine, il riferimento agli studi di settore, sebbene lo stesso sia erroneo in diritto (e’ stato posto in essere unicamente un accertamento analitico-induttivo, affatto affiancato da un accertamento per studi di settore: come risulta dalla stessa sentenza impugnata, infatti, si sono legittimamente utilizzate le risultanze degli studi di settore al fine di ricavare elementi indiziari utili a suffragare le conclusioni dell’Ufficio), non è comunque idoneo ad incidere sulla complessiva congruità della motivazione, la cui logicità prescinde dall’erroneità del riferimento.

10. Infondato e’, infine, il quarto motivo, concernente la pretesa illegittimità dell’accertamento analitico-induttivo fondato su di una percentuale di ricarico arbitrariamente determinata.

10.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.” (così, da ultimo, Cass. n. 33604 del 18/12/2019; ma si tratta di un principio pacifico: si veda, ad es., Cass. n. 6861 del 08/03/2019; Cass. n. 24278 del 14/11/2014; Cass. n. 17952 del 24/07/2013).

10.1.1. E’ stato inoltre evidenziato che “In tema di accertamento del reddito di impresa, anche in presenza di scritture formalmente corrette, ove la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi, che possono essere determinati calcolando la media aritmetica o quella ponderata dei ricarichi sulle vendite” (Cass. n. 8923 del 11/04/2018; si veda anche Cass. n. 32129 del 12/12/2018; Cass. n. 18695 del 13/07/2018).

10.1.2. In proposito, la complessiva inattendibilità delle scritture può essere ricavata anche dal comportamento antieconomico tenuto dal contribuente (Cass. n. 7871 del 18/05/2012), con la conseguenza che, dimostrato quest’ultimo, l’onere della prova si sposta sul contribuente (Cass. n. 14941 del 14/06/2013; Cass. n. 25257 del 25/10/2017).

10.2. Nel caso di specie, è stato già evidenziato che l’Ufficio ha proceduto ad accertamento analitico-induttivo e che la CTR ha ritenuto legittima tale forma di accertamento in quanto: a) la contabilità è complessivamente inattendibile in ragione dell’esistenza di incongruenze, carenze documentali ed omissioni (pag. 7 della sentenza impugnata); b) il reddito dichiarato è particolarmente basso e addirittura inferiore alle spese sostenute per i lavoratori; c) la percentuale di ricarico dichiarata (51%) è notevolmente inferiore alla media di settore e a quella risultante dall’esame di alcuni prodotti presi a campione.

10.3. Correttamente, pertanto, la CTR ha ritenuto che il coacervo dei superiori elementi indiziari legittimasse l’Ufficio ad applicare al costo del venduto una percentuale di ricarico (120%) che non può dirsi arbitraria in quanto ricavabile dagli studi di settore e pienamente compatibile con le percentuali di ricarico di alcuni prodotti presi a campione.

10.4. A fronte di tale costruzione, che è legittima e logica, i contribuenti avrebbero dovuto fornire la prova contraria, evidenziando le ragioni per le quali la percentuale di ricarico dichiarata fosse corretta o, comunque, quale percentuale di ricarico dovesse essere applicata.

11. In conclusione, il ricorso va rigettato.

11.1. La circostanza che le difese dell’Amministrazione finanziaria non sono pertinenti all’oggetto del giudizio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

11.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Si dà atto che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

 

 

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