Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21655 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19017/2015 proposto da:

G.G., P.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PACUVIO, 34, presso lo studio dell’avvocato LORENZO ROMANELLI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO

BETTAGLIO, ARCANGELO COSTARELLA;

– ricorrenti –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNG.RE ARNALDO

DA BRESCIA, 9/10, presso lo studio dell’avvocato MARTA BARONI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2424/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

G.G. e P.A. propongono ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 2424/2014 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 24 giugno 2014. Resiste con controricorso C.F..

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. Con citazione del 22 luglio 2004 G.G. e P.A. convennero C.F. davanti al Tribunale di Voghera, chiedendo di: 1) accertare la loro esclusiva proprietà sulla porzione della strada privata dei (OMISSIS), collegante i terreni appartenenti agli attori, siti nel Comune di (OMISSIS) e delimitata nel 2003 dal C. con chiodi topografici; 2) determinare il confine tra la proprietà G. – P. e la proprietà C.; 3) riconoscere al C. soltanto una servitù di passaggio sulla strada privata.

L’adito Tribunale rigettò le domande degli attori con sentenza del 2 ottobre 2010.

L’appello proposto da G.G. e P.A. venne respinto dalla Corte di Milano con la sentenza del 24 giugno 2014. Il gravame era essenzialmente volto a contestare il rilievo decisivo attribuito dal Tribunale al frazionamento richiamato nell’atto di acquisto del C. del 22 giugno 1966, stipulato con i comuni danti causa delle parti in lite. La Corte d’Appello ha evidenziato come l’atto del 22 giugno 1966 delimitasse la porzione venduta come quella “in rosso nel tipo planimetrico”, e facesse rinvio al frazionamento n. 6/1026, approvato dall’Ufficio Tecnico Erariale di Pavia in data 10 giugno 1966, per distinguere il terreno annesso alla porzione di fabbricato. Le particelle foglio (OMISSIS), nn. (OMISSIS), ivi indicate, corrispondevano all’originario mappale (OMISSIS), contenente la strada in contesa. La sentenza impugnata, al fine di giustificare l’efficacia vincolante del frazionamento, ha spiegato che lo stesso era stato predisposto dal geometra Z. su incarico dei venditori P.L. e G.B., in vista delle alienazioni da compiere in favore sia di C.F. che di G.M., dante causa di G.G. e P.A.. La Corte di Milano ha negato poi specifico rilievo alla circostanza che il frazionamento non fosse stato allegato al rogito, essendo stato lo stesso comunque poi accluso alla domanda di voltura dell’atto, ed essendo fatto richiamo ad esso altresì nella successiva vendita intercorsa tra i signori P. e G.M.; anzi, nella vendita a G.M. gli alienanti avevano specificato che restasse esclusa dal trasferimento la strada in questione. La Corte d’Appello ha inoltre negato che smentissero l’alienazione parziale della strada a C.F. tanto la circostanza che l’ulteriore parte della stessa venisse indicata altresì come confine del bene ceduto, quanto il riconoscimento di una servitù di passaggio in favore dell’acquirente sempre su altra porzione della via.

I. Il primo motivo di ricorso di G.G. e P.A. denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1371 c.c., anche in relazione agli artt. 1325,1346 c.c. e art. 1350 c.c., comma 1 e la conseguente violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1. La censura, che si sviluppa da pagina 8 a pagina 23 di ricorso, pone in evidenza che il tipo di frazionamento n. 6/1026 non venne allegato al rogito 22 giugno 1966 ed era stato sottoscritto dal solo geometra Z.C., sicchè esso costituiva un documento “oscuro” per i contraenti. Il rogito indicava chiaramente quale confine la strada privata dei (OMISSIS) e la planimetria ad esso allegata e sottoscritta dalle parti (allegato A) rafforzava il convincimento che il bene trasferito fosse delimitato dall’intera strada e non da porzione di essa. Si richiamano ancora gli elementi interpretativi che deporrebbero per l’erroneità della sentenza impugnata.

I.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Deve premettersi come, secondo consolidato orientamento di questa Corte, va qualificata come “actio finium regundorum”, e non rivendica, l’azione proposta dal proprietario che, pur in presenza di un confine apparente, ne deduca l’incertezza per intervenuta usurpazione di una porzione del proprio terreno da parte del vicino, e chieda, per l’effetto, un accertamento giudiziale della superficie dei fondi confinanti senza porre in discussione i titoli di proprietà, dovendosi ritenere del tutto irrilevante, al riguardo, che l’accertamento della proprietà di una delle parti sulla porzione di fondo controversa comporti anche un (inevitabile) effetto recuperatorio della proprietà stessa quale mera conseguenza dell’esperimento della detta azione, la cui finalità è soltanto quella di eliminare l’incertezza e le contestazioni relativa alla linea divisoria, prescindendo da ogni controversia sui titoli (cfr. Cass. Sez. 2, 27/05/1997, n. 4703; Cass. Sez. 2, 10/06/2010, n. 13986; Cass. Sez. 2, 20/04/2001, n. 5899).

In relazione alla finalità dell’azione di regolamento di confine, che è quella di imprimere certezza ad un confine tra due fondi obiettivamente o subbiettivamente incerto, l’art. 950 c.c., riconosce al giudice del merito ampia facoltà di scegliere gli elementi decisivi o di avvalersi di più elementi concordanti, senza fissare alcuna graduatoria d’importanza tra gli stessi, salvo, tuttavia, il carattere di sussidiarietà esplicitamente attribuito alle indicazioni delle mappe catastali. Allo scopo di detta determinazione, non si può, quindi, prescindere dall’esame dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, nè dalle misure risultanti dalle planimetrie allegate agli atti di vendita e dai tipi di frazionamento, restando comunque il risultato della relativa indagine suscettibile del controllo di legittimità unicamente sotto i profili della violazione dei canoni ermeneutici legali e/o del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. Sez. 2, 30/12/2009, n. 28103, Cass. Sez. 2, 11/07/2002, n. 10121; Cass. Sez. 2, 18/06/2002, n. 8823; Cass. Sez. 2, 20/04/2001, n. 5899; Cass. Sez. 2, 06/11/1993, n. 10997).

La Corte d’Appello di Milano, nella sentenza impugnata, ha ritenuto decisivo, per l’individuazione dell’estensione delle proprietà limitrofe (con riguardo particolare al “terreno annesso” comprendente l’originario mappale (OMISSIS)), il frazionamento n. 6/1026, approvato dall’Ufficio Tecnico Erariale di Pavia in data 10 giugno 1966, richiamato, seppur non materialmente allegato, sia nell’atto di acquisto del C. del 22 giugno 1966, sia nell’atto di acquisto di G.M., entrambi stipulati con i comuni danti causa signori P.. Si trattava di frazionamento predisposto dal geometra Z. su incarico dei venditori P.L. e G.B., in vista, appunto, delle alienazioni da compiere in favore sia di C.F. che di G.M., dante causa di G.G. e P.A.. Il frazionamento risultava peraltro allegato alla domanda di voltura del rogito del 1966. Nell’atto di acquisto di G.M. era poi stato espressamente indicato che restava esclusa dall’alienazione la strada privata.

In tal modo, la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto oggetto di lite uniformandosi alla costante interpretazione giurisprudenziale, qui da ribadire, secondo cui, nell’accertamento del confine tra due fondi limitrofi costituenti lotti separati di un appezzamento originariamente unico, rivestono importanza decisiva i tipi di frazionamento richiamati nei singoli atti di acquisto con valore negozialmente vincolante, i cui dati catastali, per espressa volontà delle parti, perdono l’originaria natura di elemento probatorio di carattere sussidiario per assurgere ad elemento fondamentale nell’interpretazione dell’effettivo intento negoziale delle parti; in particolare, pur nel caso in cui i dati sul confine siano discordanti e gli acquisti siano stati effettuati in tempi diversi, va attribuita peculiare rilevanza al confine indicato nel titolo di acquisto più risalente nel tempo, quando dalle misure ivi contenute possono essere desunti elementi idonei ad individuare con esattezza la linea di demarcazione corrente tra le due proprietà (Cass. Sez. 2, 08/09/2015, n. 17756; Cass. Sez. 2, 13/01/2006, n. 512; Cass. Sez. 2, 01/09/1997, n. 8327).

In base alla disciplina in tema di catasto (R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 57 e successive modifiche), il tipo di frazionamento di una particella catastale deve essere sottoscritto per accettazione dalle parti interessate e sottoposto dal tecnico che l’ha firmato all’ufficio erariale per la dichiarazione preventiva di regolarità ai fini dell’introducibilità in mappa. Il medesimo tipo di frazionamento va, quindi, prodotto, nei tempi indicati dalla norma, a corredo di domande di voltura dipendenti da atti pubblici o giudiziali o scritture private, con firme autenticate, o da denunce di successione.

L’inosservanza delle formalità di legge nella redazione del tipo di frazionamento si riflette, peraltro, soltanto sulla possibilità di ottenere la voltura e sulla facoltà dell’amministrazione del catasto di procedere a rettifiche a spese del tecnico che l’ha predisposta, ma non incide sulla validità del contratto di vendita (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/1968, n. 3660).

Il confine indicato in un tipo di frazionamento sottoposto all’ufficio erariale ai fini dell’introducibilità in mappa assume, così, valore negoziale vincolante ove lo stesso sia richiamato nei titoli di acquisto della rispettiva proprietà dei fondi limitrofi (arg. da Cass. Sez. 2, 07/04/2016, n. 6740; Cass. Sez. 2, 22/12/2014, n. 27170; Cass. Sez. 2, 11/11/2008, n. 26951; Cass. Sez. 2, 05/07/2006, n. 15304; Cass. Sez. 2, 01/09/1997, n. 8327).

La Corte d’Appello di Milano ha quindi motivatamente illustrato come il richiamo esplicito al frazionamento numero 6/1026 contenuto nel rogito del 1966 rivelasse l’intento negoziale dei contraenti finalizzato a riconoscere e determinare l’esatto confine della porzione di terreno annessa al fabbricato venduto. Deve in definitiva ribadirsi che il tipo di frazionamento costituisce mezzo fondamentale per l’interpretazione del contratto relativo ad un immobile allorquando le parti, come nel caso in esame, vi abbiano fatto esplicito riferimento al fine di individuare il bene che ne costituisce l’oggetto, spettando, poi, al giudice di merito il compito di risolvere la “quaestio voluntatis” della maggiore o minore corrispondenza del richiamato documento catastale all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto (Cass. Sez. 2, 26/05/1999, n. 5123; Cass. Sez. 2, 07/06/1993, n. 6356; Cass. Sez. 2, 07/05/1991, n. 5016).

II. Il secondo motivo di ricorso deduce l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, quanto alle dichiarazioni rese dal teste geometra Po., incaricato dal C. di verificare se fosse proprietario di una porzione di sedime della strada, nonchè la nullità della sentenza per la mancata escussione del testimone G.G. in ordine alla circostanza di cui al capitolo 23 della memoria istruttoria del 6 giugno 2005, in base alla quale il C., sino al momento del piantamento dei chiodi, non aveva mai avuto un animus possidendi uti dominus della porzione di strada.

II.1. Il secondo motivo di ricorso è palesemente infondato.

Il “fatto” consistente nell’oggetto dell’incarico conferito da C.F. al geometra Po. (che ha poi reso deposizione testimoniale) non rivela alcuna decisività agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non trattandosi di circostanza che, se esaminata, avrebbe determinato con certezza un esito diverso della controversia. Nè l’omesso esame di elementi istruttori integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

E’ soprattutto essenziale sottolineare come, allo scopo di accertare l’estensione di due fondi limitrofi, costituenti lotti separatamente alienati di un appezzamento originariamente unico, non riveste alcun rilievo il convincimento che abbia maturato il compratore di uno dei due lotti circa l’estensione del fondo acquistato (nella specie, se comprensiva, o meno, di una parte della strada), atteso che l’oggetto di un contratto per il quale è necessaria la forma scritta (nel caso, vendita di bene immobile) va determinato soltanto in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto, senza possibilità di fare ricorso al comportamento successivo delle stesse.

III. Il terzo motivo di ricorso di G.G. e P.A. denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 116 c.p.c., per omessa ed illogica motivazione e mancata indicazione degli elementi di prova su cui sono fondate le asserzioni nell’apparente motivazione; ed ancora, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per mancata decisione della causa sulla base delle prove acquisite al giudizio, anche in relazione alla presunzione di cui all’art. 1141 c.c., comma 1. Ci si riferisce al capo della decisione della Corte d’Appello di Milano inerente all’acquisto per usucapione del terreno in contesa. Al riguardo, i giudici di secondo grado hanno richiamato l’argomento adoperato dal Tribunale, secondo cui l’uso promiscuo della strada non permetteva di configurare un possesso esclusivo uti dominus di G.G. e P.A., nè poteva essere dirimente la convinzione degli stessi di essere proprietari dell’intera strada. Gli appellanti non avevano comunque dato prova di loro condotte avverse al possesso del C.. Il titolo di acquisto del C. smentirebbe poi, secondo la sentenza impugnata, la tesi del permanente possesso del sedime in capo ai venditori P., e le prove testimoniali avrebbero, al contrario, confermato che il C. avesse utilizzato la parte di strada come proprietario, parcheggiandovi autoveicoli in modo stabile e reiterato.

III.1. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione adottata.

D’altro canto, va osservato che la Corte d’Appello di Milano ha comunque accertato come G.G. e P.A., in forza del rogito del 1988, avessero acquistato dai P. una porzione di strada (particella (OMISSIS)) e fossero titolari altresì di servitù di passaggio su altre porzioni di essa.

Posto, allora, che il possesso continuo e non interrotto attraverso il quale, con il decorso del tempo legislativamente previsto, si perviene all’acquisto a titolo originario della proprietà di un bene immobile, è quello che si esplica mediante l’esercizio delle facoltà di godimento tipiche del diritto di proprietà, comprendenti tutte le forme di utilizzazione e disposizione del bene, ove il soggetto che intende usucapire la proprietà di una porzione di strada sia titolare, come nella specie, della proprietà e di un diritto di servitù su altre porzioni della stessa, risulta idonea a tale scopo solo l’esplicazione di quelle attività corrispondenti all’esercizio delle forme di utilizzazione e disposizione, che sono espressioni del diritto di proprietà, inerenti a quella particolare frazione che si pretenda di usucapire, e che non sono, invece, funzionali all’esercizio del diritto di proprietà e di servitù sulle frazioni limitrofe.

Spetta poi a chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, di dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell’animus; quest’ultimo elemento può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, ma solo se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà.

La Corte d’Appello ha negato che G.G. e P.A. avessero provato un possesso esclusivo del tratto di strada di proprietà del C.. Deve quindi ricordarsi che l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici. La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, su cui si incentra il terzo motivo di ricorso (richiamando, indicativamente, gli “accadimenti dell’estate del 2003”, e le testimonianze di G.B. e L.G.), involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

IV. Il quarto motivo di ricorso di G.G. e P.A. denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., art. 75 disp. att. c.p.c., in relazione al valore della causa determinato ex art. 15 c.p.c. e in base al D.M. n. 127 del 2004; nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per omessa motivazione. La Corte d’Appello ha ritenuto correttamente applicato dal Tribunale, per la liquidazione delle spese di primo grado, lo scaglione relativo al valore indeterminabile della causa. Ad avviso dei ricorrenti, invece, il valore della lite andava determinato in Euro 74,00 o in Euro 966,69, alla stregua dell’art. 15 c.p.c. (facendo riferimento al reddito dominicale dell’area individuato nel frazionamento disposto in corso di causa o al prezzo stabilito in contratto) e perciò la liquidazione delle spese sarebbe stata eccessiva.

IV.1. Il quarto motivo di ricorso va accolto.

In forza del D.M. n. 127 del 2004, art. 6 (applicabile ratione temporis), nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile. Ne consegue che il valore delle cause relative a beni immobili (fra le quali quella di regolamento di confini, in relazione alla parte di proprietà controversa, se sia definita: art. 15 c.p.c., comma 2) si determina sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della “res” (da moltiplicare secondo determinati parametri); solo in assenza sia dell’uno che dell’altra, il giudice deve attenersi alle risultanze degli atti e, non emergendo da essi concreti ed attendibili elementi per la stima, può ritenere la causa di valore indeterminabile. Nella specie, il ricorrente fa riferimento ai documenti prodotti davanti al Tribunale su cui fondare il giudizio di valore “ex actis” (frazionamento e titolo di acquisto), in quanto contenenti elementi obbiettivi ed idonei a fornire un razionale fondamento di stima del valore dell’immobile, pur senza fornire una precisa quantificazione. Ne deriva che erroneamente la causa era stata ritenuta dal Tribunale di valore indeterminabile (cfr. Cass. Sez. 2, 14/08/1997, n. 7615; Cass. Sez. 2, 26/05/2015, n. 10810). Il ricorrente ha altresì specificato i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate in relazione ai limiti massimi applicabili per lo scaglione corretto di riferimento.

V. Vanno perciò respinti i primi tre motivi di ricorso, mentre va accolto il quarto motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente alla indicata censura, perchè si proceda a nuovo esame in sede di rinvio sul motivo di appello relativo alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, tenendo conto dell’enunciato principio e dei rilievi svolti.

Il giudice di rinvio provvederà anche a regolare tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i primi tre motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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