Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21653 del 28/07/2021

Cassazione civile sez. III, 28/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 28/07/2021), n.21653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11240-2019 proposto da:

G.E., rappresentato e difeso dall’Avv. MICHELE COMOTTI;

– ricorrente –

contro

M.C., in proprio e quale rappresentante del figlio minore

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO

NICOLAI, 70, presso lo studio dell’avvocato LUCA GABRIELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA GRAZIA BROIERA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 170/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con atto notificato il 29 marzo 2019 G.E. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, avverso la sentenza n. 170/2019 della Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 28 gennaio 2019. M.C. resiste con controricorso illustrato da successiva memoria, con la quale deduce che il figlio G.L. si è costituito per l’udienza pubblica con atto separato, deducendo di essere divenuto nel frattempo maggiorenne.

2. Il ricorso è stato discusso in camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 – bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della decisione in forma di sentenza. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate ritualmente comunicate alle parti.

3. Per quanto ancora rileva, M.C. conveniva in giudizio Mediaset, la conduttrice televisiva P.F. ed G.E., chiedendone la condanna, in via tra loro solidale, al risarcimento dei danni da diffamazione e violazione della privacy subiti in relazione alle dichiarazioni rese durante la trasmissione “Mattino 5” dal suo ex convivente, G.E., in merito a presunte irregolarità nel consentire le visite del padre al figlio minore, nato dalla relazione more uxorio, per l’affidamento del quale vi era stato un aspro contenzioso. Il Tribunale di Torino dichiarava il difetto di legittimazione passiva di Mediaset, escludeva la responsabilità della sig.ra P. e del sig. G. e, per l’effetto, rigettava la domanda risarcitoria nei confronti di tutti i convenuti, ritenendo i fatti non idonei a integrare una diffamazione.

4. Avverso la sentenza, la sig.ra M. ha proposto gravame nei confronti del solo ex convivente, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in proprio e a favore del figlio. La Corte d’Appello di Torino, con la pronuncia in questa sede impugnata, ha preliminarmente rilevato la formazione del giudicato sui capi della sentenza di prime cure non impugnati nei confronti delle altre parti – aventi ad oggetto la dedotta carenza di legittimazione passiva di Mediaset e la assenza di responsabilità della conduttrice televisiva P.F., ritenuta ignara dei fatti. Nel merito, ha accolto parzialmente l’appello ritenendo di non poter applicare, nel caso di specie, la scriminante del diritto di critica in favore del G. in quanto gli atti giudiziari e i documenti ex actis deponevano per la parziale falsità dei fatti da lui riferiti durante la trasmissione ed erano lesivi dell’onore personale e professionale della ex compagna, esercente la professione di avvocato, nonché del diritto alla riservatezza del minore, liquidando i relativi danni rispettivamente in Euro 8.000,00 e in Euro 5.000,00.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: divieto di nova ed error in procedendo”. In primo luogo, si denuncia che l’appellante si sarebbe limitata a chiedere nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado il risarcimento dei danni iure proprio, mentre nell’atto di appello avrebbe dichiarato di agire anche quale rappresentante del figlio minore, in violazione dell’art. 345 c.p.c.. Invero, il ricorrente deduce che già nel corso del giudizio di prime cure l’attrice appellante avrebbe tentato di modificare la domanda in tal senso, in particolare, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 e nelle conclusioni e che, tuttavia, ciò integrerebbe comunque una mutatio libelli in spregio delle preclusioni processuali. In secondo luogo, le conclusioni dell’atto di citazione in primo grado divergerebbero rispetto a quelle formulate nel giudizio di appello ove l’appellante avrebbe chiesto la condanna del solo G. – escludendo qualsiasi riferimento agli altri convenuti chiamati a rispondere in via solidale tra di loro – e di ripartire la somma richiesta a titolo di risarcimento in parti uguali tra madre e figlio, quando in prime cure era stata indicata una somma complessiva senza distinguere tra le due posizioni.

1.1. Il motivo è inammissibile per i plurimi motivi di seguito esposti.

1.1. La Corte d’Appello, anzitutto, ha rilevato che, sebbene l’attrice non avesse enunciato formalmente nell’intestazione dell’atto di citazione in primo grado di agire, oltreché in proprio, anche nella qualità di genitore legale rappresentante del figlio minore, la duplice posizione in quanto ex compagna e madre del figlio minore fosse palese dal tenore dell’atto introduttivo, tanto che nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., essa aveva precisato di aver agito anche nell’interesse del minore, parimenti leso nel diritto alla riservatezza. Inoltre, la Corte di merito ha ritenuto che non dovesse considerarsi nuova la domanda proposta nei confronti del solo ex compagno, con abbandono di ogni pretesa nei confronti degli altri soggetti citati nel giudizio di primo grado, in quanto l’attrice aveva proposto la domanda di risarcimento danni extracontrattuale, con richiesta di condanna in solido dei tre convenuti, ex art. 2055 c.c., sulla base di plurime e distinte condotte illecite dei soggetti citati, in ragione delle quali non sussisteva alcuna situazione di litisconsorzio sostanziale o di inscindibilità dei giudizi ascrivibile all’ipotesi di cui all’art. 331 c.p.c.. Inoltre, ha rilevato che gli altri due convenuti erano stati comunque citati nel giudizio di appello, nel rispetto del principio del contraddittorio e, pertanto, la mancata riproposizione delle domande risarcitorie nei loro confronti era frutto di una scelta dell’interessata di non coltivare un appello nei loro confronti, con l’effetto, dunque, di far passare in giudicato i capi della sentenza impugnata che avevano escluso, per Mediaset, la legittimazione passiva e, per la conduttrice del programma ( P.), la responsabilità personale nella vicenda diffamatoria.

1.2. Il motivo, innanzitutto, è carente del requisito di specificità ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 6, perché non risulta per nulla indicato il contenuto della domanda iniziale proposta dall’attrice qui resistente sotto il profilo della causa petendi (peraltro nel petitum richiamato a pag. 10 del ricorso c’e’ il riferimento ai danni subiti dal figlio).

1.3. Le censure, pertanto, risultano troppo generiche e astratte per consentirne una piena valutazione in sede di giudizio di legittimità, laddove il principio di autosufficienza di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 6, richiede che il giudice di legittimità sia messo nelle condizioni di valutare ex actis la rilevanza della questione in diritto sollevata. Difatti, in forza dei principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata: nel valutare tutti questi aspetti, dunque, è necessario valutare la domanda per come inizialmente proposta unitamente all’atto processuale in cui è rinvenibile (Cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/8/2017; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17915 del 30/7/2010; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11501 del 17/5/2006).

1.4. Pertanto, la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

1.5. Quanto al merito della censura di violazione del litisconsorzio processuale instauratosi tra le parti, è appena il caso di aggiungere che la censura non si confronta con la ratio decidendi riguardo alla statuizione circa il passaggio in giudicato delle statuizioni sugli altri due soggetti inizialmente chiamati a rispondere del danno in via tra loro solidale, e alla conseguente validità di una impugnazione riguardante la sola posizione di una parte, con rinuncia a svolgere l’appello nei confronti delle altre parti.

1.6. Sul punto, rileva il consolidato orientamento di questa Corte, applicato dalla sentenza, secondo cui l’obbligazione solidale che deriva dal concorso di più soggetti nel fatto illecito causativo di danno, pur avendo ad oggetto un’unica prestazione, dà luogo non necessariamente a un rapporto unico e inscindibile, ben potendo risalire a posizioni giuridiche distinte, anche se fra loro connesse.

1.7. Ne consegue che, in una situazione in cui il litisconsorzio non si pone come necessario, la mancata impugnazione, da parte di un coobbligato solidale, della sentenza di condanna pronunciata nei confronti di alcuni debitori solidali – che, pur essendo formalmente unica, consta di tante distinte pronunce quanti sono i coobbligati con riguardo ai quali essa è stata emessa – comporta il passaggio in giudicato della pronuncia concernente il debitore non impugnante esclusivamente con riferimento alla sua posizione, non in grado di incidere sulla impugnazione dell’altro condebitore. Allo stesso modo, il creditore può impugnare la statuizione riguardo a uno solo dei coobbligati, qualora non sia ravvisabile, per i medesimi motivi, un litisconsorzio processuale all’origine necessario tra i medesimi. (Cass., Sez. 2 -, Ordinanza n. 24728 dell’8/10/2018; Sez. 1, Sentenza n. 13585 del 12/6/2006; Sez. 1, Sentenza n. 5738 del 25/5/1995).

2. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost., art. 2043 c.c., art. 51 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sulla mancata applicabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica”. La Corte di merito, nel giungere al proprio convincimento, non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui per riconoscere efficacia esimente all’esercizio del diritto di critica occorre che il fatto presupposto e oggetto della critica corrisponda a verità, tuttavia non assoluta, ma ragionevolmente putativa.

2.1. Il motivo è inammissibile per lo stesso motivo di carenza di autosufficienza di cui sopra: in mancanza dell’indicazione della causa petendi della domanda iniziale esso non risulta scrutinabile.

2.2. E’ appena il caso di aggiungere che, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo dei media (quale la televisione), la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, o comunque l’apprezzamento in concreto delle espressioni utilizzate come lesive dell’altrui reputazione, nonché la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito, come tali insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 6133 del 14/3/2018; Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/1/2012; Sez. 3, Sentenza n. 20138 del 18/10/2005).

2.3. Sul tema dell’esimente del diritto di critica, il giudice di merito deve considerare diversi criteri, puntualmente valutati dal giudice del merito con adeguata ed esauriente motivazione.

2.4. Difatti, l’accertamento è stato svolto in coerenza con i criteri tracciati dalla giurisprudenza e risulta un giudizio di merito in questa sede insindacabile là dove ha ritenuto sussistere un interesse pubblico generale all’argomento trattato nel contesto della trasmissione televisiva, ma, per converso, ha considerato che trattandosi di fatti attinenti alla sfera personale delle parti con coinvolgimento di un minore – non fosse sufficiente il riscontro di un “nucleo storico” di verità dei fatti riportati o di una verità ragionevolmente putativa da valutarsi in relazione a una situazione altamente conflittuale tra ex conviventi, come ritenuto dal primo giudice, dovendosi valutare, al contrario, la sussistenza o meno di una verità oggettiva dei fatti narrati, da escludersi in quanto dagli atti giudiziari e dai documenti i fatti riferiti durante la trasmissione risultavano per molti versi parziali o falsi. Quanto al requisito della continenza, il giudice ne ha rilevato il superamento in relazione alla valenza diffamatoria delle dichiarazioni del padre verso la madre ed ex compagna in quanto denigratorie e non corrette, lesive dell’onore e dignità, anche professionale, essendo stata accusata falsamente di essere un genitore talmente negativo da aver rischiato la decadenza dalla patria potesta, aver provocato ella sola la perdita del rapporto del padre con il figlio e aver subito una condanna che ancora non era stata eseguita. Vieppiù, durante l’intervista erano riportati dati identificativi dei soggetti coinvolti per il tramite di riferimenti non essenziali nell’economia della notizia, né di interesse pubblico.

3. Con il terzo motivo si denuncia “Nullità della sentenza per insussistenza di uno dei requisiti posti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La motivazione della sentenza, nella parte in cui accerta il diritto al risarcimento dei danni e ne opera la quantificazione, sarebbe intrinsecamente contraddittoria, nella misura in cui il giudice del gravame, da un lato, ha dedotto la sussistenza del danno sulla base di presunzioni semplici e, dall’altro ha ritenuto di affidarsi a una quantificazione equitativa stante la mancanza di prova in concreto di ripercussioni negative del fatto.

3.1. Anche il terzo motivo non è scrutinabile in assenza di ogni cenno sulla causa petendi della domanda iniziale.

3.2. E’ appena il caso di aggiungere che, quanto all’an debeatur, la sentenza impugnata rileva la sussistenza dei pregiudizi all’onore personale e professionali e all’immagine in ambito sociale e lavorativo della madre, nonché la sussistenza di un pregiudizio al diritto di riservatezza per il minore. La Corte territoriale, sul punto, ha adeguatamente motivato affermando che, quanto alla prova del danno non patrimoniale, esso può essere considerato provato in via presuntiva, in quanto “solo il soggetto psicopatico puro non si cura della considerazione che gli altri hanno della sua personalità, laddove l’individuo sano, nell’assoluta normalità dei casi, riceve turbamento e soffre quando i tratti del proprio essere morale ed umano vengano aggrediti e distorti”, con ciò richiamando precedenti giurisprudenziali di questa Suprema Corte. In relazione al quantum, la sentenza tiene conto di vari parametri, tra i quali: la parziale verità delle dichiarazioni del padre, gli atteggiamenti di corresponsabilità genitoriale emergenti dai contrasti familiari rispetto alla posizione del figlio; la professione della madre; la diversa dimensione del danno subito dalla madre e dal figlio, persone prive di notorietà, in un contesto territoriale diverso da quello in cui vive il padre.

3.3. La motivazione, pertanto, appare in linea con quanto indicato dalla sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, nel passaggio in cui sancisce che, escluso il ricorso al meccanismo del danno in re ipsa, il giudice di merito può utilmente ricorrere alla prova presuntiva per ritenere dimostrato il pregiudizio subito, posto che la liquidazione equitativa del danno morale derivante da un illecito consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento. Ne consegue che solo allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c., (Cass., Sez. 3 – , Sentenza n. 22272 del 13/9/2018; Sez. 3 – , Sentenza n. 24070 del 13/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 5090 del 15/3/2016).

4. Con il quarto imo motivo si denuncia “Violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul regolamento delle spese di lite”. Il giudice di secondo grado non avrebbe dovuto condannare l’appellato alle spese di lite, stante la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. Si rammenta, infatti, che in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione, con una espressa motivazione, del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, motivazione (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/4/2019; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1997 del 4/2/2015; Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/7/2005).

5. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente alle spese, come di seguito liquidate in base alle tariffe vigenti, oltre il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; per l’effetto condanna il ricorrente alle spese in favore della parte controricorrente ricorrente (unitariamente intesa), liquidate in Euro 3000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e ulteriori oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione terza civile, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

 

 

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