Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21653 del 23/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21653 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 3928-2009 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. P.I. 07973780013, (nuova
denominazione della FIAT AUTO S.P.A., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo
studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO (STUDIO
2015
3418

TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati FRANCO BONAMICO,
DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 23/10/2015

N.

RADDATO FRANCESCA C.F. RDDFNC46E68C514P, domiciliata
..
in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dagli

avvocati

BENEDETTO

PELLERITO,

GIUSEPPE

PELLERITO, SILVIO CHIODO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 92/2008 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 31/01/2008 R.G.N. 780/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/09/2015 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

Svolgimento del processo

1.— Il Tribunale di Torino, adito da Francesca Raddato, respinse il ricorso da
costei proposto nei confronti della datrice di lavoro Fiat Group Automobiles Spa
volto alla condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del

percipiende se non fosse stato collocato illegittimamente in CIGS sulla base della
comunicazione aziendale del 31 ottobre 2002 in violazione dell’art. 1 della I. n.
223 del 1991; il giudice monocratico considerò in radice improponibile l’azione
giudiziaria intrapresa in ragione del verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti
in data 9 ottobre 2003.
A seguito di gravame del lavoratore, la Corte di Appello di Torino, con
sentenza del 31 gennaio 2008, ha riformato la decisione di prime cure,
condannando la società al pagamento degli importi differenziali richiesti per il
tempo di illegittima sospensione in cassa integrazione, oltre accessori e spese del
doppio grado.
In sintesi la Corte riteneva che, dal dato letterale della conciliazione stessa, si
evincesse come il lavoratore non avesse consapevolmente inteso rinunciare ai
diritti derivanti dalla procedura di cassa integrazione; negava che i commi 7 ed 8
dell’art. 1 della I. n. 223 del 1991 in tema di procedura di concessione della CIGS
e di consultazione sindacale fossero stati abrogati – come sostenuto dalla società
– per effetto dell’entrata in vigore del DPR n. 218 del 10 giugno 2000; osservava
dunque che l’azienda, con la comunicazione di avvio della procedura di cassa
integrazione del 31 ottobre 2002, non aveva ottemperato agli oneri previsti dalla
L. n. 223 del 1991, in quanto di tenore generico ed indeterminato che non
consentiva in alcun modo al lavoratore interessato di verificare come mai la
scelta di sospensione fosse caduta su di lui; argomentava, infine, che tale
inottemperanza non poteva essere sanata dagli accordi del 18 marzo 2003 e 22
luglio 2003, atteso che la loro successiva conclusione non poteva vanificare la già
consumata illegittimità della procedura.

2.—

La Fiat Group Automobiles Spa ha proposto ricorso per cassazione

affidato a nove motivi. L’intimata ha resistito con controricorso.

\21

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente Madoce Relatore Amendoia

danno in misura pari al differenziale delle retribuzioni tra quelle percepite e quelle

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro

Motivi della decisione

3.— I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 411,
co. 3, c.p.c. ed agli artt. 1965, 2113 c.c., lamentando che la Corte territoriale non

non fosse preclusiva di ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento di diritti
connessi al pregresso rapporto di lavoro, quando questi, a fronte di una somma
di denaro, rinunzi all’impugnativa di licenziamento conseguente a procedura di
mobilità conclusa con accordo sindacale (richiamato nel verbale di conciliazione)
e ad ogni pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro (primo motivo);
omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360, co.
1, n. 5, evidenziando come fatto controverso e decisivo per il giudizio la
procedura sindacale instaurata tra le organizzazioni sindacali e la Fiat, chiedendo
alla Corte se, in relazione ad esso, ai fini della valutazione della validità della
rinuncia operata dal lavoratore nella conciliazione in merito alla dichiarazione di
illegittimità della procedura CIGS, la sentenza impugnata abbia fornito
insufficiente e contraddittoria motivazione (secondo motivo);
violazione o falsa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in
relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1, ed al d.P.R. n. 218 del 2000, nonché
violazione o falsa applicazione dell’art. 15 preleggi in relazione al rapporto tra il
d.P.R. citato e l’art. 1 della I. n. 223 del 1991, ponendo alla Corte il quesito sul se
la procedura oggetto di controversia sia da ritenere esclusivamente disciplinata
dal citato d.P.R. n. 218 del 2000, stante la dedotta abrogazione dell’art. 1, commi
7 ed 8, della L. n. 223 del 1991 (terzo motivo);
violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, e del d.P.R. n.
218 del 2000, art. 2, nonché difetti di motivazione su un punto decisivo della
controversia rappresentato dall’Accordo di Programma sottoscritto dalla Fiat nel
dicembre 2002, chiedendo alla Corte se “l’art. 2, d.P.R. n. 218/2000, nel
privilegiare la rotazione del personale e nel richiedere al datore di lavoro
l’indicazione delle ragioni ostative alla rotazione fa riferimento ad esigenze
ostative che non sono affatto di carattere assoluto ed immodificabile, ma
contingenti e mutevoli” (quarto motivo):
violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, e del d.P.R. n.
218 del 2000, art. 2, chiedendo alla Corte di affermare il principio di diritto

R.G. ri. 3920/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAcloce Relatore Amandola

abbia ritenuto che la conciliazione intervenuta in sede sindacale con il lavoratore

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

secondo il quale la stipulazione di un accordo sindacale successivo ai
provvedimenti di sospensione possa legittimamente disciplinare criteri di scelta e
di rotazione in fase di gestione della CIGS (quinto motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. e
dell’art. 1375 c.c. in relazione all’accordo sindacale del 18 marzo 2003 nonché

violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2, d.P.R. n.
218/2000, nonché omessa motivazione circa un fatto decisivo, chiedendo alla
Corte di affermare il principio di diritto per il quale il verbale di esame congiunto
redatto dal Ministero del Lavoro in data 5 dicembre 2002, provenendo da una
pubblica amministrazione, determina una presunzione di legittimità della
procedura, con inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente (settimo
motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 7, 1. n. 223 del 1991, dell’art. 5,
co. 4, 5, 6, I. n. 164 del 1975, dell’art. 2697 c.c. e dell’alt. 2, d.P.R. n. 218/2000,
in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura, invitando la
Corte ad affermare, quali principi di diritto, che le norme indicate dispongono la
comunicazione e l’esame congiunto dei criteri di scelta e delle modalità di
rotazione, senza imporre al datore di lavoro l’indicazione specifica e dettagliata di
informazioni circa le singole posizioni lavorative, e che le stesse norme
impongono di valutare la completezza delle informazioni fornite alle 00.55. sulla
base sia della comunicazione che dell’esame congiunto (ottavo motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 7, 1. n. 223 del 1991, dell’art. 5,
co. 4, 5, 6, I. n. 164 del 1975, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2, d.P.R. n. 218/2000,
nonché omessa motivazione della sentenza impugnata lamentando che la Corte
torinese si sia limitata ad una astratta valutazione della legittimità della
procedura senza riguardo alla posizione soggettiva del lavoratore collocato in
CIGS (nono motivo).

4.— I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in
quanto investono l’eccezione preliminare della società – disattesa dalla Corte
territoriale – della improponibilità dell’azione per intervenuta transazione in sede
sindacale, decisione che, secondo l’assunto della ricorrente, violerebbe l’art. 411
c.p.c., comma 3 e gli artt. 1965 e 2113 c.c., e sarebbe argomentata con una
motivazione viziata.

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAdoce Relatore Amendola

violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della I. n. 223 del 1991 (sesto motivo);

1111111•111111111~1111111111M •

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro

Si sottolinea che la conciliazione era conseguenza degli accordi sindacali
conclusi all’esito della valutazione della situazione di crisi del settore ed
esplicitamente menzionati nell’atto di conciliazione, a seguito dei quali era stata
avviata una procedura di mobilità ed erano stati individuati i lavoratori cui
proporre il licenziamento incentivato. Il giudice avrebbe dovuto tener conto che

sindacale prevista dall’art. 411 c.p.c., costituiva una complessiva rinunzia ad ogni
pretesa anche in punto di CIGS.
Le censure non possono trovare accoglimento.
Occorre premettere che l’interpretazione di un atto negoziale è riservata
all’esclusiva competenza del giudice del merito (da ultimo Cass. n. 8586 del
2015; in precedenza, ex multis, cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del
2006), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (tra le
tante, Cass. n. 9070 del 2013).
Le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti
negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla
verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo
della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 4851
del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del
2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003).
Inoltre, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la
denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione – ossia la
precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e
delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del
giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con
l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una
interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 2625 del
2010; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del
2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del
2000).
Per sottrarsi poi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo
negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una
clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito

R.G. a. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAdoce Relatore Amendola

l’adesione a tali accordi da parte del lavoratore, garantita dall’assistenza

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro

– dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n.
9120 del 2015; Cass. n. 10044 del 2010; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178
del 2007; Cass. n. 10131 del 2006).
Nella specie la Corte territoriale, con motivazione congrua, ha plausibilmente
escluso che il lavoratore, con la sottoscrizione della conciliazione, avesse inteso

quanto dalla lettera del negozio si evinceva una volontà abdicativa limitata alla
procedura di mobilità ed al licenziamento e, quindi, ai diritti nascenti dalla
risoluzione del rapporto di lavoro; ha dunque ritenuto che l’inequivocità del dato
letterale non rendesse necessarie ulteriori indagini.
L’assunto è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo cui
l’interpretazione dei contratti si fonda principalmente sul significato desumibile
dal tenore letterale del negozio, sia pure letto in connessione tra le varie parti
dello stesso, mentre gli ulteriori canoni ermeneutici legali soccorrono in caso che
dall’applicazione di quello principale residui un dubbio (v., tra le tante, Cass. n.
11751 del 2015 e Cass. n. 25949 dei 2014, pronunciate in consimili vicende
conciliative).
Né una preclusione ad ogni azione del lavoratore diretta al riconoscimento di
diritti connessi al pregresso rapporto di lavoro può evincersi da formule di
rinuncia generiche ed onnicomprensive, in contrasto con i principi enunciati da
questa Corte in materia di rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del
prestatore di lavoro, laddove non risulti accertato – con indagine di fatto – che vi
sia stata la consapevolezza da parte del lavoratore della possibile esistenza di
determinati diritti e la effettiva volontà di rinunciarvi (ex plurimis, Cass. n. 22540
del 2013; anch’essa resa in analoga controversia).

5.— Gli altri mezzi di impugnazione investono questa Corte dell’esame di

quattro questioni, così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logicogiuridico: a) rapporto tra il d.P.R. 218/2000 e l’art. 1

I. 223/1991, nel senso

dell’avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge ad opera
di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei
criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione
nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento
all’esito dell’esame congiunto tra imprenditore e oo.ss. della crisi aziendale e
delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente Madoce Reiatore Amendora

rinunciare alle spettanze connesse alla sospensione in cassa integrazione, in

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro

comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai suddetti
criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione;
c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di
accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione, con verbale
di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; d) verifica

6.— La questione sub a) è oggetto del terzo e quarto motivo di ricorso in

premessa illustrati con i quali, con plurime argomentazioni, nella sostanza si
sostiene la tesi dell’abrogazione della precedente normativa ad opera del d.P.R.
n. 218/2000.
L’assunto e le censure che lo sostengono non possono essere condivise.
L’insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell’escludere alcuna
incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno
2000, n. 218 e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la
disciplina regolamentare ad imporre all’imprenditore, che intenda chiedere
l’intervento straordinario di integrazione salariale, l’obbligo di dare tempestiva
comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo unicamente alla fase
amministrativa di concessione dell’integrazione, senza nulla dire sul contenuto
concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di
scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti
dall’art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo
nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l’informazione sui
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della
comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello
immediatamente successivo dell’esame congiunto: posto che, così opinando, il
contenuto dell’art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l’esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo, comportando solo
l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti
d’informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione
sindacale palesemente inadeguato.
Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso
prestata, richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato
(così anche da ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi

dell’art. 360 bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo

\e

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAcioce Relatore Amendoia

concreta della posizione del singolo lavoratore.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

cui: “In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la
L. n. 223 del 1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di
lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni
straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta
dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975.

osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223 del 1991,
volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli
lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in
vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la
semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa
integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della
stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto
abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a
diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza
pubblica, di concessione di integrazione salariale” (Cass. n. 28464 del 2008;
adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. nn. 2155,
2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492,
23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247,
21814 del 2013)”.
Avendo la Corte territoriale deciso la controversia al suo esame applicando un
orientamento più volte espresso dai giudici di legittimità la sentenza d’appello
non è, per questo aspetto, meritevole di censura.

7.—

La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della

comunicazione di richiesta di apertura della procedura, è oggetto dell’ottavo
motivo, in riferimento al contenuto della lettera 30 ottobre 2002, censurando la
sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inadeguata la comunicazione di
avvio della procedura.
Anch’esso è infondato.
Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della
comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame
giudiziale ai requisiti legali investe il merito in ordine al contenuto dell’atto, sicché
è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel
giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAdoce Relatore Amendola

Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va

.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6
maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la
Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio
convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.
Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità

nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri;
b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione
salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il
criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di
comunicazione previsto dall’art. 1, settimo comma I. 223/1991; c) la mancata
specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che
impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti
aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la
regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi
pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo
2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n.
7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato
(Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che
l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta
ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di
operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso
che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto,
non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. 1 luglio 2009 n.
15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass.
SS.UU. 11 maggio 2000, n. 302).

8.— La terza questione, riguardante l’efficacia sanante di accordi sindacali
raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione di sua regolarità, con verbale
di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del quinto, sesto e
settimo motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.
Essi sono tutti infondati.
Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell’accordo
sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre
in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di

v\

R.G. n. 3928/2009
Udienza 10 settembre 2015
Presidente MAdoce Relatore Amendola

dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro
Mb

un giudizio di merito, ai pari di quella concernente la comunicazione di avvio della
procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in
cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio
2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in
riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

cui, in riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale
sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in
casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è
strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di
partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai
lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere
ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate.”
(Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011,
n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).
Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed
in particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre
2002, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di
individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati

ab initio nella

comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore
asseverativo ad un documento che attesta che quell’indicazione è avvenuta solo
in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno
2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n.
26587).

9.— L’ultima questione, riguardante la verifica concreta della posizione del

singolo lavoratore, è oggetto del nono motivo in premessa descritto, parimenti
infondato.
Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall’art. 1,
settimo comma I. 223/1991, della comunicazione datoriale 30 ottobre 2002, di
avvio della procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in
esito all’esame del mezzo di impugnazione sul punto respinto, confermando il
vizio genetico della procedura, esclude la possibilità di verificare la
corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).

R.G. n. 3928/2009
Udfenza 10 settembre 2015
Presidente MAcioce Relatore Amendola

In ogni caso, questa Corte intende ribadire la recente affermazione secondo

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

10.— Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con
attribuzione.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese di lite liquidate in euro

L22E1

di cui euro 100,00 per esborsi, oltre

accessori secondo legge e spese generali al 15%, con attribuzione ai procuratori
anticipatari.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 10 settembre 2015.

P.Q.M.

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