Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21653 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 08/10/2020), n.21653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9063-2019 proposto da:

SOCIETA’ UNIPERSONALE ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE TIZIANO 110, presso lo studio dell’avvocato TABLO’

SIMONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARDOSI ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

ENI SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato SPATARO PAOLO, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati NICODEMO MASSIMILIANO, NICODEMO LUCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1200/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LIGURIA, depositata il 18/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

ritenuto che:

La ICA Imposte Comunali Affini s.r.l., società concessionaria per l’accertamento, la liquidazione dell’imposta sulla pubblicità del Comune di Albenga ricorre, nei confronti di Eni s.p.a. per 4 motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Liguria ha accolto l’appello avverso la sentenza della CTP di Savona con cui è stato confermato l’avviso di accertamento di una maggiore imposta sulla pubblicità per l’anno 2014 avente ad oggetto i messaggi pubblicitari posti sulle cornici di alcune pensiline di copertura di stazioni di rifornimento carburante situate nel Comune di Albenga, imposta calcolata con riferimento alla sua intera superficie.

La CTR per quanto qui interessa, respinte le questioni preliminari sollevate dalla contribuente in merito alla pretesa carenza di motivazione del provvedimento impugnato e quelle fatte valere dalla società concessionaria relativamente alla pretesa inammissibilità dell’appello per carenza di specificità, faceva sostanzialmente proprie le considerazioni sviluppate dall’appellante ritenendo che fosse tassabile l’intero fasciame della stazione di servizio di distribuzione del carburante.

La società Unipersonale I.C.A. impugna detta decisione sulla base di 4 motivi. L’intimata non si è costituita.

Diritto

considerato che:

Con il primo motivo di doglianza la ricorrente deduce la nullità del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta infatti che la contribuente nell’atto di gravame si sarebbe limitata alla mera trascrizione con il sistema di copia incolla del contenuto del ricorso di primo grado e alla riproposizione delle istanze istruttorie senza svolgere una critica alla sentenza impugnata.

Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Denuncia infatti che la CTR si sarebbe limitata ad una considerazione del tutto astratta non adeguata al caso concreto omettendo di spiegare le ragioni per cui per cui si dovrebbe assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario (la denominazione ed il logo del soggetto pubblicizzato),”nel momento in cui il legislatore ha previsto che non è il messaggio pubblicitario ad essere assoggettato ad imposizione ai sensi del D.L. n. 507 del 1993, art. 5, bensì a norma dell’art. 7, comma 1, il mezzo inteso come minima figura piana nell’ambito della quale il mezzo è circoscritto indipendentemente dal numero di messaggi pubblicitari in esso contenuti”.

Con il terzo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, commi 1 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica la decisione nella parte in cui ritiene imponibile ai fini in questione il messaggio pubblicitario piuttosto che il mezzo ritenendoli a torto due sinonimi. Da ultimo con il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene in particolare che la sentenza non avrebbe esaminato un fatto decisivo costituito dall’individuazione di quale sia la minima figura piana all’interno della quale i mezzi pubblicitari esposti presso le singole stazioni di rifornimento di carburante siano circoscritti ai fini della determinazione della loro superficie come base imponibile per il calcolo dell’imposta sulla pubblicità. Lamenta infatti che la CTR avrebbe omesso di accertare in punto di fatto se la maggiore superficie all’interno del quale il mezzo è circoscritto abbia-per dimensione, forma, colore, mancanza di separazione grafica rispetto all’altra ovvero quelle di una superficie estensiva del messaggio pubblicitario.

Il primo motivo è infondato.

Questa corte ha affermato che “in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello: benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulare, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non essendo imposto dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere specifici i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, le parte espositiva e le conclusioni” (Cass. 1224/2007; 2017 n. 20379; Cass. 2018 n. 32810; Cass. 32805/2018; Cass. n. 32954/18).

E’ invero necessario, in coerenza con quanto statuito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 27199 del 16/11/2017) con riguardo agli artt. 342 e 434 c.p.c., che l’impugnazione contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, sicchè alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata siano contrapposte quelle dell’appellante in vista della critica, e confutazione, delle ragioni del primo giudice.

Nel caso in esame, come emerge dall’esame della sentenza in cui sono trascritti i passaggi più significativi dell’atto di appello, l’Eni s.p.a. ha criticato la decisione del primo Giudice nella parte in cui non avrebbe vagliato le considerazioni sviluppate in linea di diritto sui presupposti applicativi dell’imposta di pubblicità e si sarebbe limitata a riprodurre l’articolo di legge che determina il calcolo della superficie espositiva dei mezzi aventi natura pubblicitaria.

Relativamente al secondo motivo va ricordato che la motivazione di una decisione giurisdizionale per relationem è ammissibile anche nel caso in cui l’atto richiamato sia un atto di parte.

Può osservarsi che esiste nell’ordinamento una norma generale che consente di redigere la motivazione (finanche di sentenze) in forma semplificata (v. l’art. 281-sexies c.p.c.); e che, per alcune tipologie di controversie, la legge processuale ha esplicitato la possibilità di adottare anche la motivazione “in forma abbreviata mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa”, senza distinzione tra atti giurisdizionali e atti di parte. Il riferimento è al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 16, comma 5, sul processo societario, norma che, per quanto oggi abrogata, costituisce valido elemento di supporto per escludere, in termini generali, l’esistenza di un divieto dell’ordinamento verso forme abbreviate di motivazione contenenti rinvii di tal genere.

Tuttavia va nel contempo precisato che una simile tecnica di motivazione, pur legittima, deve esser coordinata con la necessità di valutare la completezza e logicità dell’argomentazione in concreto riportata nel provvedimento, in sè e sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale è operato il rinvio; atto che, proprio in ragione del rinvio, deve diventare parte integrante del provvedimento rinviante.

E’ utile ricordare che una simile necessità è stata rafforzata dalle sezioni unite di questa corte, e per il processo civile e per il processo tributario, a mezzo della considerazione che la tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive del proprio provvedimento. Ma resta fermo il criterio legittimante sul piano processuale, giacchè “la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo” (Sez. un. 642-15).

Da questa prospettiva, e dal principio generale dell’ordinamento desumibile dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, valevole per gli atti amministrativi ma ancor più, e a fortiori, per l’attività del giudice, in forza dell’art. 111 Cost., si ricava che, in caso di motivazione per relationem, il rinvio va operato in modo tale da rendere sempre possibile e agevole il controllo della motivazione medesima (v. ex aliis Sez. lav. 3367 -11; Sez. 3 979-09).

Di modo che la motivazione per relationem resta ammissibile purchè però dalla giustapposizione del testo redatto dal giudice e di quello cui quest’ultimo fa rinvio risulti con sufficiente chiarezza e precisione il suo ragionamento (v. Sez. 1 n. 3920-11; conf. di recente Sez. 5 n. 20648-15; Cassazione civile, sez. I, 11/05/2016 n. 9615).

Ciò posto nel caso di specie non è possibile ricostruire l’iter argomentativo che ha condotto il Giudice di appello ad accogliere il gravame.

La CTR infatti si limita ad una mera illustrazione nel primo e terzo periodo della posizione di Ica e di Eni mentre nel secondo svolge una considerazione adesiva alle tesi della contribuente ma meramente apodittica ritenendo erroneo il presupposto di tassare come messaggio pubblicitario l’intero fasciame della pensilina della stazione di servizio di distribuzione del carburante.

Si tratta di una mera valutazione astratta del tutto avulsa dal caso concreto senza offrire una spiegazione delle ragioni per le quali dovrebbero essere assoggettate ad imposizione il solo messaggio pubblicitario (denominazione e logo) e non anche il mezzo confrontandosi con il disposto del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 7.

La misura dell’imposta relativa alla pubblicità contenente la riproduzione del marchio commerciale, va calcolata, ai sensi del menzionato articolo sulla base delle dimensioni dell’intera superficie dell’installazione pubblicitaria, comprensiva anche della parte non coperta dal marchio, solo se quest’ultima abbia, per dimensioni, forma, colore, ovvero per mancanza di separazione grafica rispetto all’altra, le caratteristiche proprie o della componente pubblicitaria aggiuntiva vera e propria ovvero quelle di una superficie estensiva del messaggio pubblicitario” (Cass. n. 15201/2004; n. 7031/2002);

Pertanto anche le fasce o cassonetti di copertura e completamento degli impianti di distribuzione possono costituire la base per il computo dell’imposta “se le superfici ulteriori, rispetto alla parte coperta dal marchio…, abbiano, per dimensioni, forme, colori o altre caratteristiche, una rilevante consistenza pubblicitaria oppure se, per mancanza di separazione grafica, abbiano la valenza di componente aggiuntiva di un messaggio pubblicitario unitario” (Cass. n. 15201/2004 citata).

Invero ogni possibile verifica di congruenza è impedita dalla estrema laconicità del testo del provvedimento, il quale neppure per sintesi ha riferito quali fossero gli elementi tratti da deduzione di parte, idonei a sorreggere il tenore della decisione.

La sentenza va cassata alla CTR della Liguria, la quale in diversa composizione provvederà alla regolazione delle spese di questa fase.

Sono assorbiti i restanti motivi.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla CTR della Liguria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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