Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21653 del 05/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 05/09/2018), n.21653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16212/2017 proposto da:

E.G., V.D., T.E.,

T.S., quali successori della cancellata U.M.A. COSTRUZIONI SRL,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI OTTAVI 9, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14,

presso lo studio dell’avvocato MARIO BRANCALEONI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 943/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – U.M.A. Costruzioni s.p.a. impugnava avanti al Tribunale di Roma il lodo arbitrale, previsto dall’art. 29 dello statuto sociale, con il quale era stata definita una controversia attinente ai rapporti sociali insorta tra la società stessa e S.M., U.M.A.; domandava dichiararsi nullo o annullarsi il lodo facendo valere la previsione di cui all’art. 808 ter c.p.c., in tema di arbitrato irrituale. Altra impugnativa, che non rileva agli stretti fini del presente giudizio, era poi proposta dalla società avanti alla Corte di appello di Roma, a norma dell’art. 825 c.p.c., comma 3, quale reclamo contro il decreto di esecutorietà del lodo. Tale impugnativa era respinta e il successivo ricorso per cassazione dichiarato inammissibile.

Il Tribunale, pronunciando a norma dell’art. 808 ter c.p.c., si dichiarava incompetente, reputando che il lodo avesse natura rituale.

2. – Proposto gravame, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 febbraio 2017, lo respingeva.

3. – Con un unico motivo di impugnazione ricorrono per cassazione T.S., T.E., V.D. ed E.G., quali successori della cancellata U.M.A. Costruzioni. Resiste con controricorso S.M.. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente deve osservarsi come parte ricorrente abbia dubitato, nella propria memoria illustrativa, della legittimità costituzionale della previsione relativa alla trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c. (nel testo novellato, oggi vigente) del ricorso per cassazione.

1.1. Questa Corte ha però già ritenuto manifestamente

infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., art. 380 bis c.p.c. (nel testo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016): difatti, con riguardo al nuovo rito camerale di legittimità “non partecipato”, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Corte Cost., sent. n. 80 del 2011), da ravvisarsi in relazione alla conformazione complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non rivestenti peculiare complessità (Cass. 2 marzo 2017, n. 5371).

2. La ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.. Lamenta, in sintesi, che il giudice di appello abbia erroneamente conferito natura rituale all’arbitrato sulla base del principio per cui, nel dubbio, lo stesso debba ritenersi tale. Sostiene che, di contro, nella persistente incertezza quanto al contenuto della volontà dei contraenti, l’arbitrato debba ritenersi irrituale.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Anzitutto esso è carente della necessaria specificità, dal momento che all’interno del ricorso non è riprodotto il tenore della clausola arbitrale; va qui ricordato che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784). Il ricorso per cassazione, d’altra parte, nemmeno specifica la localizzazione, all’interno dei fascicoli di causa, dello statuto contenente la controversa disposizione, risultando con ciò violata la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., n. 6 (cfr., in tema, Cass. 24 ottobre 2014, n. 22607).

In secondo luogo, il motivo è incentrato sul rilievo per cui il nodo sull’incertezza interpretativa relativa alla natura dell’arbitrato debba sciogliersi nel senso dell’irritualità dell’arbitrato stesso, ma non censura, se non in modo generico, e quindi inefficace, l’affermazione della Corte capitolina secondo cui la disposizione arbitrale “non evidenzia alcuna manifestazione di volontà derogatoria attesochè, come giustamente osservato nella sentenza impugnata, la clausola prevista dall’art. 29 dell’atto costitutivo della U.M.A. Costruzioni s.r.l. non contiene alcuna manifestazione esplicita di derogare alle norme dell’arbitrato in favore dell’arbitrato libero o irrituale, in quanto gli unici riferimenti letterali esistenti, relativi alla possibilità degli arbitri di decidere secondo equità in assenza di formalità e di rinunciare all’appellabilità della decisione, non sono affatto incompatibili con la natura dell’arbitrato rituale”. In tal senso, la Corte di Roma ha ritenuto che l’interpretazione della clausola non fornisse elementi per ritenere che le parti avessero espressamente derogato alla competenza arbitrale (conclusione, questa, che lo stesso giudice distrettuale reputa confermata dalla condotta tenuta da U.M.A. Costruzioni nel corso della vicenda portata al suo esame, avendo particolarmente riguardo al fatto che la società, in sede arbitrale, non aveva sollevato alcuna contestazione sul potere degli arbitri di decidere secondo le norme dell’arbitrato rituale: cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). E tale ratio decidendi appare senz’altro idonea, sul piano giuridico e logico, a sorreggere la decisione, giacchè l’art. 808 ter c.p.c., postula che, per escludere che il lodo abbia l’efficacia propria della sentenza pronunciata a seguito di arbitrato rituale (art. 824 bis c.p.c.), è necessario che le parti dispongano espressamente per iscritto che “la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale” (il punto è specificamente affrontato da Cass. 7 aprile 2015, n. 6909, in motivazione). Il buon fondamento della decisione impugnata non è del resto compromesso dal richiamo, da parte dei ricorrenti, al contenuto del lodo, nella parte in cui è fatta ivi menzione di una potestà degli arbitri di disapplicare nome di diritto: ciò in quanto è lo stesso art. 822 c.p.c., ad ammettere la possibilità che, in sede di arbitrato rituale, gli arbitri decidano secondo equità.

3. – Il ricorso deve dunque dichiararsi inammissibile.

4. Segue la condanna degli istanti, soccombenti, al pagamento delle spese processuali.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida Euro, 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

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