Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21652 del 20/09/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21652 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 23185-2007 proposto da:
DI NAPOLI LUIGI DNPLGU50M19L074N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 72, presso lo studio
dell’avvocato DI NAPOLI ROBERTO, rappresentato e
difeso dall’avvocato BOSANO-JOLY LUIGI giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013
1171

contro

FALLIMENTO DINAUTO DI NAPOLI LUIGI & C. S.A.S
02161801002 e per il socio accomandatario DI NAPOLI
LUIGI in persona del Curatore pro tempore Dr. IVAN

1

Data pubblicazione: 20/09/2013

CARPENTIERI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CALABRIA
MORLACCHINI

56,

presso
FILIPPO,

lo

studio

rappresentati

dell’avvocato
e

difesi

dall’avvocato FRANCO MASSIMO giusta delega in atti;
– controricorrenti –

FAMAS S.R.L., DI NAPOLI FEDERICO, FEDERICO MARIA IN
DI NOIA, FEDERICO MARTINO DARIO, FEDERICO GIUSEPPE,
TONDO GIUSEPPE, CASTO DEBORA, CONDOMINIO BELVEDERE,
BANCO NAPOLI, BANCA POPOLARE PUGLIESE, DI NAPOLI ANNA
MARIA, FEDERICO ALDO GIOVANNI, FEDERICO ANTONIETTA,
FEDERICO CRISTINA VALBELLA, MONTE DEI PASCHI DI
SIENA, GUZZO MICHELE, FEDERICO GIUSEPPE ANTONIO,
FEDERICO GIUSEPPINA O GIUSEPPA, FEDERICO GIOVANNI
RODOLFO, SANTACROCE VERA, FEDERICO MARIA LEDA,
MIGGIANO MARIA CARMELITANA, SCIGLIUZZO MARIA LUCIA,
FALLIMENTO MARRA FLAVIO & MARRA GIORGIO, FALLIMENTO
MARRA, TIMO COSIMO, CARPENTIERI IVAN, FEDERICO AIDA
ADELE, COMUNE SANTA CESAREA TERME, DI NAPOLI LUIGI,
FEDERICO RODOLFO DI GUERINO, TANZA ANTONIO, FIME
FACTORING SP. IN LIQUIDAZIONE, PRIMICERI SALVATORE,
FEDERICO ANTONIO MARIO, MARRA MARIA ROSARIA, MARRA
ADRIANO, FEDERICO LUIGI COSIMO, SOBARIT S.P.A.,
FEDERICO EMILIO, FEDERICO GIOVANNI GIUSEPPE, DI
NAPOLI M. CRISTINA, FEDERICO IMMACOLATA O MARIA
IMMACOLATA, FEDERICO LILIANA ANTONIA, FEDERICO MARIA,

2

nonchè contro

PICECI VITTORIO, D’AGNANO ANNA MARIA, FEDERICO FRANCO
GIUSEPPE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 841/2007 del TRIBUNALE di
LECCE, depositata il 10/05/2007, R.G.N. 8446/2004;

udienza del 28/05/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso
preliminarmente per la trasmissione di copia degli
atti alla Procura Generale per quanto di competenza,
nel merito per l’inammissibilità del ricorso;

3

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Luigi Di Napoli ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 10
maggio 2007, con la quale il Tribunale di Lecce ha rigettato un’opposizione agli atti
esecutivi da lui proposta contro il Fallimento della Dinauto di Napoli Luigi & C. s.a.s. e del
socio accomandatario Di Napoli Luigi, nonché contro numerosi altri soggetti.

Quindi nella pagina recante la numerazione “due” indica come ulteriori parti contro
cui è proposto una serie di soggetti persone fisiche e precisamente: Di Napoli Anna Maria,
Di Napoli Federico, Di Napoli Luigi, Di Napoli M. Cristina, Di Napoli Aida Adele, Di
Napoli Aldo Giovanni, Di Napoli Antonietta, Di Napoli Antonio Mario, Di Napoli Cristina
Valbella, Di Napoli Emilia, Di Napoli Franco Giuseppe, Di Napoli Giovanni Giuseppe, Di
Napoli Giusepe Antonio, Di Napoli Giuseppina, Di Napoli Giovanni Rodolfo, Di Napoli
Rodolfo di Guerino, Di Napoli Immacolata, Di Napoli Liliana Antonia, Di Napoli Luigi
Cosimo, Di Napoli Maria, Di Napoli Maria in Di Noia, Di Napoli Maria Leda, Di Napoli
Martino Dario, Miggiano Maria Carmelitana, Federico Giuseppe.
Indica, poi, nella pagina “tre”, come creditori intervenuti con titolo esecutivo, i
seguenti soggetti: Sobart s.p.a., Scigliuzzo Maria Lucia, Fai!. Marra Flavio e Marra
Giorgio, Banca Monte dei Paschi di Siena, Comune di Santa Cesarea Terme, Piceci
Vittorio, D’Agnanio Anna Maria, Guzzo Michele, Marra Maria Rosaria, Marra Adriano.
Indica ancora come creditori non muniti di titolo esecutivo, sempre nella pagina “tre”
Luigi Di Napoli e Giuseppe Tondo, Fall. Marra, Debora Casto, Vera Santacroce e Banco di
Napoli.
Il ricorso, peraltro, reca in chiusura relate di notifica anche nei confronti di una serie
di altri soggetti.
§2. Al ricorso ha resistito con controricorso il Fallimento della Dinauto di Napoli
Luigi & C. s.a.s. e del socio accomandatario Di Napoli Luigi.
§3. Essendosi reputato il ricorso soggetto alla disciplina di cui al d.lgs. n. 40 del
2006, in ragione dell’epoca di pronuncia del provvedimento impugnato, ed essendosi
ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c.,
venne redatta relazione ai sensi di tale norma, che venne notificata alle parti costituite e
comunicata al Pubblico Ministero.
§4. In vista dell’adunanza della Corte, fissata per il 15 gennaio 2009, il ricorrente
depositava memoria.

Est. Cons Raffaele Frasca

Il ricorso, indica nella prima pagina d’essere proposto contro il detto Fallimento.

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

§5. La mattina dell’adunanza parte ricorrente faceva pervenire via fax “denuncia e
sollecitazione”, personalmente da lui sottoscritta, indirizzata al Primo Presidente della
Corte, al Procuratore Generale presso di essa, al Ministro della Giustizia, al Presidente
della Terza Sezione Civile ed a tutti i componenti del Collegio designato alla trattazione,
nonché per conoscenza al Presidente della repubblica e al Presidente del Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo. Essa veniva qualificata come “pericoloso e spregiudicato tentativo di

milioni di euro”.
§6. Il Collegio, non potendo percepire l’esatto contenuto dell’atto, data la fissazione
nell’adunanza di varie decine di ricorsi (quello in esame era il n. 66 del ruolo), rinviava,
per evidenti ragioni di opportunità, alla Pubblica udienza.
§7. La trattazione del ricorso è stata fissata per l’odierna udienza, in vista della quale
parte ricorrente ha depositato memoria.
§7.1. Il giorno dell’odierna udienza il ricorrente faceva pervenire a mezzo fax alla
Cancelleria, che attestava il pervenimento ad ore 10.30, allorquando il ricorso stava per
essere discusso con l’intervento del Pubblico Ministero, nessuno essendo comparso per le
parti, nuovo atto di “denuncia e sollecitazione”, a firma del Luigi Di Napoli, indirizzato nei
medesimi termini dell’altro cui s’è fatto riferimento, salvo per quanto riguarda i
componenti del Collegio, dei quali venivano indicati il Presidente, il Relatore e due altri
membri.
Seguiva la discussione da parte del solo Pubblico Ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Preliminarmente deve disattendesi l’eccezione di improcedibilità del ricorso per
pretesa intempestività del suo deposito, prospettata dalla Curatela Fallimentare resistente.
L’eccezione trascura che il termine per detto deposito decorreva dall’ultima
notificazione e, particolarmente dal suo perfezionamento (art. 369, primo comma, c.p.c.) e
sotto tale profilo risulta tempestivamente avvenuto.
§2. Il Collegio ritiene in via pregiudiziale di dovere rilevare l’inammissibilità del
ricorso per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c., relativo all’esposizione
sommaria dei fatti di causa, come aveva ipotizzato la relazione depositata in funzione della
trattazione nell’adunanza in camera di consiglio ed aveva, inoltre, eccepito parte resistente.

Est. Cons.RaffaeIe Frasca

coinvolgere alcuni Magistrati della Suprema Corte in un torbido affare di oltre cinquanta

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

§2.1. Al riguardo, il Collegio osserva che, in disparte la ragione per cui venne
disposta la rimessione alla pubblica udienza, se anche essa fosse avvenuta per non essere
state ritenute sussistenti le ragioni di cui all’art. 375 c.p.c., fossero state esse quelle indicate
nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis nel testo introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2006,
ovvero altre, la relativa valutazione non sarebbe stata in alcun modo vincolante in questa
sede, posto che l’ordinamento, nel detto testo di cui all’art. 380-bis (ma non diversa
valutazione merita quello introdotto dalla 1. n. 69 del 2009) non prevedeva, a proposito

della rimessione alla pubblica udienza a seguito di adunanza della Corte in camera di
consiglio alcun vincolo per la Sezione chiamata a pronunciarsi in udienza pubblica,
derivante dalla relativa valutazione, che non doveva (come non deve nel testo attualmente
vigente) essere nemmeno motivata.
§2.2. Le ragioni per cui il ricorso non osserva l’art. 366 n. 3 sono le seguenti.
La struttura del ricorso, per quanto attiene alla vicenda del fatto sostanziale oggetto
del processo e del fatto processuale nelle fasi di merito, dopo avere riferito alcuni antefatti
rispetto all’instaurazione del giudizio di opposizione agli atti, si limita a riprodurre il
contenuto dell’atto introduttivo del detto giudizio e, una volta esaurito tale contenuto, passa
direttamente all’enunciazione ed illustrazione dei motivi, senza fornire alcun’altra
specificazione sulla vicenda seguita alla proposizione dell’opposizione e, particolarmente
su chi svolse difese in esso nel relativo giudizio e sul loro tenore. Queste indicazioni, del
resto, non sono enunciate nemmeno nella illustrazione dei motivi. Nemmeno si fa
riferimento alcuno alla gestione dello svolgimento processuale da parte del Tribunale. E
neppure si riassume sebbene sommariamente il tenore della sua decisione.
In proposito, in punto di rilievo del requisito della esposizione sommaria dei fatti di
causa, si rileva che <> (ex multis,
Cass. n. 7825 del 2006; n. 12688 del 2006).
Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto,
precisato che <>. E, in applicazione di tale principio si è
dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che
avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio
dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per
tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello) (Cass. n.
4403 del 2006).

Adde ancora: Cass. n. 15808 del 2008, secondo cui <>; nello stesso senso: Cass. n. 5660 del 2010;
Cass. n. 2831 del 2009, secondo cui <>;
Cass. n. 16315 del 2007, secondo cui <>.
Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della
detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto
omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004).
§2.2.1. Ora, il ricorso, atteso il modo in cui è strutturato e che sopra è stato descritto,
non rispetta in alcun modo la giurisprudenza appena richiamata.
Detta struttura si risolverebbe nel postulare che la Corte debba scrutinare i motivi
sulla base della sola riproduzione dell’atto introduttivo del giudizio di merito e senza che
sia stata messa i grado di ricevere una pur sommaria descrizione del successivo
svolgimento processuale e del tenore della sentenza impugnata in correlazione con esso.
Parte ricorrente, come già aveva fatto nella memoria depositata in vista
dell’adunanza in camera di consiglio, anche nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378
c.p.c., ancorché l’eccezione di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 3 c.p.c. fosse anche
eccezione prospetta dalla controparte e la relazione avesse provocato il contraddittorio sul
punto, si è dettutto astenutculal prospettare considerazioni al riguardo.
§3. Peraltro, se fosse stato possibile superare il rilievo di inammissibilità ai sensi
dell’art. 366 n. 3 c.p.c., la struttura del ricorso dalla pagina ventuno alla pagina ventinove,
che succede, sotto la rubrica “motivi” alla parte che si chiude con la riproduzione del
ricorso introduttivo del giudizio di merito, risulta anche di difficile discernimento quanto
alla individuazione dei motivi con riferimento al paradigma dell’art. 360 c.p.c.
§3.1Queste le ragioni:
7
Est. Cons. Itaffaele Frasca

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

a) nella stessa pagina ventuno, infatti, si enuncia prima “difetto di motivazione”, così
suggerendo l’idea che ci si rapporti al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e che, dunque, si prospetti un
vizio relativo alla c.d. quaestio facti, ma, immediatamente dopo, di seguito ad un punto 1)
si enuncia, così sembrando sottintendere un complesso motivo di violazione di norme del
procedimento, la seguente proposizione: “Ai sensi degli artt. 360 — 132 — 51 — 158 c.p.c.,
per difetto di costituzione del giudice ed omessa sospensione del processo”;
b) seguono nove righe delle quali è impossibile percepire il senso, per chi non

conosca il compiuto svolgimento del processo nelle fasi di merito e che anzi rivelano che
le norme del procedimento concernerebbero altro giudizio ;
bl) quindi, dopo la parola “quesito”, segue l’indicazione di circostanze che la Corte
dovrebbe chiarire, la quale sviluppa, in modo nuovamente incomprensibile, per chi non
abbia quella conoscenza, considerazioni che finiscono al penultimo rigo della pagina
seguente e nelle quali non si coglie un quesito di diritto;
c) nel penultimo rigo si riproduce nuovamente la parola “quesito” seguita dal
seguente interrogativo: <>: l’interrogativo è del tutto astratto e privo di minimi riferimenti
alla vicenda concreta oggetto del giudizio ed alla motivazione della sentenza impugnata,
che permettano di attribuirgli conclusività ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.;
cl) L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione
impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto
oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per
concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questè contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).
8
Est. Consi. Ra ele Frasca

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche

funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a
pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al terzo comma
dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto
come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che
il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di
contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi
con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era
parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi
compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo
della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente

Est. Cons.tRaeIe Frasca

privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata

criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.
d) al quarto rigo della pagina ventitre, sotto un punto 2) si enuncia, così
supponendosi un diverso motivo: “ai sensi degli artt. 360-132c.p.c. per omessa esposizione
dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”;

dl) segue un’illustrazione di tre pagine fino alle prime due righe della pagina
ventisei, dopo di che si enuncia un “quesito”, che si estende fino alle prime quattro righe
della pagina successiva, ma l’esposizione non somministra un quesito di diritto, bensì si
articola con considerazioni argomentative, di difficile intelligenza per chi ricrè stato messo
in grado di conoscere adeguatamente il fatto sostanziale e processuale;

d2) segue immediatamente dopo altro “quesito” del seguente tenore: <<è necessario che l'Ecc.ma Corte dica se il sequestro penale ex art. 321 c.p.p. in relazione agli artt. 629644 c.p. della sentenza di fallimento espressamente finalizzato ad impedire la liquidazione del patrimonio consenta la prosecuzione della procedura fallimentare con la sostituzione degli organi fallimentari e se sia consentito al giudice delegato di disattendere il provvedimento di sequestro e procedere alla liquidazione del patrimonio del fallito>>:
anche per questo “quesito” valgono, in disparte stavolta anche la scarsa chiarezza come
interrogativo astratto, le considerazioni in punto di detto di conclusività esposte in
precedenza per l’altro quesito, dato che nessun riferimento (comprensibile) pur sommario
alla vicenda ed alla sentenza impugnata in esso si coglie;
e) segue nella pagina ventisette un punto 3), che è privo di intestazione e che non è
dato percepire come motivo ed in fine alla pagina successiva un’affermazione a carattere
maiuscolo che non è parimenti dato percepire come altro motivo e che è del seguente

10
Est. Cons. Ra

e Frasca

anche e proprio dall’esegesi che dla norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un

R.g.n. 23185-07 (ud. 28.5.2013)

tenore: «Inesistenza e/o genericità della motivazione inerente il decreto reclamato.
Mortificazione e violazione dei diritti della difesa».
§3.2. La struttura della parte del ricorso che dovrebbe esporre i motivi, in tal modo,
oltre a confermare la già decisiva rilevanza della carenza del requisito dell’art. 366 n. 3
c.p.c., evidenzia un’oggettiva difficoltà anche di percepire i motivo e, soprattutto, dove essi
si percepiscono, palesa l’inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c., che sussisterebbe anche

dei momenti di sintesi espressivi della c.d. “chiara indicazione”, cui alludeva l’art. 366-bis
(secondo i principi di cui a consolidata giurisprudenza di questa Corte, a partire da Cass.
(ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n. 20603 del 2007).
§4. Il ricorso dev’essere conclusivamente dichiarato inammissibile.
La sua inammissibilità rende inutile dare rilievo alla sua proposizione anche contro
soggetti che non figurano formalmente come parti nella sentenza impugnata (e della cui
legittimazione, peraltro, non si fornisce una chiara specificazione).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, ai sensi del d.m. n.
140 del 2012.
§5. Il Collegio, come da separata ordinanza, dispone che l’atto oggi fatto pervenire
alla Corte dal Di Napoli (irrilevante ai fini del decidere, come già quello pervenuto in vista
della pregressa adunanza, e, comunque, del tutto irrituale, sia quoad tempus, sia quoad
forma), in quanto vi si denunciano ipotetici fatti di reato e se ne chiede la trasmissione ai
sensi dell’art. 331 c.p.p., sia rimesso alla Procura Generale presso la Corte, come richiesto
dal P.G. d’udienza, unitamente a copia degli atti del fascicolo d’ufficio.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla
parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro tremila, di cui
duecento per esborsi, oltre accessori come per legge. Dispone, come da separata ordinanza,
trasmettersi copia degli atti del fascicolo d’ufficio della Corte alla Procura Generale presso
la Corte, unitamene all’atto di “denuncia e sollecitazione” fatto oggi pervenire a mezzo fax
a forma di Luigi Di Napoli.
Così deciso in Roma, nella Camera
magio 2013.

consiglio della Terza Sezione Civile, il 28

qualora si intendessero dedotti vizi ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., attesa la mancanza

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