Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21650 del 08/10/2020
Cassazione civile sez. VI, 08/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 08/10/2020), n.21650
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7009-2019 proposto da:
A.E., A.G., nella loro qualità di soci e
co-amministratori della società partecipata MARTINA COSTRUZIONI di
A.E. e G. SNC, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
PREMUDA, 18, presso lo studio dell’avvocato ILARIA DI MUCCIO,
rappresentati e difesi dagli avvocati VINCENZO BANFI, FABRIZIO
PERNA;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4883/18/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE del LAZIO, SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il
10/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO
FRANCESCO ESPOSITO.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 10 luglio 2018 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, rigettava l’appello proposto da A.E. e A.G., nella loro qualità di soci e di co-amministratori della Martina Costruzioni di A.E. e G. s.n.c., avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Frosinone che aveva respinto il ricorso proposto dalla società e dai due soci contro gli avvisi di accertamento, relativi all’anno d’imposta 2010, concernenti – rispettivamente – il reddito d’impresa societario e il reddito di partecipazione dei soci. Riassunte le ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado e rilevato che il primo giudice aveva chiarito che, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente, per inficiare l’accertamento dell’Agenzia delle entrate, è tenuto a indicare specificamente gli elementi concreti che smentiscono la tesi dell’Ufficio, osservava la CTR che gli appellanti non avevano apportato alcuna nuova evidenza rispetto alla situazione ricostruita dall’Agenzia, adducendo una sterile critica alle presunzioni dell’Ufficio senza riuscire a contrastare il giudizio formulato dal primo giudice.
Avverso la suddetta sentenza, con atto dell’11 febbraio 2019, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Sulla proposta dei relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con unico mezzo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., Sostengono che la sentenza impugnata si presentava del tutto carente nel motivare le ragioni poste a fondamento del rigetto dell’appello, violando in tal modo gli artt. 342 e 434 c.p.c.. Rilevano che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 27199 del 2017), resta “escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”. Chiedono che questa Corte affermi il mancato rispetto del principio sopra enunciato, evidenziando che la CTR aveva emesso una decisione che “rientra paradigmaticamente nelle gravi anomali argomentative” e che si pone “al di sotto del minimo costituzionale”.
Il ricorso è inammissibile.
Giova rammentare che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, atteso che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione della decisione medesima (Cass. n. 185 del 2014, Cass. n. 4036 del 2011, Cass. n. 17125 del 2007).
Nella specie, i ricorrenti hanno censurato la decisione impugnata denunciando la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., concernenti il contenuto dell’atto di appello, e sostenendo che la CTR non aveva considerato che il giudizio di appello aveva natura di revisio prioris instantiae; hanno dedotto la carenza di motivazione sul punto della decisione gravata, motivazione che si porrebbe “al di sotto del minimo costituzionale”.
Orbene, le censure mosse con il ricorso per cassazione si palesano prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata. La CTR, invero, pur rilevando la genericità dell’appello, lo ha ritenuto comunque ammissibile, pronunciandosi poi nel merito e rigettando il gravame sul rilievo che gli appellanti non avevano offerto elementi idonei ad inficiare le risultanze dell’accertamento, essendosi limitati ad una sterile critica alle presunzioni dell’Ufficio e senza riuscire a confutare il giudizio espresso dal giudice di primo grado. Le doglianze formulate con il ricorso non investono la suddetta statuizione, concernente il merito della controversia e segnatamente – il mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sui contribuenti, vertendo invece – come reso palese dal richiamo alla pronunzia delle Sezioni Unite – su profili formali attinenti al contenuto e alla natura dell’atto di appello e quindi, in definitiva, all’ammissibilità dell’impugnazione proposta.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020