Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21650 del 05/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 05/09/2018), n.21650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14982/2017 proposto da:

V.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PIETRALATA

320, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO GARZULINO;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTAMI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato REMIGIO BELCREDI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 105/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – V.V. evocava in giudizio la Banca Popolare di Novara s.p.a., oggi Banco BPM s.p.a., domandando la condanna della convenuta alla ripetizione di somme da questa indebitamente percepite (per anatocismo, interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, spese e competenze) nel corso di un rapporto di apertura di credito su conto corrente ordinario, cui era affiancato un conto anticipi.

Il Tribunale di Verbania, sezione distaccata di Domodossola, a seguito dell’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio, condannava la banca alla restituzione della somma complessiva di Euro 63.927,28, escludendo che il credito fatto valere dall’attore si fosse estinto, anche parzialmente, per intervenuta prescrizione.

2. – In sede di gravame tale sentenza veniva parzialmente riformata. Infatti, la Corte di appello di Torino rideterminava l’importo dovuto al correntista ritenendo prescritte le rimesse solutorie poste in atto da V. nel decennio anteriore alla proposizione del giudizio (e cioè eseguite nel periodo intercorrente tra l’inizio del rapporto e il 25 gennaio 2000). In tal senso, richiamando le risultanze della consulenza tecnica disposta in fase di gravame, la Corte piemontese osservava che l’ammontare complessivo delle somme ripetibili dal predetto V. fosse pari a Euro 33.279,678.

3. La sentenza è stata impugnata per cassazione sia da quest’ultimo che dalla banca. L’impugnazione principale di V. consta di un unico motivo, illustrato da memoria, mentre quella incidentale di Banco BPM si fonda su tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso principale denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Assume, in sintesi, il ricorrente che l’importo di Euro 33.279,68, quantificato dal consulente tecnico, corrisponderebbe all’ammontare delle somme suscettibili di ripetizione maturate con riguardo al solo periodo intercorrente tra il 1 gennaio 1995 e il 25 gennaio 2000; a tale somma avrebbe dovuto aggiungersi l’importo di Euro 21.515,97, pari a quanto indebitamente corrisposto dal correntista nel periodo successivo, secondo quel che fu accertato dal consulente tecnico nel corso del giudizio di primo grado.

Il motivo è inammissibile, e così il ricorso.

L’istante si duole, in buona sostanza, del travisamento della consulenza tecnica d’ufficio, avendo la Corte di merito riferito, impropriamente, il valore di Euro 33.279,68 all’ammontare complessivo degli indebiti pagamenti suscettibili di ripetizione nell’intero arco del rapporto (laddove, di contro, quella somma avrebbe pacificamente riguardato i pagamenti privi di titolo posti in essere dal correntista in un arco di tempo più ristretto).

Il vizio denunciato non è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè quello che viene lamentato è un errore percettivo: l’aver ritenuto il giudice pacifica una circostanza di causa, basandosi sulla mera assunzione acritica di un dato insussistente. Ma ove il ricorso per cassazione sia fondato su di un tale travisamento delle risultanze della consulenza tecnica, esso è inammissibile: in questa ipotesi è piuttosto esperibile, difatti, il rimedio della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass. 17 maggio 2012, n. 7772; Cass. 25 gennaio 2002, n. 885).

Per invocare con successo il vizio della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, è del resto necessario che su quel determinato fatto (primario o secondario) le parti abbiano dibattuto nel giudizio di merito: ciò che l’odierno istante ha mancato di indicare nel proprio ricorso per cassazione. Vero è che una indicazione, al riguardo, è contenuta nella memoria depositata dall’istante ex art. 380 bis c.p.c.: ma con tutta evidenza, tale indicazione risulta essere tardiva. Vale infatti, sul punto, quanto ripetutamente affermato da questa Corte intorno ai limiti delle deduzioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. (scritto difensivo, quest’ultimo, che assolve alla medesima funzione che è propria della memoria ex art. 380 bis c.p.c.): e cioè che i vizi di genericità o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria suddetta, la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente inammissibili (Cass. 7 marzo 2018, n. 5355; Cass. 25 febbraio 2015, n. 3780).

2. – Il primo motivo di ricorso incidentale oppone la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.. La banca istante richiama la propria seconda comparsa conclusionale di appello, ove aveva sottolineato che il consulente tecnico era incorso in errore avendo egli “eliminato dal conto tutti gli addebiti illegittimi entro fido senza ricercare le rimesse solutorie che li pagavano” e nella sostanza “considerato solutorie solo le rimesse che venivano a pagare addebiti illegittimi oltre fido”. In tal modo, ad avviso della ricorrente, erano stati violati l’art. 112 c.p.c., che impone al giudice di pronunciare su tutte le eccezioni formulate dal convenuto e l’art. 115 c.p.c., secondo cui devono essere poste a fondamento le prove, anche costituende, da valutarsi nella loro interezza.

Col secondo mezzo viene lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La censura verte sulla questione oggetto del primo motivo e il fatto storico che si denuncia non essere stato preso in considerazione è costituito dalle rimesse solutorie poste in essere dal ricorrente in data anteriore al 25 gennaio 2000.

Il terzo motivo di ricorso incidentale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1193,2033,2934 e 2935 c.c.. Secondo la banca l’operato del consulente d’ufficio, che la Corte di appello aveva fatto proprio, si poneva in contrasto con le norme suddette; viene lamentato, in particolare, che il c.t.u. abbia mancato di verificare se l’azione di ripetizione con riferimento agli addebiti entro i limiti del fido si fosse prescritta.

I tre motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, affrontando essi la medesima questione da prospettive diverse, non sono fondati.

Di certo non ricorre il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., dal momento che la Corte di merito ha preso in considerazione le deduzioni dei consulenti di parte (poi riprese dalla ricorrente incidentale nella seconda comparsa conclusionale di appello)e le ha disattese, osservando come esse non consistessero in una precisa e analitica confutazione dei conteggi del consulente e nella prospettazione di un ragionevole e alternativo criterio di calcolo che fosse “conforme alle indicazioni della Corte”.

Ma è pure da escludere che nel recepire la consulenza tecnica la sentenza impugnata sia incorsa negli altri vizi di cui la ricorrente incidentale si duole.

Proprio avendo riguardo ai brani dell’elaborato peritale trascritti nel controricorso deve ritenersi che il consulente, al di là di alcune improprietà terminologiche, abbia inteso escludere che le rimesse operate nei limiti del fido integrassero pagamenti: il che è pienamente conforme agli insegnamenti di Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, secondo cui la prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ accipiens. D’altro canto, non vi è alcuna evidenza che dia puntualmente ragione dell’errore metodologico che la banca imputa al consulente tecnico; ed è appena il caso di sottolineare, in proposito, come un elemento in tal senso non possa certo desumersi dall’ammontare complessivo delle rimesse solutorie conteggiate dall’ausiliario: dato, quest’ultimo, privo di alcuna decisività, giacchè riferito all’insieme dei pagamenti effettuati dal correntista per ripianare pregresse esposizioni debitorie (le quali sono costituite non solo da interessi, ma anche da capitale, commissioni e spese). L’assunto per cui, dunque, il c.t.u. avrebbe considerato solutorie “solo le rimesse che venivano a pagare addebiti illegittimi oltre fido” integra un’affermazione priva di supporto alcuno.

3. In conclusione, il ricorso principale è da dichiarare inammissibile, mentre quello incidentale deve essere rigettato.

4. – La soccombenza reciproca delle parti dà ragione della integrale compensazione delle spese di giudizio.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta quello incidentale e compensa le spese di giudizio; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

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