Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21649 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.A. e S.N., rappresentati e difesi

dall’Avvocato Bruno Ciarmoli, con domicilio eletto presso il Dott.

Ferdinando Montaldi in Roma, via Licio Giorgieri, n. 82;

– ricorrenti –

contro

SA.Gi. e D.S.G., rappresentati e difesi

dall’Avvocato Fernando Donnini;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari n.

1058/2015 pubblicata in data 10 luglio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 maggio 2019 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 18 ottobre 2007, B.A. e il figlio S.N., proprietari di un fondo agricolo in (OMISSIS), parzialmente occupato dai proprietari confinanti, coniugi Sa.Gi. e D.S.G., chiesero di condannare gli stessi al rilascio della porzione occupata e al risarcimento dei danni.

Espletata c.t.u. e acquisita prova orale, il Tribunale di Lucera, con sentenza in data 7 giugno 2012, qualificò la domanda come di rivendicazione e la rigettò, non avendo gli attori dato piena prova del proprio diritto, e compensò le spese processuali.

2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria in data 10 luglio 2015, la Corte d’appello di Bari ha rigettato l’appello principale della B. e del S. e ha accolto l’appello incidentale dei coniugi Sa. – D.S. e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha così provveduto:

ha condannato la B. e il S. a pagare integralmente le spese della c.t.u. espletata in primo grado;

ha condannato la B. e il S. a rifondere le spese processuali sostenute in primo grado, distratte in favore del difensore antistatario;

ha confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando gli appellanti in via principale a rifondere agli appellati e appellanti in via incidentale le spese processuali del gravame.

2.1. – A tale esito la Corte d’appello è pervenuta:

ritenendo evidente la natura di rivendicazione e non di regolamento di confini dell’azione proposta e dichiarando inammissibile la mutatio libelli effettuata in sede di gravame dagli attori; giudicando infondato il motivo di impugnazione con cui gli appellanti in via principale avevano contestato l’assunzione delle prove orali chieste da controparte a sostegno della tardiva eccezione di usucapione, e ciò sul rilievo che il Tribunale, dato atto della tardività dell’eccezione, si era limitato ad assumere le controprove dell’usucapione invocata dagli attori;

– dichiarando inammissibili le censure di errata interpretazione dei titoli di proprietà da parte del Tribunale derivante da un’errata lettura della c.t.u., poichè la c.t.u. e la relativa interpretazione furono effettuati nell’ambito dell’azione di rivendicazione, che gli appellanti hanno abbandonato per sostituirla irritualmente con il regolamento di confini;

ritenendo le ragioni utilizzate dal Tribunale per pervenire alla compensazione delle spese processuali (l’esistenza di titoli di proprietà configgenti tra loro e la peculiarità della fattispecie) inidonee a derogare al principio della soccombenza, tanto più alla luce della inopinata mutatio libelli effettuata in appello, “indice univoco di scarsa correttezza degli appellanti”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la B. e il S. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 1 settembre 2015, sulla base di quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

In prossimità della Camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) i ricorrenti si dolgono che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciarsi sul thema decidendum della controversia e sul relativo motivo di appello, rappresentato dal confine esistente tra i due fondi in questione e sulla sua conformazione. Avrebbe errato il giudice di merito a qualificare come di rivendica l’azione esercitata in primo grado: al di là della intestazione dell’atto di citazione e delle formule di rito adoperate nel corso del primo grado, sarebbe emersa una situazione che, lungi dal poter essere qualificata come di contrasto tra titoli di acquisto, era (ed è) di incertezza circa la estensione della particella (OMISSIS) e della particella (OMISSIS) e circa il confine tra i fondi. Infatti – sostengono i ricorrenti – già dinanzi al Tribunale di Lucera da un lato gli attori producevano i titoli relativi alla particella (OMISSIS) e alla sua estensione, conformi ai dati catastali presenti nelle mappe censuarie e riportati nei titoli, mentre dall’altro i convenuti, decaduti dalla possibilità di far valere l’eccezione di usucapione del fondo per tardività della costituzione in giudizio, producevano i titoli relativi alla particella (OMISSIS), asserendo però che la loro proprietà si estendeva anche sulla porzione contesa della particella (OMISSIS) e affermando altresì il possesso ininterrotto e pacifico ultraventennale sulla predetta porzione. Nel qualificare l’azione esercitata, la Corte d’appello non avrebbe dovuto lasciarsi condizionare dalle formali parole utilizzate dagli attori, ma avrebbe dovuto tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva, nonchè della finalità perseguita. Secondo i ricorrenti, avrebbe errato la Corte di Bari a dichiarare inammissibile il motivo di appello e a omettere la pronuncia sul regolamento di confini. Con l’atto di gravame, gli appellanti in via principale non avrebbero allegato nè fatti nuovi nè nuove circostanze, ma si sarebbero limitati ad evidenziare che, alla luce della causa petendi e del petitum, come cristallizzati nel corso del giudizio di primo grado, era necessario qualificare l’azione esercitata alla stregua dell’art. 950 c.c., anzichè dell’art. 948 c.c.. In ogni caso, anche a volere ammettere che quella esercitata in primo grado fosse una azione ex art. 948 c.c. e che gli appellanti, nel secondo grado di giudizio, abbiano variato la loro domanda ai sensi dell’art. 950 c.c., questa variazione – si assume – dovrebbe configurarsi alla stregua di una mera emendatio libelli, come tale ammissibile anche in grado di appello.

1.1. – La censura è infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’azione di regolamento dei confini, essendo volta ad individuare la demarcazione tra fondi per rimuovere la relativa incertezza, presuppone che quest’ultima, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà (Cass., Sez. II, 26 gennaio 1985, n. 404; Cass., Sez. II, 24 aprile 2018, n. 10066; Cass., Sez. II, 25 settembre 2018, n. 22645).

A tale principio si è attenuta la Corte d’appello nel qualificare come di rivendica l’azione proposta in primo grado, condividendo la conclusione cui era pervenuto il Tribunale.

A tal fine, la Corte di Bari non si è lasciata condizionare dalla formula adottata nell’atto di citazione dagli attori (espressamente auto-qualificato “atto di citazione per rivendica”), ma ha tenuto presente essenzialmente il contenuto sostanziale della domanda, desumibile oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell’atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dello scopo avuto di mira dalla parte con la sua richiesta (Cass., Sez. II, 3 luglio 2000, n. 8879; Cass., Sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20322; Cass., Sez. Lav., 18 marzo 2014, n. 6226).

Invero, la Corte d’appello:

ha considerato che nella citazione introduttiva i B. – S. hanno indicato il loro titolo di proprietà (l’atto per notar S.G.U. del 2 aprile 1976, con cui B.M. aveva trasferito a favore dei coniugi S.G. e B.A. il terreno seminativo alberato sito in agro di (OMISSIS) di are 44,19, e, alla morte di S.G., la successione legittima della moglie A. e del figlio unico N.) e il parziale spossessamento di circa 1.500 mq di proprietà degli attori, in corso da circa otto anni, ad opera dei coniugi Sa.Gi. e D.S.G. (denunciandosi che i convenuti avevano “anche recintato i predetti 1.500 mq. che si dipartono dal fosso di (OMISSIS) e che si inoltrano nella p.lla (OMISSIS) suddetta con due fili di ferro a dimostrazione della loro volontà di far propria detta zona di terreno”);

– ha tenuto conto del dichiarato “interesse degli attori” a “rivendicare (ex art. 948 c.c.) il diritto di proprietà della suddetta zona di terreno di circa 1.500 mq di cui si sono impossessati i coniugi Sa.Gi. e D.S.G.”;

– ha valutato le conclusioni dell’atto di citazione, rivolte a sentir dichiarare la B. e il S. “proprietari esclusivi della porzione di terreno”, con condanna dei convenuti al rilascio e al risarcimento del danno;

– ha considerato che nelle memorie successive del 27 febbraio 2008 e del 16 aprile 2008 gli attori hanno replicato analiticamente alle avverse difese, ma nulla di nuovo hanno enunciato quanto alla natura e al contenuto delle domande proposte.

E’ particolarmente significativa, al riguardo, la prima delle due memorie citate, in cui gli attori – dopo avere dichiarato di essere proprietari e possessori del terreno in questione in forza dell’atto di compravendita per notar S.G.U. del 2 aprile 1976 (a sua volta pervenuto al venditore in forza dell’atto di compravendita per notar S.G.U. del 12 novembre 1964) – hanno dichiarato di poter “provare che detto terreno nella sua intera estensione è stato posseduto senza soluzione di continuità dal 1964 sino a quando otto anni addietro circa i convenuti hanno preteso di accampare diritti su una piccola parte di mq. 1.500 circa a confine con il fosso (OMISSIS), sino al punto di recintarla con fili di ferro due anni addietro prima dell’atto di citazione”, ribadendo le conclusioni già rassegnate nell’atto di citazione (nel senso della richiesta al Tribunale di Lucera di dichiarare la B. e il S. “proprietari esclusivi della porzione di terreno di circa 1.500 mq” “in forza dei loro titoli di provenienza, nonchè, in via subordinata, in forza del possesso ultra-trentennale della predetta estensione di terra”, e di condannare i convenuti al rilascio immediato della suddetta porzione nonchè al risarcimento del danno).

Conclusivamente, va ribadito che l’azione di revindicazione si distingue da quella per regolamento di confini in quanto, mentre con la prima l’attore – sull’assunto di esser proprietario della cosa e di non averne il possesso – agisce contro il possessore, oltre che per ottenere il riconoscimento giudiziale del proprio diritto di proprietà, anche per conseguire il rilascio della cosa stessa; con la seconda tende ad eliminare soltanto l’incertezza della linea di demarcazione tra due proprietà, sia per difetto dei confini che per la contestata loro corrispondenza a quelli indicati nei rispettivi titoli d’acquisto, ponendosi l’eventuale richiesta della restituzione di parte del fondo come un mero corollario dell’avvenuto accertamento del confine. Va, di conseguenza, qualificata come revindica l’azione, come quella di specie, con la quale l’attore, deducendo di essere proprietario, a seguito di vari atti di acquisto, di un terreno, del quale il vicino aveva occupato una porzione sita in prossimità del confine, richieda il rilascio della stessa (Cass., Sez. III, 23 aprile 1981, n. 2412).

Ne deriva che non sono in alcun modo riscontrabili i vizi addebitati alla sentenza impugnata dai ricorrenti.

Infatti la Corte d’appello non ha omesso di pronunciare sul thema decidendum della controversia, perchè, una volta qualificata esattamente l’azione proposta in primo grado come di rivendica, essa correttamente ha ritenuto che le conclusioni rassegnate con l’atto di appello, nel senso della richiesta di delimitazione dei confini del fondo di proprietà B. – S. e di quello Sa. – D.S., integrassero una inammissibile domanda nuova per mutatio libelli, non potendo l’actio finium regundorum essere promossa per la prima volta con l’atto di appello in luogo della domanda, azionata in primo grado, di rei vindicatio.

2. – Con il secondo mezzo i ricorrenti censurano “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e del principio di circolarità tra oneri di allegazione e prova”. Essendosi costituiti tardivamente nel giudizio di primo grado, i coniugi Sa. – D.S. sarebbero incorsi nella decadenza relativa alla proposizione delle domande riconvenzionali e delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, sicchè le allegazioni dei fatti costitutivi del loro presunto diritto di proprietà, nonchè dei fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto esercitato dalla B. e dal S. avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili. Questi ultimi, una volta dichiarati decaduti dall’attività assertiva, avrebbero dovuto, sul piano delle allegazioni, limitarsi alle mere difese, consistenti nella semplice contestazione dell’avversa pretesa e dei fatti posti a suo fondamento. Erroneamente i convenuti sarebbero stati ammessi ad espletare l’attività istruttoria sui fatti costitutivi posti a fondamento del loro presunto diritto di proprietà sulla porzione di fondo per cui è causa.

2.1. – La censura è infondata.

Infatti il Tribunale non ha dato ingresso alla prova diretta dei fatti costitutivi dell’eccezione riconvenzionale di usucapione avanzata dai convenuti, costituitisi senza rispettare il termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione, ma – dichiarata la tardività dell’eccezione riconvenzionale – ha ammesso i convenuti a dare la controprova dell’usucapione invocata degli attori. Questa soluzione correttamente è stata condivisa dalla Corte d’appello, giacchè la prova contraria costituisce per la parte uno strumento di reazione e contrasto rispetto alle prove dedotte dalla controparte, allo scopo di influenzare in misura concreta il convincimento del giudice e l’esito della decisione offrendo una rappresentazione della realtà storica dei fatti diversa da quella offerta dalla controparte, in un contesto permeato dal principio del contraddittorio.

I ricorrenti sostengono che in realtà i convenuti non sarebbero stati ammessi soltanto alle prove contrarie: ma la deduzione sul punto non rispetta il canone di specificità, perchè il ricorso per cassazione non riporta nè i capitoli di prova testimoniale di parte convenuta che sarebbero stati ammessi, nè il tenore delle deposizioni rese, limitandosi ad un rinvio generico e non circostanziato alle pagine 7 e 8 della sentenza di primo grado.

3. – Il terzo motivo è rubricato “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c.”. Con esso i ricorrenti censurano che la Corte di Bari abbia dichiarato inammissibili il secondo ed il terzo motivo di appello, concernenti l’errata interpretazione dei titoli da parte del Tribunale, derivante da un’errata lettura della c.t.u.. I ricorrenti deducono che nell’attività difensiva posta in essere in appello non sarebbe rinvenibile alcuna traccia della modificazione degli elementi costitutivi della domanda, ma unicamente la prospettazione di una mera diversa qualificazione giuridica dei fatti, e che – ferma restando la contiguità degli effetti riscontrabile tra azione ex art. 948 c.c. e quella ex art. 950 c.c. – non potrebbe nemmeno astrattamente configurarsi una “sostituzione” della domanda di regolamento di confini rispetto a quella di rivendica. I ricorrenti sostengono che, anche ad ammettere che di sostituzione si tratti, in ogni caso le domande di rivendica e di regolamento di confini sarebbero poste in rapporto di tale contiguità da non potersi tra loro considerare alternative in senso tecnico. Sicchè la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare il secondo ed il terzo motivo di gravame, tanto nel caso in cui si fosse proceduto alla corretta qualificazione dell’azione, quanto nel caso in cui si fosse ravvisata una sostituzione della domanda.

3.1. – Il motivo è infondato.

La conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale – secondo cui con l’atto di gravame vi è stata una sostituzione irrituale della domanda di rivendicazione, azionata in primo grado, con una domanda di regolamento di confini, proposta per la prima volta in appello, con la conseguente inammissibilità dei motivi sull’errata interpretazione dei titoli di proprietà, funzionali alla, oramai abbandonata, azione di rivendicazione – è convalidata dall’esame delle conclusioni dell’atto di appello, con cui la B. e il S. hanno chiesto di “qualificare l’azione esercitata dagli attori… – odierni appellanti – alla stregua di un’azione ex art. 950 c.c.” e di “delimitare i confini del fondo di proprietà” B. – S. e di quello Sa. – D.S. “in modo che la proprietà di questi ultimi non si estenda sulla particella (OMISSIS)”.

Nè si appalesa fondata la tesi dei ricorrenti là dove si sostiene che le domande di rivendica e di regolamento di confini sarebbero tra loro fungibili, in ragione del loro rapporto di contiguità.

Va, al riguardo, mantenuto fermo l’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora in primo grado sia stato chiesto il rilascio di un bene posseduto dal convenuto con azione reale di revindica (che involge contestazione sul diritto di proprietà), costituisce domanda nuova, se proposta per la prima volta in appello, quella con la quale si chiede il regolamento dei confini. La individuazione dei confini, difatti, costituisce un bene giuridico diverso da quello dell’attribuzione in proprietà di un bene abusivamente posseduto dal convenuto (Cass., Sez. II, 5 febbraio 1969, n. 374).

4. – Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) o nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per difetto dei presupposti di accoglimento dell’appello incidentale in punto di spese”. Avrebbe errato la Corte d’appello a regolare le spese secondo il principio di soccombenza: sia perchè il riferimento, contenuto nella sentenza di primo grado, alle questioni trattate integrerebbe motivazione adeguata e ragionevole del provvedimento di compensazione; sia perchè, anche ad ammettere che in appello si sia proceduto ad una mutatio, questo comportamento non potrebbe integrare gli estremi della scorrettezza e, soprattutto, non potrebbe incidere sulla ripartizione delle spese del primo grado.

4.1. – La doglianza è infondata.

La decisione del giudice di appello di regolare le spese – anche per il primo grado, in accoglimento del gravame incidentale – in base al principio di soccombenza, escludendo i presupposti della compensazione, si sottrae alle censure dei ricorrenti.

Infatti, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. V, 31 marzo 2017, n. 8421; Cass., Sez. VI-3, 17 ottobre 2017, n. 24502).

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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