Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21649 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. I, 19/10/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 19/10/2011), n.21649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 1727 dell’anno 2009 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei

Portoghesi, 12, è per legge domiciliato;

– ricorrente –

contro

Avv. P.A., in proprio, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Albornoz, n. 3, nel proprio studio;

– controricorrente –

avverso il decreto reso inter partes dalla Corte di Appello di Roma,

depositato in data 9 gennaio 2008;

sentita la relazione all’udienza del 20 giugno 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

udito l’Avv. P., il quale ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ignazio Patrone, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con il decreto indicato in epigrafe la Corte d’appello di Roma accoglieva la domanda proposta dall’Avv. P.A. di indennizzo del pregiudizio di natura non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un procedimento relativo alla impugnazione di un avviso di mora, proposta davanti alla Commissione provinciale di primo grado di Roma nell’ottobre dell’anno 1990 e definito con sentenza del 31 maggio 2004.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito, richiamato l’orientamento di legittimità secondo cui le controversie di natura tributaria non sono interessate dall’applicazione dei principi sanciti dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardie dei Diritti dell’Uomo, rilevava, tuttavia, che la questione proposta dal ricorrente non atteneva alla determinazione de tributo, bensì a questioni inerenti alla non debenza degli interessi e, quindi, alla domanda di rimborso delle somme versate a tale titolo.

Determinato il periodo eccedente la durata ragionevole del procedimento presupposto in anni dieci e mesi sei, l’amministrazione veniva condannata al pagamento, a titolo di equa riparazione, della somma di Euro 5.500,00, oltre interessi e spese processuali.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero dell’Economie e delle Finanza, sulla base di unico motivo.

L’Avv. P. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Viene denunciata, formulandosi idoneo quesito di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 Cedu e della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3.

Richiamato il principio secondo cui le controversie di natura fiscale non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardie dei Diritti dell’Uomo, si osserva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente esteso al procedimento presupposto in esame i principi, di natura eccezionale, in virtù dei quali questa Corte, avuto riguardo alla natura meramente privatistica di determinate controversie, afferma la possibilità della tutela prevista dalla L. n. 89 del 2001.

2.1 – Il ricorso è fondato.

La corte del merito ha correttamente richiamato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui la disciplina dell’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quale introdotta dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, e segg., non è applicabile ai giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato, stante l’estraneità e irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, cui ha riguardo la citata norma pattizia (Cass. 6 aprile 2006, n. 8035, Cass., 7 marzo 2007, n. 5275).

Tale orientamento, del resto, è caudatario della giurisprudenza della Corte europea, che ha sempre escluso che il campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione sia estensibile alle controversie tra il cittadino e il Fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi, stante l’estraneità ed irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile.

E’ stato per altro puntualizzato come tale soluzione non risulti contraddetta dalla previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3, laddove include tra i soggetti legittimati passivi rispetto all’azione di riparazione anche il Ministero delle Finanze quando si tratti di procedimenti tributali. Codesta disposizione – che per la sua natura di norma processuale attinente alle forme di esercizio del diritto non potrebbe modificare i contenuti della tutela, quale definita e circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al precedente art. 2 della Legge citata – va letta infatti in modo assolutamente coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della Convenzione, nel senso della sua riferibilità a quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giudice tributario, che attengano ad aspetti di natura sanzionatoria, ovvero siano afferenti alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investono la determinazione del tributo, ma solo aspetti a questa consequenziali.

Sono state, in proposito, enucleate le ipotesi del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributario, del giudizio vertente sull’individuazione del soggetto di un credito d’imposta non contestato nella sua esistenza, nonchè della materia penale, intesa quest’ultima – secondo la nozione autonoma elaborata anche per tal profilo dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, di cui il giudice nazionale deve tenere conto – come comprensiva anche delle controversie relative alla applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro gravita, assimilabili sul piano della afflittività ad una sanzione penale.

E’ vero, pertanto, che non può affermarsi in assoluto che tutte le controversie portate all’attenzione del giudice tributario rimangono estranee alla possibile applicazione della tutela di cui alla L. n. 89 del 2001, e che, in particolare, possono rientrarvi le richieste di rimborso di somme rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche (cfr. Cass. 4 novembre 2005, n. 21403, e Cass. 3 agosto 2005, n. 17499).

Ciò nondimeno la Corte territoriale, in presenza di un giudizio presupposto inerente alla impugnazione di un avviso di mora relativamente alla decorrenza degli interessi, ha ritenuto di ricondurre tale vertenza, ancorchè di competenza del giudice tributario (circostanza, di per sè, non rilevante), in ambito privatistico, ritenendo che si trattasse di questioni consequenziali alla determinazione del tributo.

Tale assunto non può essere condiviso, perchè, avuto riguardo all’oggetto del giudizio presupposto, nel quale non venivano in considerazioni pretese di natura sanzionatoria, devesi considerare che gli interessi, avendo carattere accessorio, partecipano della natura del diritto sostanziale cui accedono. Ciò è tanto vero che, nel caso di specie la riscossione avveniva nelle forme proprie di quella prevista per il tributo principale, in base a norme, come quelle disciplinate dal D.P.R. n. 602 del 1973, che ineriscono interamente alla materia tributaria.

Cioè a dire che la controversia di natura civile come individuata nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo (v. la sentenza Ferrazzini del 12 luglio 2001), vale a dire priva di quelle connotazioni di carattere pubblicistico correlate alla manifestazione del potere impositivo, esula non solo dal giudizio tributario attinente alla determinazione del tributo, ma anche da quello in cui si contestano i limiti e le modalità con cui il tributo medesimo viene realizzato: mediante un sistema di riscossione modellato, a livello normativo, in base ai poteri di natura pubblicistica che connotano la pretesa (cfr., per un’ipotesi analoga, Cass., 3 dicembre 2010, n. 17499).

2.2 Il decreto impugnato va pertanto cassato, e non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda di equa riparazione.

2.3 – Avuto riguardo alla peculiarità della questione, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali inerenti all’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di equa riparazione.

Compensa interamente fra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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