Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21649 del 05/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 05/09/2018), n.21649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14958/2017 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO DELLA PELLE;

– ricorrente –

contro

SERI.MONT SRL, in persona del legale rappresentane pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA EUGENIA

ROSSI, ANNALISA BUCCI;

– controricorrente –

contro

MONTUPOLI CALCIO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 860/2016 del TRIBUNALE di CHIETI, depositata

il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza del Tribunale di Chieti con cui è stato rigettato l’appello proposto da C.T. avverso la sentenza del locale Giudice di pace. Con la pronuncia di primo grado il predetto C. era stato ritenuto debitore del corrispettivo relativo a una fornitura eseguita da Seri.Mont s.r.l.. Col proprio gravame l’appellante C. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, deducendo, tra l’altro, che la fattura era stata emessa nei confronti dell’associazione sportiva Montupoli Calcio e rilevando, altresì, che la fornitura non era stata da lui ordinata, nè a lui consegnata. Il Tribunale ha ritenuto, sulla base delle prove acquisite, che l’appellante avesse svolto attività negoziale inquadrabile nell’art. 38 c.c., a nulla rilevando che egli non era nè dirigente, nè presidente dell’associazione sportiva, avendone speso il nome con la richiesta di intestazione della fattura; ha rilevato, altresì, che lo stesso C. comunque debba rispondere dell’obbligazione “in proprio per aver stipulato il contratto”.

2. – Il ricorso per cassazione di C. si basa su cinque motivi.

Resiste con controricorso Seri.Mont. Pur intimata, non ha svolto difese l’Associazione Montupoli Calcio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta l’istante che i giudici di merito abbiano omesso di pronunciarsi sulla questione relativa al proprio difetto di legittimazione passiva: questione che in fase di gravame era stata fatta valere col primo motivo di appello. Sul punto, rileva il ricorrente che, all’epoca del fatti di causa, non era nè presidente, nè legale rappresentante dell’associazione sportiva Montupoli Calcio: in conseguenza – precisa – egli non avrebbe dovuto essere chiamato in giudizio da Seri.Mont. Nello svolgimento del motivo, poi, si rievocano circostanze attinenti alla vicenda controversa che comproverebbero l’estraneità dell’istante rispetto alla pretesa azionata.

Il motivo non ha fondamento.

Il ricorrente richiama il primo motivo del proprio atto di appello con cui era stato dedotto il “difetto di legittimazione passiva” di esso istante e la “legittimazione passiva” dell’associazione Montupoli Calcio. Nel corpo della censura paiono sovrapporsi due temi distinti: quello che investe la legitimatio ad causam e concerne, perciò, la titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte; quello attinente al merito, afferente l’effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto controverso. E’ certo, però, che con riferimento a quest’ultimo aspetto della controversia il Tribunale abbia pronunciato. Riguardo al primo profilo, invece, non emerge, in modo sufficientemente univoco, che l’eccezione proposta in appello avesse propriamente ad oggetto la legittimazione a resistere di C.: non risulta, in altri termini, che quest’ultimo avesse dedotto, con l’atto di gravame, che Seri.Mont avesse mancato di prospettare al giudice del merito una situazione fattuale che – indipendentemente dal fatto che fosse vera o meno – implicasse, sul piano giuridico, l’obbligo, da parte dello stesso odierno ricorrente, di adempiere in proprio favore. Non attengono poi all’error in precedendo denunciato, e risultano pertanto irrilevanti ai fini dello scrutinio del motivo, le deduzioni svolte per dar conto di come C. non avesse assunto alcun impegno contrattuale con la controparte in relazione alla fornitura per cui è causa.

2. – Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione alle prove documentali o orali acquisite al giudizio. Il ricorrente contesta, in buona sostanza, la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, richiamando le risultanze di causa che conformerebbero l’assunto di una propria estraneità alla vicenda controversa e al rapporto obbligatorio avente ad oggetto il pagamento della fornitura.

Il terzo mezzo verte su di una doglianza di omesso e insufficiente esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Deduce il ricorrente che ove la Corte di merito avesse valutato in modo corretto le risultanze probatorie avrebbe respinto la domanda contro di lui proposta.

Il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione alle prove documentali e orali. L’istante assume che la controparte non avrebbe assolto all’onere della prova circa l’avvenuta fornitura del materiale sportivo.

I tre motivi, tutti imperniati sul tema delle risultanze istruttorie, sono inammissibili.

Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; in termini simili: Cass. 30 novembre 2016, n. 24434).

La censura svolta col terzo motivo è poi, del tutto generica, dal momento che manca finanche di individuare il fatto decisivo che il Tribunale avrebbe mancato di esaminare. Si ricorda, sul punto, che, avendo riguardo alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, debba indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

Parimenti inammissibile è il quarto motivo. Merita sottolineare come la Corte di merito abbia dato atto, sulla base di un accertamento non sindacabile nella presente sede, come uno dei testimoni escussi avesse confermato che fu proprio C.T. a ritirare la merce, che venne regolarmente consegnata. Ciò posto, la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; cfr. pure Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707): ciò che nella fattispecie non è avvenuto. Con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c., va poi richiamato quanto sopra osservato.

3. – Col quinto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.c.. Nega il ricorrente, con ciò contestando il contrario assunto del Tribunale, di aver mai svolto attività in nome e per conto dell’associazione sportiva Montupoli Calcio. Rileva che non era stata fornita la prova dell’attività che valeva a radicare la responsabilità posta dall’art. 38 c.c..

Il motivo è inammissibile.

Con esso, infatti, si allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, e cioè una fattispecie che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. Sez. U. 5 maggio 2006, n. 10313; in senso conforme, ad es.: Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass.4 aprile 2013, n. 8315). Il Tribunale, difatti, ha ritenuto, sulla base delle risultanze di causa, che C. abbia svolto un’attività negoziale in rappresentanza dell’ente (evidenziando, poi, rettamente, che non assumeva rilievo il fatto che lo stesso non ne fosse presidente o dirigente): e in ciò non può ravvisarsi alcuna violazione o falsa applicazione dell’art. 38 c.c..

4. – Il ricorso va dunque respinto.

5. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

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