Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21648 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. I, 19/10/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 19/10/2011), n.21648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA M. Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 30308 dell’anno 2005 proposto da:

COMUNE DI VENAFRO, elettivamente domiciliato in Roma, Corso Triste,

n. 16, nello studio dell’Avv. Prof. Francesco Saverio Fortuna;

rappresentato e difeso dall’Avv. D’ORSI Attilio, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.A. – I.L.;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Campobasso, n. 238,

depositata in data 12 settembre 2005;

sentita la relazione all’udienza del 21 giugno 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

sentito per le intimate l’Avv. Daniele Di Gregorio, il quale ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ignazio Patrone, il quale ha concluso per l’inammissibilità o,

in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con atto di citazione notificato in data 2 luglio 1999 A. e I.L. convenivano davanti al Tribunale di Isernia il Comune di Venafro chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati dal crollo di un fabbricato di loro proprietà, interessato dagli eventi sismici dell’anno 1984 e oggetto, in virtù di provvedimento sindacale del 1984, di lavori di consolidamento e ristrutturazione affidati all’impresa Lodigiani S.p.a.. Nell’anno 1997, a causa dell’inerzia dell’impresa appaltatrice, il fabbricato era in parte crollato, tanto da dover essere in seguito interamente demolito.

La responsabilità del Comune veniva indicata nell’omessa adozione di provvedimenti tali da assicurare la prosecuzione dei lavori e, scongiurare, quindi, il pericolo di crollo.

1.1 – Si costituiva il Comune, eccependo che responsabile dei danni dovesse considerarsi la sola impresa appaltatrice, alla quale era stata affidata, con apposita convenzione, l’opera di ripristino del centro storico.

1.2 – Il Tribunale, espletata consulenza tecnica d’ufficio, in cui si accertava – come si sarebbe in seguito pacificamente ritenuto – che il crollo era stato determinato “dall’incuria e dalla trascuratezza con le quali il valori di consolidamento vennero condotti”, affermava il difetto di legittimazione passiva del Comune, compensando le spese processuali.

1.3 – Avverso tale decisione proponevano appello I.A. e L., nonchè, limitatamente al regolamento delle spese processuali, il Comune di Venafro.

1.4 – La Corte di appello di Campobasso, con la decisione indicata in epigrafe, rilevava che, pur non essendo emerse ingerenze esecutive da parte del Comune nei confronti del soggetto delegato all’esecuzione dell’opera, ciò nondimeno non potesse escludersi la responsabilità di tale ente in quanto, essendo stato accertato che il crollo era stato determinato dall’incuria e dalla trascuratezza che avevano caratterizzato i lavori di consolidamento, il Comune, a tal punto edotto di tale pericolo da invitare la Lodigiani ad eseguire le opere, non aveva tuttavia posto efficacemente rimedio, come avrebbe potuto agevolmente fare, revocando la concessione ai sensi dell’art. 15 della convenzione.

Pertanto il Comune di Venafro, la cui impugnazione incidentale rimaneva assorbita dall’accoglimento del gravame principale, veniva condannato al pagamento in favore delle appellanti della somma di Euro 63.320,00, oltre rivalutazione, interessi e spese.

1.5 – Per la cassazione di tale decisione il Comune propone ricorso, affidato a tre motivi.

Le parti intimate, che non si sono difese con controricorso, hanno proceduto alla nomina di difensore, il quale ha partecipato alla discussione ed ha depositato note di udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c., sostenendosi che la Corte di appello avrebbe considerato il Comune di Venafro quale soggetto passivo, così disattendendo l’orientamento giurisprudenziale relativo alla responsabilità esclusiva dell’appaltatore rispetto ai danni cagionati a terzi, soprattutto quando non vi sia stata, come nel caso di specie, alcuna ingerenza da parte dell’amministrazione, tale da vincolare l’attività dell’appaltatore medesimo.

2.1 – Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1665 e falsa applicazione degli artt. 1292, 1294 e 1298 c.c., avendo la pubblica amministrazione, con contratto di appalto pubblico, affidato alla Lodigiani, poi Impregilo spa, l’incarico di risanare l’intero centro storico, così privilegiando una realizzazione unitaria e coordinata dei lavori. L’affermazione della responsabilità solidale dell’ente contrasterebbe con tale “volontà convenzionale”.

2.2 – Con il terzo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 6 e 4 della convenzione, con i quali era stato affidato al concessionario l’incarico di eseguire le opere in conformità ai progetti costruttivi approvati, delegando l’impresa al compimento di tutte le attività, anche di natura amministrativa, all’uopo richieste.

3 – Detti motivi, che, per la loro intima connessione, vanno congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili, ed in parte infondati.

Devesi in primo luogo rilevare come la prima questione, così come prospettata, vale a dire con riferimento alla problematica della legitimatio ad causam, non colga l’essenza del tema sottoposto all’esame del presente giudizio, attinente alla responsabilità del Comune in ordine al crollo parziale del fabbricato di proprietà delle attrici, per non aver adottato provvedimenti efficaci, revocando la concessione come previsto dall’art. 15 della convenzione, per porre fine a quella perdurante incuria che, come accertato nel corso del primo grado del giudizio, e come non è contestato, aveva determinato il crollo di una parte del fabbricato.

La legittimatio ad causam, intesa come titolarità del potere di promuovere, per la legittimazione attiva, e del dovere di subire, per la legittimazione passiva, un giudizio su un rapporto giuridico di diritto sostanziale va distinta dalla titolarità attiva e passiva del rapporto stesso.

E’ ormai acquisito in giurisprudenza che, per determinare la legittimazione, si deve fare riferimento al rapporto dedotto in giudizio, nel senso che parti legittime sono quelle indicate come parti del rapporto sostanziale. Si considera, infatti, che le condizioni di legittimazione sono soddisfatte se l’attore, nel chiamare in giudizio il convenuto, afferma che esiste un rapporto sostanziale di cui egli e il convenuto sono rispettivamente il soggetto attivo ed il soggetto passivo.

In altri termini, è questione di legittimazione passiva soltanto quella attinente all’esistenza del dovere del convenuto di subire il giudizio instaurato dall’attore con una determinata prospettazione del rapporto oggetto della controversia, indipendentemente dall’effettiva sussistenza della titolarità del rapporto stesso;

costituisce, invece, questione di merito quella sollevata – come nel caso in esame – dal convenuto col dedurre la propria estraneità a quel rapporto, ossia la mancanza di detta titolarità, affermata invece da parte attrice. A differenza della titolarità del rapporto, la legittimazione ad causam individua i soggetti che devono essere presenti nel giudizio affinchè il giudice possa pronunciare una sentenza di merito: per tale suo significato viene definita una condizione della decisione di merito, laddove ogni eccezione del convenuto circa l’effettiva titolarità attiva o passiva del diritto fatto valere comporta una disamina e una decisione attinente al merito della controversia (Cass., 20 maggio 2009, n. 11747; Cass., 30 maggio 2008, n. 14468; Cass., 6 marzo 2008, n. 6132; Cass., 16 maggio 2007, n. 11321).

Nel caso di specie la questione dedotta, vale a dire la responsabilità extracontrattuale del Comune per non aver adottato provvedimenti intesi a scongiurare il crollo del fabbricato dallo stesso ente territoriale sottratto alla disponibilità delle proprietarie allo scopo di realizzare un intervento globale di risanamento del centro storico a seguito di un grave evento sismico, attiene esclusivamente al merito, non potendosi dubitare che la domanda, così come proposta, presupponeva l’inerzia dell’impresa appaltatrice, ed individuava, quindi, una specifica responsabilità (eventualmente solidale) del Comune stesso, per non aver determinato, come era in suo potere, la cessazione dell’incuria nella quale il bene era lasciato.

Non può, pertanto, in alcun modo dubitarsi che, a fronte di siffatta formulazione della pretesa, l’unico soggetto legittimato a contraddire fosse proprio il Comune di Venafro.

3.1 – Quanto all’aspetto inerente all’appalto affidato ad un’impresa per il risanamento del centro storico, deve richiamarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, se in linea generale il solo appaltatore debba ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera, il committente, tuttavia, può essere corresponsabile eccezionalmente dei suddetti danni quando si ravvisino, a suo carico, specifiche violazioni del principio del “neminem laedere” riconducibili all’art. 2043 c.c.. Deve includersi fra tali ipotesi anche quella di tralasciare ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell’esercizio del potere di cui all’art. 1662 c.c., ovvero quando l’evento dannoso sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata affidata l’opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente, o, ancora, quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordine del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questi, o infine quando il committente si sia di fatto ingerito con singole e specifiche direttive nella esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto (Cass., 12 maggio 2003, proprio in relazione a danni cagionati a terzi dall’opera appaltata, a causa dell’omesso controllo, da parte del committente, anche sui tempi di realizzazione dell’opera; v. anche Cass., 30 settembre 2008, n. 24320; Cass., 26 marzo 2009, n. 6536).

Del resto, è stato ripetutamente affermato che la violazione del principio del neminem laedere da parte della Pubblica Amministrazione è ravvisabile in comportamenti – tanto attivi, quanto omissivi – ogni qual volta essa venga meno al dovere d’improntare lo svolgimento delle funzioni demandatele sia ai principi costituzionali in punto d’imparzialità correttezza e buon andamento, sia alle norme di legge ordinaria in punto di celerità efficienza efficacia e trasparenza, sia ai principi generali dell’ordinamento in punto di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (Cass. SS.UU. 26 gennaio 2009 n. 1852; Cass. 5 giugno 2007 n. 13061; 22 dicembre 2006 n. 27498), come quando venga meno ad un obbligo di vigilanza istituzionale o su attività delegate a terzi (Cass. 9 ottobre 2007 n. 21096; 7 febbraio 2001 n. 1720; Cass. SS.UU., 15 novembre 1994 n. 9593).

Compete, poi, al giudice del merito accertare la ricorrenza, in concreto, degli elementi costitutivi della responsabilità per fatto illecito della Pubblica Amministrazione, vale a dire la sussistenza di un evento dannoso, la ingiustizia del danno in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento, il nesso di causalità tra l’evento dannoso e la condotta della P.A., infine l’imputabilità dell’evento stesso a quest’ultima sulla base non soltanto del dato obiettivo della illegittimità della condotta ma anche di quello soggettivo del dolo o della colpa, in quanto posta in essere in violazione delle regole d’imparzialità correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione pubblica e che costituiscono i limiti esterni alla discrezionalità amministrativa (cfr. in una fattispecie del tutto analoga, Cass., 7 settembre 2009, n. 19286).

In ordine, peraltro, agli accertamenti svolti in tal senso nell’impugnata decisione, il ricorrente, che si attarda nel contestare in astratto la pretesa risarcitoria di controparte, negando qualsiasi obbligo legale (e contrattuale) a proprio carico relativamente ai tempi d’esecuzione delle opere, in evidente contrasto con i principi giurisprudenziali sopra richiamati, non svolge alcuna censura specifica.

Ed invero il richiamo (nel terzo motivo di ricorso) ai rapporti interni fra l’ente committente e l’impresa appaltatrice, con un mero riferimento ai poteri alla stessa conferita, non coglie nel segno, dal momento che nella sentenza scrutinata la responsabilità del Comune viene correlata alla consapevolezza dei danni che l’incuria avrebbe provocato al fabbricato (tanto da inviare alcune diffide), alla quale non ha fatto seguito il doveroso ricorso a quei poteri, specificamente previsti dall’art. 15 della convenzione, il cui mancato esercizio costituisce – nella ricostruzione operata dal giudice del merito in maniera esente da vizi di natura logica o giuridica – l’ubi consistam della presente vicenda processuale.

3 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del Comune al pagamento delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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