Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21646 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 08/10/2020), n.21646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10340-2019 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE COMANO 95,

presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO CESARI, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIOVANNA FRAGOMELE, SERGIO LUCISANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA PASSARELLI, FILIPPO

MANGIAPANE, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 704/2018 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositata il 21/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, a seguito di nuova CTU, ha accertato il requisito sanitario di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 1; ha condannato l’Inps al pagamento delle spese processuali liquidate in “Euro 1400,00” oltre IVA, CPA e spese generali;

per la cassazione della decisione, nella parte relativa alla statuizione sulle spese, P.A. ha proposto ricorso, affidato ad un unico e articolato motivo;

l’INPS ha resistito con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo è denunciata -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, della L. n. 794 del 1942, art. 24, del D.M. n. 585 del 1994, art. 4, comma 1, del D.M. n. 37 del 2018, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – insufficiente e contraddittoria motivazione; le censure investono la pronuncia in ordine alle spese, liquidate in misura inferiore ai limiti di legge;

il motivo è fondato nei limiti di seguito illustrati;

occorre premettere che il giudice nel liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta (ex plurimis, Cass. n. 6457 del 2017; Cass. n. 17405 del 2012) sicchè alla presente fattispecie va applicato, come dedotto dal ricorrente, il D.M. n. 55 del 2014, (in vigore dal 3 aprile 2014), in quanto il ricorso per ATP risulta introdotto solo nel 2016, dunque in epoca ampiamente successiva all’aprile 2014;

quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, occorre invece tener conto della pronuncia delle Sez. Unite (sentenza n. 10455 del 2015) che – risolvendo il contrasto determinatosi in relazione al criterio per determinare il valore della causa ai sensi dell’art. 13 c.p.c., commi 1 e 2, – ha affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, per cui, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni”;

ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, (artt. 1 e 4), il giudice è tenuto a liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, non essendo, invece, vincolato alla determinazione, in misura media, del compenso professionale (v. ex multis, Cass. n. 2304 del 2019, in motiv., p. 7, e relativi richiami a Cass. n. 18167 del 2015, Cass. n. 253 del 2016 e Cass. n. 16225 del 2016);

applicando tali principi al caso in esame, come già chiarito da questa Corte in plurimi arresti resi in casi analoghi, (v. ex multis Cass. n. 28977 del 2018), il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva e quattro per la causa di merito, vanno individuati in Euro 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4), e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del cit. D.M. n. 55 del 2014, art. 4);

la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza ed espressa in Euro 1.400,00 (complessivi) non è dunque adeguata alla normativa di riferimento per essere inferiore ai minimi di cui si è detto, senza che risulti indicata alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali;

il ricorso va dunque accolto; l’impugnata sentenza va cassata nella parte relativa alla statuizione sulle spese con decisione nel merito – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – riliquidando le spese della fase di ATP in Euro 911,00 e quelle del giudizio di opposizione, ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, in Euro 2.251,00, così determinandosi l’importo complessivo di Euro 3.162,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con distrazione, come da dichiarazione riferita espressamente al giudizio di merito;

le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio dinanzi al Tribunale in Euro 3.162,00, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, con attribuzione agli avv.ti Sergio Lucisano e Giovanna Fragomele;

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.600,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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