Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21645 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17232-2015 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A GRAMSCI

16, presso lo studio dell’avvocato FRANCO PANDOLFO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCELLO PASANISI;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTO

VERDECCHIA, ALESSANDRO FELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2852/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.M. ha presentato ricorso, articolato in due motivi, avverso la sentenza n. 2852/2015 della Corte di appello di Roma, depositata in data 11 maggio 2015.

Resiste con controricorso la (OMISSIS) s.r.l.

Con citazione del 9 novembre 1998, C.M. convenne dinanzi al Tribunale di Roma la (OMISSIS) s.r.l., dalla quale aveva acquistato con contratto del 24 novembre 1997, a seguito del contratto preliminare del 27 aprile 1993, un appartamento sito in (OMISSIS). L’attore domandò la condanna della società venditrice alla consegna del certificato di abitabilità, nonchè alla restituzione delle somme versate, aggiuntive al prezzo pattuito e stabilite nell’accordo del 30 aprile 1993, giacchè senza titolo.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 6 giugno 2006, accolse parzialmente le domande, condannando l’allora Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ad adempiere all’obbligo inerente alla certificazione di abitabilità (autorizzando in difetto l’adempimento in danno), nonchè a pagare a C.M. la somma di Euro 11.859,91 – con rivalutazione e interessi – a titolo di ripetizione di parte del complessivo importo indebitamente versato dal compratore pari a lire 25.792.500, per prestazioni in realtà contrattualmente dovute dalla venditrice, detratti gli importi ammontanti a Lire 2.828.510 per le migliorie richieste dall’attore (prolungamento della corsa dell’ascensore fino al piano terra e fornitura di una caldaia di tipo bivalente).

La (OMISSIS) s.r.l., tornata in bonis, propose appello sia quanto alla carenza di responsabilità per l’ottenimento del certificato di abitabilità, sia quanto alla condanna alla ripetizione di indebito, osservando come la complessiva somma versata dall’acquirente, pari a Lire 25.792.500, trovava causa nelle prestazioni e nel corrispettivo indicati nella scrittura privata del 30 aprile 1993.

Con la sentenza n. 2852/2015, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata ed accogliendo il secondo motivo di gravame, ha respinto la domanda di C.M. volta alla restituzione dell’importo di Euro 11.859,91. In particolare, i giudici di secondo grado hanno spiegato che l’importo di Lire 25.792.500 era dovuto sulla base dell’accordo sottoscritto dopo la stipula del contratto preliminare, costituendo il corrispettivo di opere “in variante delle caratteristiche costruttive allegate al preliminare”, lavori descritti nel dettaglio nei punti da 1 a 5 della convenzione del 30 aprile 1993. Da ciò l’infondatezza della pretesa restitutoria a titolo di indebito oggettivo.

Il primo motivo di ricorso di C.M. censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., avendo la Corte di appello errato nel considerare necessaria, ai fini della legittimazione alla ripetizione di un pagamento indebito, la sussistenza dei presupposti per l’invalidità o l’estinzione del titolo, mentre qui si faceva questione di originaria mancanza di causa della prestazione per il corrispettivo relativo alle opere in variante, come accertato dalla espletata CTU, ovvero di pagamento eseguito due volte, la prima a titolo di corrispettivo della vendita e la seconda quale prezzo delle pretese migliorie in realtà già comprese nella “res” venduta.

Col secondo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di appello di Roma omesso di considerare che le risultanze istruttorie acquisite agli atti concludevano per l’inesistenza ab origine, all’atto della formalizzazione della scrittura integrativa, di qualsiasi obbligazione del C..

I due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, rivelano comuni profili di inammissibilità e sono comunque infondati.

Le censure sono entrambe fondate sul contenuto delle obbligazioni oggetto delle scritture contrattuali intercorse tra le parti, ovvero, in particolare, sul contratto preliminare del 27 aprile 1993 e sull’accordo del 30 aprile 1993, ma non adempiono all’onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente le pattuizioni individuative dell’effettiva volontà dei contraenti, risolvendosi le doglianze nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.

Il secondo motivo, in particolare, non considera che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il ricorrente, invece, senza rispettare le previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non indica un “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, nè il “dato”, da cui esso risulti esistente, nè il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nè dimostra la “decisività” del fatto non esaminato. Le considerazioni svolte nel secondo motivo del ricorso si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze istruttorie, invitando la Corte di legittimità a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa, mediante un accesso diretto agli atti e una loro ulteriore delibazione, al fine di giungere al convincimento di un preteso doppio pagamento.

Quanto, più in particolare, al primo motivo, ha ragione il ricorrente a sostenere, in via di principio, che, ai fini della azione di ripetizione, l’indebito oggettivo opera non solo quando l’originaria causa di pagamento sia venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, ma anche quando la “causa debendi” manchi fin dall’origine (cfr. Cass. Sez. 3, 19/06/2008, n. 16612; Cass. Sez. U, 09/03/2009, n. 5624). Va però allo stesso tempo ribadito che, nella domanda di ripetizione di indebito oggettivo, l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale è tenuto a dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, e cioè sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. Sez. 2, 27/11/2018, n. 30713; Cass. Sez. 3, 14/05/2012, n. 7501; Cass. Sez. L, 10/11/2010, n. 22872; Cass. Sez. L, 13/11/2003, n. 17146).

La Corte d’Appello di Roma ha allora evidenziato in motivazione (pagine 6 e 7 della sentenza impugnata) che l’importo complessivo di lire 25.792.500 era dovuto sulla base dell’accordo del 30 aprile 1993, sottoscritto dopo la stipula del contratto preliminare del 27 aprile 1993, costituendo tale somma il corrispettivo di opere “in variante delle caratteristiche costruttive allegate al preliminare”, lavori descritti in modo dettagliato nei punti da 1 a 5 della scrittura.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, che va qui ribadito, l’accordo, intercorso successivamente alla conclusione di un preliminare di compravendita immobiliare, ed afferente alla esecuzione di lavori commessi al venditore ed intesi a modificare l’immobile venduto, contro il versamento di un maggior prezzo, si configura come sopravvenuta modifica del preliminare negli elementi essenziali (bene e prezzo), soggetta alla forma scritta ad substantiam a norma dell’art. 1350 c.c., n. 1 e art. 1351 c.c., ed idonea ad attribuire al compratore il diritto di pretendere l’esatto adempimento di tali opere ed al venditore il diritto di ottenere il corrispettivo pattuito (Cass. Sez. 2, 08/02/1982, n. 732; Cass. Sez. 3, 06/03/1970, n. 589; Cass. Sez. 2, 25/03/1987, n. 2891).

Rispetto, dunque, a quanto apprezzato dalla Corte d’Appello, con riguardo alla raggiunta prova di una valida “causa debendi” negoziale a base del pagamento della somma di Lire 25.792.500, si riduce a mera indimostrata contrapposizione deduttiva la prospettazione del ricorrente secondo cui le opere contenute nella scrittura del 30 aprile 1993 costituissero mero adempimento delle medesime obbligazioni già assunte dalla promissaria alienante col contratto preliminare, ovvero, in particolare, dell’obbligo di provvedere a rendere l’immobile alienato conforme alle prescrizioni di legge.

Il ricorso va perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 bis al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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