Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21645 del 14/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 21645 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 9452-2008 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia ope legis, in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –

2014
contro

1378

COLAGRANDE
COLAGRANDE

ANNA

MARIA

ANNUNZIATA

C. F.
C.F.

CLGNMR54P64D875X,
CLGNNZ42P69D875Q,

COLAGRANDE BRUNO C.F. CLGBRN10B12H501K, COLAGRANDE

Data pubblicazione: 14/10/2014

FLORIANA C.F. CLGFRN47R270875Q, COLAGRANDE GIUSEPPE
C.F.

CLGGPP34L19D875E,

CLGLCU50T53H501W,
CLGNND38R20D875F,

COLAGRANDE

COLAGRANDE
COLAGRANDE

LUCIA

C.F.

NANDO

C.F.

PATRIZIA

C.F.

CLGPRZ54S48H501ZV, COLAGRANDE SETTIMO C.F.

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI
BANCHI NUOVI 39, presso lo studio dell’avvocato
MARIANI RENATO, che li rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrenti,

avverso la sentenza

de4nitiva n. 4109/2007 della

CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2007
R.G.N. 9461/2002;
avverso la sentenza non definitiva n. 5923/2005 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2007
R.G.N. 9461/2002;

ì‘7579p;Upe.._14,,
avverso la sentenza no

57/2006 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 18/10/2007 R.G.N. 9461/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato MARIANI RENATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

CLGSTM36225D875S, n.q. di eredi di COLAGRANDE FELICE,

Udienza 22 aprile 2014
Aula A
RG. n. 9452/08
Ministero Economia e Finanze ci Colagrande +8

Svolgimento del processo
1.- Con due sentenze non definitive, entrambe depositate in data 18 ottobre
Giuseppe Colagrande, Settimo Colagrande, Nando Colagrande, Bruno
Colagrande, Annunziata Colagrande, Anna Maria Colagrande, Floriana
Colagrande, Lucia Colagrande e Patrizia Colagrande, quali eredi di Felice
Colagrande e, in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede,
condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in
favore degli appellanti, del trattamento economico spettante al loro dante
causa, oltre agli interessi legali, per effetto della riconosciuta qualifica
superiore di dirigente alle dipendenze dell’azienda agricola Passerano,
trasmessa per testamento all’Istituto Paolo Colosimo, le cui passività erano
state trasferita ai sensi dell’art. 117, comma VI, d.p.r. n. 116/1977
all’Ufficio liquidazioni Enti Soppressi presso il Ministero del Tesoro.
1.1. – Nella prima delle dette sentenze si dava atto che:
a) vi era stato un precedente giudizio in cui si era accertato, con decisione
passata in giudicato, il diritto del dante causa alla qualifica di dirigente e
l’applicabilità al rapporto di lavoro del CCNL Aziende agricole, ed erano
state altresì determinate le somme spettanti a titolo di differenze retributive
relative al periodo dal 1/1/1956 fino alla fine del rapporto;
b) la domanda non aveva riguardato le differenze retributive relative al
periodo precedente (dall’inizio del rapporto, ovvero dal 1933, al
31/12/1955);
e) relativamente a tale pretesa, erroneamente il giudice di primo grado aveva
ritenuto che fosse intervenuta una rinuncia da parte degli eredi, in difetto di
una tempestiva eccezione sollevata dal Ministero convenuto, che invece si
era limitato ad eccepire il giudicato;
d) nella specie, tale giudicato era insussistente, dal momento che il primo
giudizio aveva riguardato solo le differenze retributive riguardanti il periodo

2007, la Corte d’appello di Roma accoglieva l’impugnazione proposta da

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successivo al 1/1/1956, il che non escludeva il diritto di agire in un altro
giudizio per far valere le istanze relative al diverso e precedente periodo.
Riteneva inoltre precluso l’esame dell’eccezione di prescrizione sollevata
dal Ministero in prime cure, in difetto di uno specifico appello incidentale
sul punto, e non essendo sufficiente la riproposizione in appello
dell’eccezione, peraltro espressamente rigettata dal Tribtinale

1.2. – Con la seconda sentenza non definitiva si liquidavano le somme
spettanti agli appellanti al titolo di differenze retributive, maggiorate degli
interessi legali.

1.3. – Infine, con la sentenza definitiva resa in pari data, la Corte
condannava il Ministero al pagamento della rivalutazione monetaria sulle
somme già liquidate nelle precedenti sentenze, oltre al pagamento delle
spese processuali.

2.- Contro le sentenze il Ministero ricorre per cassazione, sulla base di
quattro motivi, sintetizzati in quesiti di diritto. Gli intimati si difendono con
controricorso, illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c.

Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso, il Ministero censura la prima sentenza
non definitiva per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., in
relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. Lamenta che, essendo rimasto totalmente
vittorioso nel giudizio di primo grado, non aveva l’onere di impugnare la
sentenza, neppure nella forma incidentale, nella parte in cui aveva rigettato
l’eccezione di prescrizione, bensì solo quello di riproporre la detta eccezione
ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

2. — Con il secondo motivo, il Ministero denuncia la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.

Lamenta che la Corte territoriale ha errato nel ritenere non coperta dal
giudicato la domanda avente ad oggetto le differenze retributive relative al
periodo compreso tra il 20 maggio 1933 ed il 31 dicembre 1955.
Nel precedente giudizio, infatti, il ricorrente aveva chiesto l’accertamento
del diritto alla qualifica superiore per tutta la durata del rapporto:
conseguentemente, la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle
differenze retributive limitatamente ad un solo periodo conteneva anche il
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Udienza 22 aprile 2034
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rigetto della domanda per l’ulteriore periodo, e su tale rigetto si era formato
il giudicato, operante non solo per il dedotto ma anche per il deducibile,
nonché per il divieto di fi-azionabilità o scindibilità della domanda.
3. — Con il terzo motivo, il Ministero censura la sentenza per contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360,
n. 5, c.p.c. Assume che la Corte del merito, nella parte in cui ha ritenuto che

il rigetto della domanda da parte del Tribunale era fondato sulla rinuncia dei
ricorrenti, odierni intimati, alle differenze retributive relative al periodo
compreso tra il 1933 ed il 31/12/1955 — rinuncia erroneamente rilevata
d’ufficio, trattandosi di eccezione in senso proprio – non avrebbe
considerato che la sentenza di primo grado aveva accertato l’intervenuta
rinuncia degli eredi Colagrande al solo fine di dichiarare il giudicato sulla
loro pretesa.
4.

Con il quarto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in

relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., lamentandosi che la Corte d’appello ha
emesso una condanna al pagamento di una somma superiore a quella
richiesta dai ricorrenti in primo ed in secondo grado.
5.

5.1.

Il primo motivo è inammissibile.

È infatti affermazione ormai consolidata di questa Corte quella

secondo cui, anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione
errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del
fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del
fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella
concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato
esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la
sussistenza di tale ammissibilità, diventa possibile valutare la fondatezza del
motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima
valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente
all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass., 20 luglio 2012,
n. 12664; Cass., 31 gennaio 2006, n. 2140; Cass. 4 aprile 2006, n. 7825).
5.2.- Pertanto, ove, come nel caso in esame, il ricorrente censuri la
statuizione del giudice di appello che ha ritenuto precluso l’esame
dell’eccezione di prescrizione, in quanto non formulata con uno specifico
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Udienza 22 aprile 2014
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motivo di appello incidentale (essendo stata la detta eccezione oggetto di
una vera e propria pronuncia di rigetto da parte del Tribunale), ha l’onere di
specificare, nel ricorso, oltre alle ragioni per cui ritiene erronea tale
statuizione, il tenore della sua eccezione, il tempo e il luogo della sua
deduzione, la sentenza di primo grado che l’abbia esaminata (ed
eventualmente rigettata) o non esaminata, riportandone il contenuto nella

misura necessaria ad evidenziarne la pretesa tempestività nonché le ragioni
del rigetto, ovvero elementi da cui desumere il suo omesso esame, non
potendo limitarsi a rinviare agli atti delle precedenti fasi del processo (in tal
senso, v. Cass., 20 settembre 2006, n. 20405; Cass., 24 novembre 2003, n.
17829, nonché, proprio in tema di prescrizione, Cass., 20 marzo 1999, n.
2618).
5.3. — Deve aggiungersi che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez.un.,

28 luglio 2005, n. 15781) hanno altresì precisato che “Affinché possa
utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è
necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una
domanda o un’ eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali
domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti
termini, nel ricorso per cassazione, per il principio de/I’ autosufficienza, con
l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza
nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di
verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo
luogo, la decisività”.
5.4.

Nella specie, il Ministero ricorrente non ha assolto questo duplice

onere, non indicando in quale fase del processo e con quale atto l’eccezione
di prescrizione è stata sollevata, e tale indicazione appare vieppiù necessaria
a fronte della difesa dei convenuti, secondo cui essa sarebbe stata rigettata
dal giudice di primo grado in quanto proposta tardivamente.
6. Il secondo ed il terzo motivo si trattano congiuntamente, stante la loro

connessione. Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
6.1. Anche qui soccorrono i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa

Corte, secondo cui 11 i1 giudice di legittimità può direttamente accertare
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l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si
estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione
ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti,
anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal
giudice di merito”(Cass., sez.un., 28 novembre 2007, n. 24664).
6.Z – Si è tuttavia precisato che tale interpretazione del giudicato esterno

può essere si effettuata dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei
limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in
forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con
la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di
merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del
giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto
della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può
essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass., 13
dicembre 2006, n. 26627; Cass., 12 dicembre 2006, n. 26523).
6.3. – 11 principio della rilevabilità in sede di legittimità del giudicato
esterno, sempre che questo risulti dagli atti comunque prodotti nel giudizio
di merito, deve essere coordinato con l’onere di completezza e
autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto
giudicato deve indicare il momento e le circostanze processuali in cui i
predetti atti siano stati prodotti (Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2004,

n. 1416).

E’ evidente, e conforme a quanto affermato dalla citata sentenza n. 26627
del 2006, che la stessa regola vale quando in sede di legittimità. si censura la
ricostruzione di un giudicato ritenuto dal giudice di merito e, quindi, se ne
contesti l’esistenza o si assuma una sua maggiore o minore ampiezza (in tal
senso, Casa, 13 marzo 2009, n. 6184).
6.4. – Nel caso in esame, nel ricorso per cassazione il Ministero ha del tutto
omesso di indicare con quale atto e in quale fase processuale del giudizio di
merito è stata prodotta la sentenza su cui è fondata l’eccezione di giudicato
esterno, ovvero la sentenza resa dal Pretore di Palestina (n. 138/1992, che
sarebbe stata confermata in appello del Tribunale di Roma), e dove essa sia
attualmente rinvenibile.
5

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Così come ha trascurato di riprodurne il testo, laddove è irrilevante la
parziale trascrizione della sentenza di primo grado resa in questo giudizio e
riformata dalla Corte romana nella sentenza qui impugnata.
6.5.

Infine, è rimasto inadempiuto anche l’onere della parte, previsto

sempre in ossequio al dovere di completezza e di autosufficienza del ricorso
per cassazione, di trascrivere il contenuto della domanda proposta nel

giudizio conclusosi con il giudicato nonché della domanda che ha dato
l’avvio al presente giudizio, si da consentire a questa Corte la verifica del
loro rispettivo contenuto e l’eventuale violazione del principio del ne bis in
idem.
6.6.

Deve aggiungersi, con particolare riguardo al terzo motivo di ricorso,

con cui si censura la sentenza per vizio di motivazione, che il Ministero
ricorrente non specifica quale sarebbe il vizio che inficia la sentenza,
apparendo generico il riferimento alla sua contraddittorietà sul presupposto
di una pretesa obliterazione, da parte dei giudici d’appello, del fatto che
l’intervenuta rinuncia degli eredi era stata accertata dal primo giudice “ai
soli fini di dichiarare il giudicato sulla loro pretesa”.

Tale asserzione costituisce, all’evidenza, il frutto di una soggettiva e
personale interpretazione della sentenza di primo grado, che avrebbe dovuto
indurre il Ministero ad indicare gli elementi di fatto su cui tale
interpretazione si fonda e che, per converso, rendono errata la ricostruzione
fatta dalla Corte territoriale. In realtà, il motivo si risolve in una richiesta a
questa Corte di riesaminare la valutazione compiuta dal giudice del merito
in merito all’interpretazione data alla condotta processuale delle parti e di
privilegiare tra le due diverse opzioni, quella espressa dal Tribunale. Sotto
tale aspetto, la censura integra la richiesta di un tipico accertamento di fatto
riservato, come tale, al giudice del merito, ed insindacabile in sede di
legittimità apparendo la decisione corretta e congrua.
.r

7. – L’ultimo motivo di ricorso è infondato poiché si risolve in una censura
di merito in ordine alla quantificazione delle differenze retributive: la Corte
d’appello le ha, infatti, determinate sulla scorta della c.t.u., le cui risultanze
non sono state sottoposte a particolari critiche e, anzi, risultano
sostanzialmente accettate dalle parti, come si legge nella sentenza non
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definitiva n. 7157/2006 e nella sentenza definitiva n. 4109/2007. Non
sembra peraltro superfluo rilevare che, mentre la domanda degli odierni
intimati nella misura indicata in ricorso (L 440.733.000) riguardava le
differenze retributive e gli oneri accessori calcolati fino al 31 dicembre 1997
(v. conclusioni appellanti riportate nella sentenza non definitiva n. 7157/06),
sorte capitale, anche gli interessi legali e la rivalutazione monetaria fino alla
data della consulenza tecnica.
La censura, peraltro, si profila inammissibile, nella parte in cui non ha
trascritto il capo della domanda degli odierni intimati, ai fini di valutare il
vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice del merito.
8. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese del presente giudizio
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q .1VL
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio, che liquida in

e

100,00 per esborsi e C 6.000,00, per

compensi professionali, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, 22 aprile 2014
Il Presidente

le somme riconosciute nella sentenza definitiva comprendono, oltre alla

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