Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21644 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 26/10/2016, (ud. 21/07/2016, dep. 26/10/2016), n.21644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 62b5-2014 proposto da:

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A., P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI, 10, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA COSTANZO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO

MARINELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO PALMERI, rappresentato e difeso dagli avvocati

FABIO CALDERONE e MARCELLO MONTANA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2669/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/11/2013, R.G. N. 2635/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/07/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO MARINELLI;

udito l’Avvocato MARCELLO MONTANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2669/2013, depositata il 20/11/2013, la Corte di appello di Palermo, in accoglimento del gravame del lavoratore e in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato in data (OMISSIS) da ENEL Distribuzione S.p.A. a C.G.S. per avere egli concorso a realizzare o realizzato un allacciamento diretto alla rete della fornitura intestata alla Soc. coop. agricola Santa Maria, di cui era Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante, così consentendo il prelievo irregolare di energia elettrica da parte della stessa e alterando la valorizzazione economica dei consumi.

La Corte osservava a sostegno della propria decisione come difettasse una prova certa che il C. fosse in possesso della chiave per accedere al vano della cabina elettrica riservato al cliente ed in ogni caso che l’avesse utilizzata allo scopo di manomettere il contatore, prova tanto più necessaria in considerazione del fatto che due dei testi escussi avevano riferito che la maniglia di tale vano era rotta sicchè chiunque avrebbe potuto accedervi senza l’uso della chiave. Osservava ancora la Corte di appello che la circostanza di essere in possesso, il C., della chiave di accesso al vano ENEL della cabina e di avere una specifica competenza tecnica non implicava necessariamente, in mancanza di validi elementi di supporto, che il dipendente fosse stato l’autore della manomissione dell’impianto al fine del prelievo abusivo di energia. La Corte prendeva, quindi, in esame taluni elementi di fatto che potevano risultare di ostacolo alla plausibilità della soluzione adottata per concludere nel senso che, proprio per la possibilità di due opposte e contrastanti ricostruzioni degli stessi fatti, quelli prospettati dal datore di lavoro e posti a fondamento della sentenza appellata non potevano dirsi caratterizzati da univocità.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza ENEL Distribuzione S.p.A. con due motivi, illustrati da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame da parte della Corte di appello di due fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e cioè, in primo luogo, (a) del fatto che la mattina del (OMISSIS), allorchè i tecnici della società erano intervenuti per un controllo presso la sede della Cooperativa, il C. era stato chiamato ad aprire il vano della cabina di pertinenza del cliente (fatto da cui derivava la prova certa del possesso delle relative chiavi, che invece la Corte ha ritenuto non fossero nella disponibilità del C.); in secondo luogo, (b) del fatto che i cavi utilizzati per la manomissione erano di proprietà dell’ENEL e non erano di agevole impiego: elemento, questo, idoneo a costituire quel valido elemento di supporto, la cui assenza la Corte ha addotto per negare che le altre circostanze, che avevano portato il giudice di prime cure a ritenere fondato il recesso, fossero sufficienti per affermare la responsabilità del C..

Il motivo è infondato.

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360 c.p.c., n. 5, così come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ciò posto, si deve rilevare che nè al fatto indicato sub (a) nè a quello indicato sub (b) può attribuirsi carattere di “decisività”, quale attitudine a determinare un esito diverso della controversia: quanto al primo, infatti, è da considerare che il giudice del merito ha accertato, sulla scorta di testimonianze, come “la maniglia del vano cliente” della cabina elettrica fosse “rotta sicchè chiunque avrebbe potuto accedervi senza l’uso della chiave” e realizzare così la manomissione (cfr. sentenza, pag. 2, terzultimo cpv.); quanto al secondo, che la relativa deduzione si sarebbe dovuta associare, ai fini della decisività del fatto omesso, alla prova che il C. fosse l’unico soggetto abilitato ad accedere ai magazzini della società e a prelevare i cavi.

Con il secondo motivo, deducendo la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte, sostanzialmente impedendole di dimostrare la responsabilità del dipendente per via presuntiva, omesso di considerare fatti (gli stessi già indicati nell’esposizione del primo motivo e cioè che il C. era stato chiamato ad aprire il vano della cabina ENEL di pertinenza del cliente e che i cavi utilizzati per la manomissione erano di proprietà della società, oltre ad essere di non agevole impiego), i quali, senza dubbio, avrebbero dovuto indurla a ritenere sussistenti presunzioni gravi, precise e concordanti.

Anche questo secondo motivo di ricorso è infondato.

La Corte territoriale ha invero sinteticamente ripercorso i punti di fatto salienti della ricostruzione proposta dalla società datrice di lavoro e del ragionamento decisorio del giudice di primo grado, che tale ricostruzione aveva recepito; e a tale ragionamento ha contrapposto un insieme di fatti e circostanze di segno contrario, pervenendo alla conclusione che gli elementi utilizzati nell’iter logico-argomentativo della sentenza appellata per giungere alla valutazione di legittimità dei recesso non fossero assistiti dai connotati della univocità, così da risultare inidonei a fondare la presunzione di responsabilità dell’appellante in ordine agli addebiti contestati (cfr. ancora sentenza, pagine 2-3).

Attraverso tali rilievi il giudice del merito, diversamente da quanto denunciato con il motivo in esame, ha esattamente ricondotto la fattispecie concreta nell’ambito di applicabilità dell’art. 2729 c.c., il quale richiede l’esistenza, nei fatti noti, di definiti requisiti (di gravità, di precisione e di concordanza) idonei a giustificare l’inferenza presuntiva e, quindi, a fondare l’accertamento del fatto controverso: requisiti che, tra l’altro, e anche sul punto il giudice risulta aver fatto corretta applicazione di consolidati principi in materia, devono essere ricercati in relazione al complesso degli indizi raccolti e sottoposti a valutazione globale (e non con riferimento singolo a ciascuno di essi: cfr. Cass. n. 18529/2007, ove plurimi richiami giurisprudenziali).

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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