Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21642 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 26/10/2016, (ud. 18/07/2016, dep. 26/10/2016), n.21642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21016-2010 proposto da:

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati CLEMENTINA PULLI, ALESSANDRO RICCIO e MAURO RICCI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CITTADINO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CITTADINO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/04/2010, R.G. N. 1643/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8/4 – 29/4/2010 la Corte d’appello di Catanzaro, accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione di R.A. e riformando la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, ha dichiarato che l’appellante necessitava di assistenza continua a decorrere dall'(OMISSIS) “ex lege” n. 18 del 1980 ed ha condannato l’Inps ad erogargli la relativa prestazione maggiorata degli accessori di legge.

La Corte territoriale ha escluso che nella fattispecie potesse trovare applicazione la causa di decadenza di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito nella L. n. 326 del 2003, ravvisata dal primo giudice, in quanto questa poteva operare solo per i verbali di visita comunicati successivamente all’1/1/2005, a prescindere dalla data di presentazione della domanda amministrativa e da quella della visita. Nel merito la Corte ha condiviso le conclusioni del consulente d’ufficio nominato in appello in ordine alla sussistenza della condizione di necessità di assistenza continua in favore del R. a decorrere dal (OMISSIS).

Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso il R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un solo motivo l’Inps denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326 e del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, comma 2, convertito in L. 27 febbraio 2007, n. 47, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La questione, secondo l’Inps, è se si applichi il termine di decadenza di cui alla citata legge nei procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile o il sordomutismo quando l’interessato proponga ricorso amministrativo e domanda giudiziale in data successiva all’entrata in vigore del suddetto decreto, ma abbia presentato domanda amministrativa e sia stato sottoposto a visita della Commissione Sanitaria precedentemente a tale data.

Il motivo è infondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 9647 del 13/6/2012), “in tema di azione giudiziale per le prestazioni d’invalidità civile, il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 dei 2003, la cui efficacia è stata differita al 31 dicembre 2004 dal D.L. n. 355 del 2003, art. 23, comma 2, conv. in L. n. 47 del 2004, ha introdotto una decadenza prima inesistente, fissando il termine di sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa. Ne consegue che detto termine di decadenza si applica solo se il provvedimento amministrativo sia stato comunicato all’interessato dopo il 31 dicembre 2004, dovendosi ritenere, da un lato, che non rilevi l’art. 252 disp. att. c.c. – norma di principio, che tuttavia concerne il diverso fenomeno dell’abbreviazione del termine di decadenza già esistente – e dall’altro che la comunicazione, integrando il fatto che comporta la decorrenza della decadenza di nuova istituzione, non possa situarsi al di fuori dell’area temporale di operatività della norma che l’ha introdotta.”

Tale indirizzo ha poi trovato conferma nella sentenza n. 11484 del 3/6/2015 di questa stessa Corte, ove si è affermato che “in tema di azione giudiziale per le prestazioni d’invalidità civile, la decadenza introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito con la L. 24 novembre 2003, n. 326, la cui efficacia è stata differita al 31 dicembre 2004 dal D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, comma 2, convertito con la L. 27 febbraio 2004, n. 47, si applica solo ai provvedimenti amministrativi comunicati a decorrere dal 1 gennaio 2005 e, pertanto, non nell’ipotesi in cui il ricorso amministrativo (avverso un provvedimento amministrativo di rigetto) sia stato proposto prima del 31 dicembre 2004, dovendosi in tal caso applicare la previgente disciplina di cui al D.P.R. 24 settembre 1994, n. 698.” Orbene, la stessa difesa dell’ente previdenziale dichiara che nel caso di specie il R. presentò la domanda amministrativa in data 4.12.2002 e che in data 31.3.2003 la Commissione sanitaria, che lo aveva sottoposto a visita, non riconobbe la sussistenza del requisito sanitario. Da ciò discende che l’assistito ebbe comunicazione dell’esito negativo della domanda amministrativa prima del 1 dicembre 2005, data a partire dalla quale operava il nuovo termine decadenziale di sei mesi introdotto dalle citate disposizioni di legge. Pertanto, la decisione della Corte territoriale, che ha escluso che il R. dovesse soggiacere a tale nuovo termine di decadenza per l’esercizio dell’azione giudiziale, è in linea coi precedenti di legittimità sopra richiamati, per cui non merita le censure mosse col presente ricorso.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2100,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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