Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21642 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17597-2015 proposto da:

M.B.R. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

M.E., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIOVANNI BISI, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Maria Chiefari

in ROMA, VIA PACINOTTI 5/D;

– ricorrente –

contro

INGEGNERI RIUNITI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati ERNESTO DE RIENZO,

FILIPPO DE RIENZO e MAURIZIO VISCA, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio di quest’ultimo in ROMA, CORSO TRIESTE 10;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1277/2014 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20.05.2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 7.8.2002, la M.B.R. s.r.l. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Modena la INGEGNERI RIUNITI s.r.l. (poi divenutà INGEGNERI RIUNITI s.p.a.) esponendo che: in data 4.8.1997 le due società costituivano un’A.T.I. (Associazione temporanea di Imprese) al fine di partecipare alla gara pubblica di appalto indetta dall’AGAC di Reggio Emilia, avente ad oggetto la realizzazione cartografica informatizzata dei reticoli fognari dei Comuni di Scandiano, Rubiera, Casalgrande, Albinea e relative frazioni; che, nell’ATI, la M.B.R. assumeva la veste giuridica di mandante e la Ingegneri Riuniti quella di mandataria con rappresentanza; che in base agli accordi di collaborazione per l’esecuzione dell’appalto, alla M.B.R. competeva il rilievo topografico plano-altimetrico della zona, mentre alla Ingegneri Riuniti spettava la planimetria schematica generale del reticolo fognario; che la ATI si aggiudicava l’appalto, a seguito di Delib. AGAC 24 ottobre 1997, comunicata in data 12.11.1997.

Ciò premesso, la società attrice deduceva l’inadempimento della convenuta per avere subappaltato ad altro professionista l’esecuzione di parte dei lavori di competenza di essa attrice, in violazione del divieto legale e del capitolato di gara e per essersi appropriata della somma di Lire 146.124.365 corrisposta dalla committente AGAC; chiedeva la declaratoria di risoluzione del contratto di ATI per fatto e colpa della convenuta, nonchè la condanna della stessa alla restituzione del materiale prodotto da essa attrice e di sua proprietà (schede dei pozzetti, planimetrie monografiche e supporti informatici della topografia), l’accertamento dell’indebito utilizzo di tale materiale da parte della convenuta e del diritto al risarcimento dei danni da quantificarsi in separato giudizio.

Si costituiva in giudizio la Ingegneri Riuniti contestando il fondamento della domanda attorea òe chiedendo, in via riconvenzionale, la dichiarazione di risoluzione del contratto di ATI per fatto e colpa dell’attrice.

Con sentenza n. 245/2010, depositata in data 15.2.2010, il Tribunale di Modena dichiarava la risoluzione del contratto di ATI per fatto imputabile alla M.B.R. e la dichiarava tenuta al risarcimento dei danni la liquidarsi in separato giudizio, condannando l’attrice alle spese di lite.

Contro tale sentenza M.B.R. proponeva appello eccependo tra l’altro la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere omesso di considerare le prove testimoniali da cui erano emerse circostanze, imputabili a controparte, che avevano impedito ad essa appellante di portare a termine il proprio lavoro.

Si costituiva nel giudizio d’appello la Ingegneri Riuniti chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con sentenza n. 1277/2014, depositata in data 20.5.2014, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello. In particolare, la Corte riteneva che il ritardo di M.B.R. nello svolgimento dei lavori di sua competenza e la mancata collaborazione per il conseguimento dell’obiettivo comune, rivelatosi attraverso i silenzi opposti alle numerose richieste formulate da Ingegneri Riuniti, nonchè la mancata partecipazione all’incontro promosso dalla committente, costituissero specifici inadempimenti del contratto di collaborazione, che ne giustificavano la risoluzione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione M.B.R. s.r.l. sulla base di due motivi; resiste la Ingegneri Riuniti s.p.a. con controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente M.B.R. lamenta ex “Art. 360 c.p.c., n. 3: (la) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1460 c.c. e della L. n. 55 del 1990, art. 18”, là dove la Corte distrettuale non ha considerato che la medesima ricorrente aveva legittimamente sospeso l’esecuzione delle opere di sua competenza dopo il grave inadempimento della Ingegneri Riuniti, consistito nella violazione del divieto legale (L. n. 55 del 1990, art. 18 nel testo sostituito dalla L. n. 109 del 1994) e contrattuale di subappalto (art. 9 capitolato d’appalto e art. 16 bando di gara). Determinando tale violazione, dal punto di vista civilistico, la nullità del contratto di subappalto per contrarietà a norme imperative, e pertanto grave inadempimento che legittima la richiesta di risoluzione del contratto, quando la violazione giunga a compromettere l’adempimento della prestazione dedotta in contratto, causando uno squilibrio nel sinallagma del vincolo contrattuale; per cui, richiesta la risoluzione del contratto da entrambe le parti, la Corte avrebbe dovuto procedere a un giudizio comparativo in base ai rapporti di successione cronologica, proporzionalità dei due inadempimenti, ai sensi dell’art. 1453 c.c., al fine di stabilire quale fosse stato preponderante e atto a legittimare l’eccezione di inadempimento. Viceversa, la Corte d’appello ha sottovalutato le gravissime conseguenze provocate dalla condotta penalmente rilevante della Ingegneri Riuniti nei confronti della ricorrente, la quale – oltre a vedersi estromessa dalle opere ad essa commissionate – si era trovata esposta a rischi di un coinvolgimento di corresponsabilità, con il pericolo di implicazioni negative in altre gare di appalto pubblico, a cui la M.B.R. stava partecipando; sicchè, per evitare di essere coinvolta in tali gravissime violazioni, la M.B.R. aveva sospeso la propria attività, per cui la successiva decisione della committente di risolverè il contratto d’appalto adducendo il ritardo nell’espletamento delle opere appaltate non poteva essere addebitata alla M.B.R..

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, come sopra detto, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016). Ciò in quanto, il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

Sicchè, in ultima analisi, il motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attingono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

1.3. – Sotto altro concomitante profilo, la Corte distrettuale ha affermato che il contratto di appalto, per cui l’ATI era stata costituita, sia stato risolto ex art. 1456 c.c. dalla committente per la mancata produzione dei rilievi altimetrici, lavorazione integralmente spettante a M.B.R. nella ripartizione interna tra la stessa e Ingegneri Riuniti. La Corte – rilevato che i ritardi della M.B.R. erano già stati contestati dalla Ingegneri Riuniti a soli due mesi dall’inizio dei lavori – correttamente ha ritenuto spettasse alla M.B.R. provare che il ritardo non fosse imputabile a propria colpa (pag. 7 sentenza impugnata); tant’è che l’appellante adduceva a propria discolpa che la Ingegneri Riuniti avesse subappaltato una parte dei lavori, ed avesse consegnato con ritardo (solo il 4.8.1998) le planimetrie di campagna. Ed altrettanto correttamente ha evidenziato che il preteso subappalto concluso dalla Ingegneri Riuniti, indipendentemente dalla qualificazione in tali termini dell’incarico affidato dalla resistente al geom. P., non giustificasse il ritardo della M.B.R. nell’esecuzione delle prestazioni a cui era tenuta; tanto che nella sentenza impugnata viene specificato che la committente, nella comunicazione del 6.10.1988, aveva richiesto a M.B.R. le ragioni per le quali il subappalto le avrebbe impedito l’adempimento delle sue obbligazioni (pag. 8 sentenza impugnata; e ciò, dunque, in coerenza con i principi affermati da questa Corte secondo cui la circostanza che una delle parti del contratto, nell’esecuzione degli obblighi assunti, abbia violato norme imperative, se può comportarne la nullità, tuttavia non ne giustifica, di per sè, la risoluzione per inadempimento la quale può essere pronunciata soltanto ove si accerti che la suddetta violazione abbia concretamente e decisivamente inciso sull’interesse della controparte e, di conseguenza, sul sinallagma contrattuale: Cass. n. 6492 del 2011). La Corte di merito, dunquè, nell’affermare che l’inadempimento agli obblighi del contratto d’appalto era da imputarsi unicamente alla M.B.R. e che non sussisteva alcun inadempimento imputabile alla appellata, non ha conseguentemente proceduto ad un giudizio comparativo.

1.4. – Orbene, è consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Sicchè (così come articolate) le censure portate dal motivo si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la società ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 5: (l’)omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, costituito dalla circostanza, non esaminata, che durante l’esecuzione dei lavori, dal mesè di aprile 1998; la ricorrente aveva provveduto alla fatturazione di una parte delle prestazioni effettuate inviando tre fatture per un totale di Lire 36.000.000, ma successivamente riscontrandone il mancato pagamento e che la Ingegneri Riuniti s.r.l., in quanto mandataria dell’ATI, aveva ricevuto dalla committente AGAC il pagamento parziale del corrispettivo pari a Lire 146.124.365.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 20 maggio 2014) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Viceversa, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (che sono sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è in atti idonea indicazione. Laddove in disparte il rilievo della genericità delle deduzioni rese, non meglio specificate (nè riprodotte nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza), che renderebbero comunque l’asserita omissione, di per sè, priva del necessario connotato di decisività – le censure riguradano, non già l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, bensì la mera richiesta di rivalutazione di deduzioni difensive, non riferibili all’ambito di applicazione del riformato paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente M.B.R. s.r.l. al pagamento in favore della controricorrente Ingegneri Riuniti s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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