Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21641 del 28/07/2021

Cassazione civile sez. un., 28/07/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 28/07/2021), n.21641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente di sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5402-2021 proposto da:

F.G., nella qualità di titolare e legale rappresentante

della ditta individuale Azienda Agricola In Trois, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NATASCIA FINOTTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI E DEL

TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO;

AZIENDA AGRICOLA LI POCIS DI M.J., in persona del

titolare e legale rappresentante M.J., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MARTORANA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 8089/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 16/12/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari, unitamente ai funzionari del Corpo Regionale Forestale della Direzione centrale risorse agricole forestali ed ittiche della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, accertava la coltivazione di mais OGM presso i terreni coltivati a mais dall’azienda agricola di F.G..

Successivamente, il Direttore generale della Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore adottava, con provvedimento del 3 luglio 2018, l’ordine “…di procedere, mediante trinciatura ed interramento, alla distruzione delle coltivazioni di OGM illecitamente impiantate sui terreni siti, rispettivamente, in località (OMISSIS) ed in Località (OMISSIS), nonché al ripristino dello stato dei luoghi a proprie spese”.

Il F. impugnava l’atto innanzi al T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia che, con sentenza n. 333/2019, pubblicata il 29 luglio 2019, lo respingeva, ritenendolo adottato in applicazione del D.Lgs. n. 224 del 2003, art. 35-bis come modificato dal D.Lgs. n. 227 del 2016, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio”.

La parte soccombente impugnava l’indicata sentenza innanzi al Consiglio di Stato che, nel contraddittorio con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, respinta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della decisione impugnata, con sentenza n. 8089, depositata il 16 dicembre 2020, rigettava l’impugnazione.

Per quel che qui ancora rileva il Consiglio di Stato osservò che:

a) non vi era alcuna utilità alla partecipazione procedimentale reclamata dalla ricorrente, risultando il provvedimento impugnato assistito da una finalità cautelare, volta ad evitare che la coltivazione non consentita potesse produrre effetti sui terreni confinanti, dimostrativa del carattere vincolato del provvedimento e della conseguente inutilità di un apporto procedimentale;

b) la Decisione della Commissione del 3 marzo 2016, che aveva disposto il divieto di coltivazione del mais OGM MON 810 in tutto il territorio italiano, come si ricavava dall’art. 1- “La coltivazione del granturco geneticamente modificato (Zea mays L.) MON 810 è vietata nei territori elencati nell’allegato della presente decisione”, era stata adottata a seguito della domanda di diciannove stati, fra i quali l’Italia, che “hanno chiesto, a norma dell’art. 26 quater della direttiva 2001/18/CE, il divieto della coltivazione di granturco MON 810 in tutto loro territorio o parte di esso”-, era stata comunicata dalla Commissione a Monsanto in qualità di produttore del granturco geneticamente modificato (Zea mays L.) MON 810 e titolare dell’autorizzazione alla coltivazione e all’immissione in commercio. La partecipazione di Monsanto al procedimento culminato nell’adozione della decisione era connessa al fatto che fosse titolare di autorizzazioni precedentemente rilasciate e non al fatto che il procedimento fosse relativo a quell’unica azienda, costituendo attuazione della misura di carattere generale prevista dalla direttiva (UE) 2015/412. Ciò non autorizzava a ritenere l’inopponibilità in danno del ricorrente di tale decisione, in ragione dell’asserita limitazione soggettiva degli effetti della stessa. Peraltro, era stata la stessa ricorrente, nella formulazione dei quesiti pregiudiziali che a suo dire sarebbe stato necessario indirizzare alla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, a riconoscere che la Decisione della Commissione impediva “radicalmente la coltivazione di mais OGM MON 810 nel territorio italiano”;

c) anche il terzo motivo di ricorso era infondato, in quanto il divieto di coltivazione non derivava da misure adottate ai sensi del Titolo III bis del D.Lgs. n. 224 del 2003, ma direttamente dalla richiamata decisione della Commissione Europea;

d) parimenti infondato risultava il quarto motivo di ricorso con il quale era stato censurato il capo di sentenza che aveva escluso il contrasto fra gli atti dell’Unione Europea assunti quale parametro normativo del divieto di coltivazione di mais OGM e “alcune disposizioni di TUE, TFUE e Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”;

e) la censura esposta dalla ricorrente, nella parte in cui era stata prospettata sia la “violazione di legge per violazione e falsa interpretazione degli artt. 3, comma 3 TUE, degli artt. 26,34,35,36 e 114 TFUE, degli artt. 16 e 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea come interposti dall’art. 6 TUE, e dell’art. 3, comma 1, lett. b TFUE in combinato disposto con l’art. 2, comma 1 TFUE, e in combinato disposto con l’art. 22 della direttiva 2001/18/CE. Nonché violazione ed errata interpretazione del principio di precauzione, dell’art. 7 del Reg. (CE) 178/2012, dell’art. 191 TFUE, dell’art. 23 della direttiva 2001/18/CE e dell’art. 34 del Reg. (CE) 1829/2003”, sia il rinvio pregiudiziale di validità degli atti in questione alla Corte di Giustizia, secondo il Consiglio di Stato era infondata, muovendo da un errore prospettico, rappresentato dal convincimento della natura incomprimibile della libertà di iniziativa economica rispetto ai valori fondanti via via riconosciuti all’interno del diritto comunitario e dell’Unione Europea;

f) corretta doveva pertanto ritenersi la decisione di primo grado in punto di conformità degli atti denunciati ai rispettivi parametri, a fronte di un’impugnazione proposta che si fondava su una prospettiva assoluta dei diritti e delle libertà rivendicati, la censura invece tralasciando di considerare la corretta ottica di bilanciamento fra interessi antagonisti, che pure evidenziava l’esistenza di una gerarchia all’interno della quale, peraltro, le indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia apparivano univoche nel senso del carattere recessivo della libertà di iniziativa economica rispetto a beni primari quali la salute e la tutela dell’ambiente (e al principio di precauzione). Da ciò non poteva che derivare la piena legittimità degli atti adottati anche rispetto ai canoni della proporzionalità fra risultato perseguito e misure adottate;

g) quanto alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, secondo il Consiglio di Stato il ruolo del giudice nazionale (anche di ultima istanza) implicava un filtro valutativo, alla stregua dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia – Corte giust., 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit – non potendosi ipotizzare alcun automatismo, come già riconosciuto dal medesimo Consesso -Cons. Stato n. 2428/2020-;

h) tale conclusione non andava modifica anche all’esito della ordinanza di queste Sezioni Unite n. 19598 del 18 settembre 2020. Ed infatti, secondo il Consiglio di Stato “…Il rilievo che la proibizione della coltivazione del mais OGM, in quanto – almeno ad una soglia precauzionale – potenzialmente pericolosa per la salute e per l’ambiente, sia un limite all’esercizio delle relative attività economico non contrastante con i parametri evocati, appare ad avviso del Collegio non dubitabile: avuto riguardo ad una ricognizione dei principi della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e del Trattato sull’Unione Europea consapevole della gerarchia di valori dagli stessi risultante’. Da qui il rigetto della censura anche nella parte in cui sollecita il rinvio pregiudiziale di validità sopra descritto.

Contro la sentenza del Consiglio di Stato F.G. ha proposto ricorso ex art. 111 Cost. alle Sezioni Unite civili della Corte, affidato ad un’unica complessa censura.

Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e del turismo, ha resistito in giudizio con controricorso. L’Azienda Agricola Li Pocis di M.J. si è costituita in adesione al ricorso proposto dal F..

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con la censura proposta il ricorrente premette di condividere la prospettiva espresso Cass., S.U., 18 settembre 2020, n. 19598.

1.1. Secondo il ricorrente tale ordinanza interlocutoria, resa nell’ambito di un ricorso proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, nel rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea alcuni quesiti pregiudiziali volti a verificare se una decisione del Consiglio di Stato che avrebbe fatto scorretta applicazione di alcune sentenze della Corte di giustizia fosse lesiva del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, e se la mancata sollevazione del rinvio pregiudiziale da parte di quello stesso Giudice, conculcando i poteri interpretativi riservati a quella giurisdizione, violava la giurisdizione della medesima Corte Europea, confermerebbe la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte della sentenza qui in esame.

1.2. Secondo il ricorrente, infatti, il ragionamento speso per escludere l’utilità del rinvio pregiudiziale, fondato sulla prevalenza gerarchica del principio di precauzione e sulla legittimità del divieto di semina del mais OGM fissato dalla direttiva UE 412/2015 in relazione ai pericolo per la salute e l’ambiente, sarebbe errato, integrando il divieto di utilizzo di una merce- e quindi il divieto di semina- una violazione del divieto di restrizioni quantitative all’importazione, delle misure ad effetto equivalente- art. 34 T.F.U.E.- e dei principi di cui agli artt. 3, comma 3 TUE e art. 26, comma 2 T.F.U.E.

1.3. Peraltro, il Consiglio di Stato, nell’esaminare il principio di precauzione, non avrebbe correttamente inteso la giurisprudenza della Corte di giustizia- Corte giust., 13 settembre 2017, causa C-111/16-ove sarebbe stato chiarito che la restrizione alla libera circolazione di OGM non poteva essere giustificata sulla base del solo fondamento del principio di precauzione di cui all’art. 7 Reg. n. 178/2002 se non fossero state rispettate le condizioni sostanziali previste dall’art. 34 Reg. n. 1829/2003. Risulterebbe, dunque, evidente l’errore prospettico nel quale sarebbe incorso il Consiglio di Stato rispetto alla portata della Direttiva UE 2015/412 che, nel prevedere il divieto di coltivazione di OGM su parte o sull’intero territorio nazionale, riguarderebbe solo OGM che non presentano alcune problematica in termini di danno o pericolo di danno per la salute umana, animale e per l’ambiente, di guisa che i divieti di coltivazione introdotti ai sensi delle misure di emergenza di cui all’art. 34 Reg. CE n. 1829/2003 avrebbero una loro autonomia e non conterrebbero alcun riferimento o nesso con la direttiva, relativa a nuovi divieti e diversi da quelli previsti dai Trattati. Pertanto, secondo il ricorrente, la questione sollevata innanzi al Consiglio di Stato – che, in definitiva, riguardava la compatibilità delle misure restrittive introdotte dalla direttiva 2015/412 con i paletti istituiti dall’art. 36 T.F.U.E. – doveva ritenersi nuova e, non esistendo una giurisprudenza della CGUE formatasi sul punto controverso, molti dubbi permarrebbero in ordine alla portata della direttiva 2015/412, come del resto era confermato dal parere legale n. 15696/10 del Servizio giuridico del Consiglio dell’Unione Europea prodotto in giudizio. Sussisterebbero, in conclusione, secondo il ricorrente, tutti gli elementi per un obbligatorio rinvio della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, posto che il Consiglio di Stato aveva deciso la questione “con una sua interpretazione basata su normativa e precedenti giurisprudenziali che non hanno alcuna attinenza con la problematica che gli era stata sottoposta, evitando di devolvere la vertenza in sede comunitaria… giudicando su questioni che dovevano essere portate alla cognizione di altro giudice’. Da qui l’erroneo convincimento del Consiglio di Stato che, in quanto giudice di ultima istanza adito, avrebbe esorbitato dal suo ambito giurisdizionale ed invaso quello di esclusiva competenza della Corte di giustizia UE.

1.4. Ne’ potrebbe sostenersi l’esistenza di rimedi alternativi volti ad eliminare il pregiudizio nascente dalla violazione del diritto dell’Unione, non potendo l’azione di responsabilità dello Stato elidere comunque il vulnus al principio di effettività, connesso al mancato soddisfacimento dell’interesse specifico azionato.

1.5. In questa prospettiva, li violazioni dell’obbligo del rinvio pregiudiziale e di adeguarsi ai principi della Corte di giustizia costituirebbero entrambe inosservanze gravi e manifeste del diritto dell’Unione, dando luogo alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione del G.A.

2. Il ricorso è infondato.

3. Giova premettere che nel caso qui all’esame di queste Sezioni Unite il Consiglio di Stato, investito fra l’altro del motivo di censura rivolto a contestare la compatibilità di una direttiva UE- 2015/412- e della decisione di esecuzione della Commissione n. 321 del 3 marzo 2016 con i Trattati, la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e della dir. 2001/18/CE ed a sollecitare il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267, par. 2 TFUE – cfr. del resto, testualmente, pag. 5, p. 2.9 e pag. 7, p. 41.1 ricorso per cassazione F. -, ebbe a disattendere tale profilo censorio sulla base di un articolato iter motivazionale teso, per l’un verso, a stigmatizzare l’errore prospettico nel quale era incorso il ricorrente, correlato alla considerazione di una prevalenza delle libertà di iniziativa economica su valori fondanti della Comunità Europea e dell’Unione, invece smentita dal carattere preminente del principio di precauzione, in parte qua rilevante e decisivo per giustificare la misura restrittiva applicata al ricorrente mediante l’ordine di distruzione delle coltivazioni di mais OGM.

3.1. Per altro verso, il Consiglio di Stato ebbe a precisare, rispetto alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in tema di validità di atti comunitari, che permaneva un ambito valutativo da parte del giudice di ultima istanza, in base ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia nella sentenza Cilfit, ancora aggiungendo che nemmeno la prospettiva accolta da queste Sezioni unite con l’ordinanza n. 19598/2020 avrebbe potuto modificare le valutazioni in punto di infondatezza delle censure esposte dal ricorrente, proprio in considerazione del limite all’esercizio delle attività economiche rappresentato “… dalla ricognizione dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e del Trattato sull’Unione Europea consapevole della gerarchia di valori dagli stessi risultante…” senza che potesse scorgersi alcun dubbio in proposito proprio sulla base della giurisprudenza del giudice di Lussemburgo, così rigettandosi la censura “nella parte in cui sollecita il rinvio pregiudiziale di validità sopra descritto”- cfr. p. 5.3 ult. periodo sent. Impugnata -.

4. Ora, occorre preliminarmente cogliere il senso della censura esposta dal ricorrente innanzi a queste Sezioni Unite, posto che essa viene espressa facendo riferimento tanto alla mancata sollevazione da parte del Consiglio di Stato del c.d. rinvio pregiudiziale di validità con riferimento alla direttiva 2015/412 che all’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale c.d. interpretativo da parte del medesimo giudice di ultima istanza -v., in particolare, p. 6.1.11, 6.1.12, 6.1.13, 6.1.14, 6.1.15, 6.1.16, 6.1.17, 6.1.18, 6.1.19, 6.1.23, 6.1.26 ricorso per cassazione-.

4.1. La censura, in definitiva, addebita al giudice amministrativo di appello di avere esercitato competenze allo stesso non riservate ed invece spettanti in via esclusiva alla Corte di Giustizia tanto sotto il profilo del sindacato sulla validità degli atti dell’UE, quanto in ordine alla scorretta interpretazione del quadro normativo di riferimento UE che aveva supportato la decisione.

5. Orbene, la censura relativa al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte UE sulla questione della validità di atti del diritto dell’UE, pur ammissibile in rito, è infondata nel merito.

6. Ammissibile perché la doglianza, involgendo la competenza giurisdizionale esclusiva della Corte di giustizia a decidere sulla validità degli atti dell’UE di diritto secondario, esclude la competenza giurisdizionale dei giudici nazionali, di merito e di quelli di ultima istanza, a decidere sulla validità dell’atto UE, facendo rientrare la controversia all’interno dell’art. 117, c. 8 Cost- cfr. Cass., S.U., 11 marzo 2020, n. 7012-.

7. La stessa censura è però sfornita di fondamento.

8. La Corte di giustizia ha, infatti, statuito che nessuna autorità giudiziaria ha la competenza a dichiarare invalido un atto comunitario, dovendo sempre chiedere alla Corte di accertarne la validità. Si è in particolare ritenuto che i giudici nazionali “possono esaminare la validità di un atto comunitario e, se ritengono infondati i motivi d’invalidità addotti dalle parti, respingerli concludendo per la piena validità dell’atto- Corte giust., 22 ottobre 1987, causa C-314/85, Foto Frost, par. 14, aggiungendo che essi giudici “non hanno il potere di dichiarare invalidi gli atti delle istituzioni comunitarie” (par. 15 sent., cit.)-

8.1. Ciò perché “l’esistenza di divergenze fra i giudici degli Stati membri sulla validità degli atti potrebbe compromettere la stessa unità dell’ordinamento giuridico ed attentare alla fondamentale esigenza della certezza del diritto”-cfr. Corte giust., sent. 22.10.1987, Foto-Frost, cit.; Corte Giust., 6.12.2005, C-461/03, Gaston Schul; 10.1.2006, C-344/04, IATA e ELFAA-.

8.2. La giurisprudenza della Corte di giustizia – Corte giust.13 dicembre 1994, C-306/1993, SMW Winzersekt GmbH – ha poi chiarito che, qualora dinanzi a un giudice nazionale venga sollevata la questione della legittimità di un atto emanato dalle istituzioni della Comunità, rientra nella discrezionalità di tale giudice valutare se la decisione della controversia sia subordinata alla soluzione di tale questione e, quindi, se occorra chiedere alla Corte di pronunziarsi sulla questione medesima. In tal caso spetterà a quest’ultima, nell’ambito dei rapporti di stretta collaborazione con i giudici nazionali sanciti dall’art. 177 del Trattato, risolvere la questione sollevata dal giudice nazionale, salvo che la Corte non rilevi che la questione stessa non presenta alcun nesso con il carattere effettivo o con l’oggetto della controversia principale.

8.3. Se in tale ambito la Corte di Giustizia svolge il ruolo di giudice della legittimità degli atti UE attraverso un meccanismo analogo a quello del giudizio in via incidentale sulle leggi, è proprio il punto 7 delle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale reperibili sul sito della Corte di Giustizia (2019/C 380/01) a fotografare i principi espressi sul ruolo della Corte di Giustizia e del giudice nazionale rispetto al rinvio pregiudiziale di validità ed alla competenza delle autorità giurisdizionali coinvolte sulla questione relativa alla validità degli atti UE, ivi chiarendosi che, mentre i giudici nazionali hanno la facoltà di respingere i motivi di invalidità dedotti dinanzi ad essi contro un atto di un’istituzione, di un organo o di un organismo dell’Unione, spetta viceversa esclusivamente alla Corte dichiarare invalido tale atto. Allorché nutre dubbi sulla validità di un simile atto, il giudice di uno Stato membro deve, quindi, rivolgersi alla Corte indicando i motivi per cui nutre siffatti dubbi.

9. Ora, la situazione qui all’esame delle Sezioni Unite e’, in definitiva, quella di ponderare se il mancato rinvio pregiudiziale di validità consapevolmente disatteso dal Consiglio di Stato integri il superamento dei limiti esterni della giurisdizione per sconfinamento nella sfera riservata alla Corte di giustizia.

10. Ciò detto e tenuto conto dell’iter argomentativo e della soluzione adottata nella sentenza qui impugnata, queste Sezioni Unite escludono che il Consiglio di Stato abbia esorbitato dalle prerogative allo stesso riservate, invadendo la sfera della competenza giurisdizionale riservata alla Corte di giustizia in tema di validità degli atti UE.

10.1. Una volta, infatti, che il giudice amministrativo di appello abbia escluso – peraltro motivatamente – la ricorrenza dei presupposti per ritenere l’invalidità degli atti innanzi allo stesso contestati ed abbia altresì consapevolmente motivato le ragioni che escludevano la necessità del rinvio pregiudiziale di validità- in relazione all’interpretazione del quadro UE dal medesimo compiuta-, il Consiglio di Stato si è mosso nell’ambito a sé riservato dalla giurisprudenza della Corte UE, lasciando integre le funzioni della Corte di giustizia- in tema di invalidità degli atti UE – volte ad impedire che un atto dell’UE sia sindacato quanto alla sua validità, da un’autorità giurisdizionale nazionale.

10.2. Nessun vulnus ai limiti esterni della giurisdizione può dunque configurarsi, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente anche in memoria, per effetto dall’attività del giudice amministrativo nazionale che escluda la invalidità dell’atto verso il quale si appuntavano le critiche di una delle parti processuali.

11. Quanto alla parte della censura che pone in discussione il la mancata attivazione del rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia da parte del Consiglio di Stato, per avere questi mal interpretato il diritto UE in assenza di una giurisprudenza della Corte di giustizia, come assunto dal ricorrente in ricorso, la stessa è inammissibile.

11.1. Ed invero, anche nel caso qui in esame delle Sezioni Unite – come già in Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107 – il giudice amministrativo di secondo grado ha espresso le ragioni che lo hanno condotto non solo a negare il rinvio pregiudiziale alla Corte UE, ma anche a ritenere pienamente compatibile l’atto impugnato e il quadro normativo Europeo posto a base della decisione con i principi fondamentali del diritto UE.

11.2. Il tutto con una motivazione che si pone assolutamente in linea con le indicazioni offerte dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo allorché il giudice di Strasburgo ha scrutinato le decisioni dei giudici nazionali che, nelle prospettive volta per volta prospettate dalle parti ricorrenti, avrebbero violato l’art. 6 CEDU dichiarando di non avvalersi del rinvio pregiudiziale. Vicende, queste ultime – cfr. Corte edu, sentt. 10 aprile 2012, Vergauwen c. Belgio, 20 settembre 2011, Ullens de Schooten e Rezabeck c. Belgio, 8 aprile 2014, Dhahbi c. Italia – nelle quali il filo comune è appunto rappresentato dalla necessità che il giudice di ultima istanza fornisca un apparato motivazionale adeguato a sorreggere la decisione.

11.3. Apparato motivazionale che, nel caso di specie, può dirsi completo, in relazione alla certosina disamina del quadro normativo UE e del diritto giurisprudenziale della Corte UE e dell’altrettanto chiara e convincente ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della scala di valori presente nel diritto dell’Unione Europea, al cui interno i principi della salvaguardia della salute, dell’ambiente e di precauzione trovano piena tutela, anteponendosi alla libertà di iniziativa economica, al punto che “la giurisprudenza della Corte di giustizia non ha mancato si rinvenire una gerarchia fra interessi tutti tutelati dai Trattati, nel senso del carattere recessivo della libertà di iniziativa economica rispetto a beni primari quali la salute e la tutela dell’ambiente (e al principio di precauzione, che ne regola il concorso)” – cfr. p. 5.1 sent. Impugnata -.

11.4. La censura risulta dunque inammissibile quanto all’errata interpretazione del diritto UE che, secondo il ricorrente, il Consiglio di Stato avrebbe offerto quanto alla rilevanza del principio di precauzione, il suo valore prioritario rispetto alla libertà di iniziativa economica e l’interpretazione del paradigma normativo stesso utilizzato, discutendosi, rispetto a tali prospettazioni, di un vero e proprio error in iudicando, sottratto dal controllo riservato a queste Sezioni Unite.

11.5 Ed infatti, queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare come la non sindacabilità da parte della Corte di cassazione, ex art. 111 Cost., comma 8, delle violazioni del diritto dell’Unione Europea e del mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali (nella specie, il Consiglio di Stato) sia compatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale ed Europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione – in questa direzione si è più di recente mossa Cass., S.U., 18 dicembre 2017, n. 30301; ricordata anche da Cass., S.U., 15 aprile 2020, n. 7839, che ha riconosciuto che non è affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, ed è pertanto insindacabile sotto il profilo della violazione del limite esterno della giurisdizione, in relazione al Diritto Eurounitario, la decisione, adottata dal Consiglio di Stato, di non disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, giacché il controllo che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla S.C. non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo suscettibili di comportare errori in iudicando o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea – cfr. Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107 – per stessa ammissione del ricorrente, nascerebbe da un’erronea interpretazione del diritto di matrice Eurounitaria.

11.6 Peraltro, come già osservato da Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107, non vi è alcun pericolo di disallineamento fra quanto qui ritenuto e la posizione espressa dalla già ricordata ordinanza n. 19598/2020, posto che “…Tale richiesta di dialogo con la Corte UE, inserita in un più ampio contesto nel quale è stato chiesto di verificare anche la conformità della giurisprudenza di queste Sezioni Unite che, all’indomani della sentenza n. 6/2018 della Corte costituzionale, hanno escluso, in sede di verifica del potere giurisdizionale ai sensi dall’art. 111 Cost., comma 8, il proprio sindacato rispetto alle prospettate violazioni del diritto UE nelle quali sarebbe incorso il giudice speciale, non assume alcun rilievo nell’ambito dell’odierno giudizio, in cui il giudice speciale non ha affatto omesso immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ma ha al contrario motivatamente escluso la ricorrenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.” Ciò perché nel caso di specie vi è stata da parte del Consiglio di Stato una piena e motivata posizione da parte del giudice amministrativo sulle questioni relative al rilievo del diritto UE.

12. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.

13. Le spese seguono la soccombenza nel rapporto fra il ricorrente e il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo, ricorrendo giusti motivi per compensare le spese fra il ricorrente e l’Azienda agricola Li Pocis di M.J. che aveva insistito per l’accoglimento del ricorso proposto dal F..

14. Si deve dare atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo in Euro 15.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Compensa le spese fra il ricorrente e l’Azienda agricola Li Pocis di M.J..

Dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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