Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21641 del 26/10/2016
Cassazione civile sez. lav., 26/10/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 26/10/2016), n.21641
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19937/2011 proposto da:
F.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA M. PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI
rappresentata e difesa dall’avvocato PIERCARLO PERONI, giusta delega
in atti;
– ricorrente –
contro
UNIPOL BANCA S.P.A., (già UGF BANCA S.P.A.), C.F. (OMISSIS), in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LUIGI MONTUSCHI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 849/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 25/03/2011 r.g.n. 933/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/06/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;
udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO per delega verbale Avvocato MARESCA
ARTURO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 marzo 2011, la Corte d’Appello di Venezia, confermava la decisione del Tribunale di Verona che rigettava la domanda proposta da F.F. nei confronti di UGF Banca S.p.A. (già Unipol Banca S.p.A.), avente ad oggetto l’accertamento dei denunciati demansionamento e mobbing ed il riconoscimento del conseguente risarcimento dei danni patiti e quantificati in Euro 250.000,00.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto l’assoluta genericità di quanto allegato e chiesto di provare in ordine al denunciato mobbing, quanto alle cause che lo avrebbero originato ed alle condotte in cui si sarebbe concretato, l’omessa specificazione del contenuto delle mansioni precedenti e successive, essenziale, alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte, ai fini della valutazione dell’effettività della pretesa dequalificazione nonchè la carente allegazione delle ragioni di illegittimità delle sanzioni disciplinari.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la F., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Banca.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, nel denunciare il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’incongruità logico-giuridica della statuizione relativa al demansionamento dalla stessa subito fondata su un giudizio di insufficienza della prova documentale e testimoniale dovuta alla ritenuta inammissibilità, in particolare della prova testimoniale, con riguardo tanto alle originarie mansioni quanto al successivo depauperamento delle stesse anche per effetto dell’assunzione di una nozione di demansionamento non conforme a quello accolto da questa Corte.
Con il secondo motivo lo stesso vizio di motivazione denunciato in una con il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. è rivolto al capo della sentenza con cui la Corte territoriale, discostandosi dal ragionamento deduttivo imposto dalla predetta norma e, comunque, facendo riferimento a nozioni che non trovano riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, ha escluso la stessa configurabilità di una condotta vessatoria della Banca tenuta in danno della ricorrente.
Il terzo motivo ripropone, sotto il profilo della violazione della disciplina contrattuale e, segnatamente. dell’art. 78 del CCNL 10.7.1997 per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendente dalle aziende di credito, le medesime censure di cui al primo motivo, denunciandosi il travisamento del concetto di ius variandi che la Corte territoriale avrebbe operato, ammettendolo oltre i limiti del requisito legale dell’equivalenza professionale, da cui sarebbe derivato il diniego dell’attuato demansionamento.
Il quarto motivo ripropone il vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta inammissibilità di uno specifico capitolo di prova, che si assume, anche con riferimento al disposto dell’art. 181 c.p.c., comma 7 essere stato affrettatamente coinvolto nel giudizio di genericità con cui la Corte territoriale ha inteso colpire ogni allegazione e richiesta di prova avanzata dalla ricorrente.
I quattro motivi sopra esposti possono essere qui trattati congiuntamente per essere unitariamente volti a censurare lo stesso approccio della Corte territoriale al giudizio in ordine alla ricorrenza dei denunciati comportamenti illeciti della Banca datrice concretatisi nelle prospettate fattispecie di demansionamento e mobbing, approccio connotato da un puntiglioso vaglio del corredo di allegazioni e prove offerto con il ricorso introduttivo che, sfociato in una complessiva valutazione di inammissibilità, in particolare dei capitoli su cui risultava articolata la prova testimoniale, ha finito per disarticolare e sminuire l’impianto su cui poggiava la proposta domanda.
Si tratta di un impianto incentrato sulla descrizione di una vicenda lavorativa che, segnata da un mutamento delle condizioni ambientali seguito all’assorbimento da parte dell’Unipol, qui resistente, dello sportello Comit di Verona cui la F. era addetta, mutamento da questa non condiviso e, comunque, per lei foriero di ostilità a motivo della sua opposizione a pratiche gestionali non trasparenti, anzichè sfociare nella soluzione caldeggiata anche dai rappresentanti sindacali, di un trasferimento in una sede gradita ((OMISSIS)), cui la F. aveva dato la propria disponibilità pur non avanzando una formale richiesta in tal senso, veniva definita dalla Banca nuova datrice di lavoro con una iniziativa unilaterale comportante l’assegnazione della F. a mansioni di cassa. risolventesi nella contabilizzazione di rimesse e quadratura di assegni, che la stessa assumeva, non in relazione agli specifici compiti svolti in precedenza sotto la gestione Comit, bensì con riguardo ad attestazioni di apprezzamento professionale all’epoca ricevute, spinte fino al riconoscimento della sua idoneità allo svolgimento di mansioni di vice titolare di filiale ed alla sostituzione del titolare. essere non confacenti all’inquadramento posseduto quale funzionario di 3^ area professionale, 4^ livello retributivo, iniziativa che, pertanto, aggravava il rapporto conflittuale tra le parti, che la F. riconduceva ad un contegno mobizzante della Banca in relazione al progressivo deterioramento della propria condizione lavorativa, che indicava e chiedeva di provare deducendo, esemplificativamente, di essere priva degli strumenti utili all’espletamento della prestazione o di non avere accesso alle informazioni in rete nè alla stampante laser per divieto del nuovo direttore ovvero a provvedimenti gestionali assunti nei suoi confronti a cominciare dalla stessa mancata adozione del trasferimento ad altra sede con conseguente assegnazione a mansioni ritenute professionalmente inconsistenti per finire alla mancata concessione di giorni di ferie o alla comminazione a più riprese di sanzioni disciplinari.
Ne emerge una ricostruzione in cui il mobbing denunciato a carico della Banca dalla ricorrente si ricollega all’avvertita mortificazione della propria personalità, in precedenza percepita come riconosciuta ad un livello eccedente le stesse mansioni svolte, per di più in un contesto ambientale giudicato connotato da un inferiore grado di capacità e da disinvoltura gestionale, mortificazione aggravata dall’essere la Banca intervenuta nei suoi confronti, non con un provvedimento che valeva a risolvere in termini a lei graditi la vissuta condizione di disagio, ma, al contrario, ulteriormente accentuando quella condizione con l’assegnazione a mansioni ancor meno coerenti con il livello professionale ritenuto come proprio e, dunque, dalla situazione di irrilevanza in cui la Banca l’aveva lasciata cadere salvo farsi presente per reagire ad ogni suo tentativo, anche scorretto, di affermazione di sè.
Ma è appunto il descritto impianto su cui è costruito il ricorso introduttivo a dar conto della conformità a diritto e della congruità logica della pronunzia resa dalla Corte territoriale, dalla cui motivazione si evince chiaramente un percorso valutativo che si misura con la peculiarità che il ricorso presenta sul piano giuridico formale, correttamente rilevandone su quello specifico piano, l’unico rilevante in quella sede, le evidenti carenze che precludono una pronuncia favorevole nel merito: si rileva, infatti, da parte della Corte territoriale, l’inconsistenza delle ragioni “gestionali – indicate dalla ricorrente a giustificare l’avversione dell’ambiente di lavoro, l’inconfigurabilità di una pretesa giuridica al trasferimento ad altra sede di lavoro, la mancata specificazione delle mansioni di provenienza e di destinazione. essenziali ai fini della valutazione della ricorrenza del prospettato demansionamento, a sua volta, parte significativa del denunciato mobbing, atteso che gli altri comportamenti dedotti come espressivi di un atteggiamento vessatorio della Banca risultano o, come quello relativo alla privazione o al divieto di uso degli strumenti a disposizione per lo svolgimento dell’attività, anche perchè la ricorrente non indica in realtà di cosa si tratti e che rilievo abbiano, insuscettibili di dar conto di una situazione di voluto e definitivo esautoramento dei propri compiti ed emarginazione dall’ambiente di lavoro o, come per le sanzioni, giustificati dall’esito del contenzioso a riguardo promosso o dallo stesso contegno della ricorrente che ne ha omesso l’impugnazione.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016