Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21640 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 23/08/2019), n.21640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19727-2015 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONINO

TRIBULATO ed elettivamente domiciliato a Roma, via dei Galla e

Sidama 49, presso l’Avvocato ALESSANDRO TRIBUULATO per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.V.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 576/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 31/3/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

9/5/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica, Dott. CAPASSO LUCIO, il quale

ha concluso per il rigetto del ricorso;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato ANTONINO TRIBULATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Caltagirone, con sentenza del 23/5/2008, in accoglimento della domanda proposta da F.V., proprietaria di un terreno con annesso fabbricato in (OMISSIS), ha condannato M.A., proprietario del lotto confinante, ad arretrare gli immobili da lui realizzati (adibiti alla vendita di autoveicoli) a distanza inferiore rispetto a quella minima di dieci metri dal confine, prevista dal locale strumento urbanistico per le zone agricole.

Il M. ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone l’integrale riforma.

L’appellata ha resistito al gravame chiedendone il rigetto.

La corte d’appello di Catania, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al rimborso delle spese di lite.

La corte, in particolare, ha, innanzitutto, esaminato il primo motivo d’appello, con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado per non avere il tribunale rilevato il difetto di legittimazione attiva della F. in conseguenza della nullità dell’atto di divisione, a suo dire integrante una lottizzazione abusiva, con il quale la stessa era diventata proprietaria esclusiva dell’immobile confinante con quello del convenuto. La corte, sul punto, ha ritenuto che il motivo fosse palesemente infondato, se solo si considera che “a prescindere da ogni altra considerazione, ciascun comproprietario è, in ogni caso, legittimato ad agire, anche con azioni reali, a tutela della proprietà”.

La corte, poi, ha provveduto ad esaminare il secondo motivo d’appello, con il quale l’appellante aveva contestato che il fabbricato indicato dal consulente tecnico d’ufficio con la lett. A dovesse rispettare le distanze previste dallo strumento urbanistico in quanto, a suo dire, ultimato, come accertato dallo stesso consulente, prima dell’entrata in vigore della L. n. 765 del 1967, allorchè erano operanti solo le norme del codice civile, non rilevando, a differenza di quanto erroneamente sostenuto dal primo giudice, la successiva variazione dell’immobile da rurale a commerciale. La corte ha ritenuto che, sia pur con motivazione diversa da quella del tribunale, anche tale censura dovesse essere respinta. Se è vero, ha osservato la corte, che il mutamento di destinazione non equivale a nuova costruzione e, dunque, non influisce in alcun modo, in mancanza di interventi edilizi, sulle distanze, tuttavia, ha proseguito, “non v’è prova alcuna… che detto manufatto risalga ad epoca anteriore al 1967”: il consulente tecnico d’ufficio si è limitato ad affermare che si tratta di un fabbricato in muratura di antica costruzione realizzato, presumibilmente, prima dell’1/9/1997 ma, ha osservato la corte, “non ha agganciato tale presunzione ad alcun concreto elemento fattuale”; peraltro, ha concluso la corte, lo stesso convenuto non ha mai allegato tale circostanza nel giudizio di primo grado nè fornito prova della stessa.

La corte, quindi, è passata ad esaminare il terzo motivo d’appello, con il quale l’appellante si era doluto del fatto che il tribunale aveva qualificato come “costruzioni” gli altri manufatti descritti dal consulente tecnico d’ufficio, i quali, al contrario, sono un insieme di tendoni in poliestere chiamati “pagoda”, sostenuti da pilastri, senza copertura coibentata, del tutto precari e facilmente amovibili. La corte, sul punto, ha condiviso la decisione del tribunale che, avuto riguardo anche alla imponenza dei tendoni (funzionali all’attività di vendita di autoveicoli), ha ritenuto che, ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze, deve qualificarsi come costruzione qualunque opera edilizia che, per struttura, ubicazione e destinazione, abbia carattere di consistenza e di stabilità e si altresì saldamente infissa al suolo: e tutte queste caratteristiche, ha aggiunto la corte, sono proprie delle tecnostrutture in questione, le quali, del resto, non sarebbero altrimenti funzionali al loro scopo ove non fossero saldamente infisse e prive di stabilità.

La corte, infine, ha esaminato l’ultimo motivo d’appello, ritenendo che, pur a seguito delle norme di attuazione del PRG e del piano di urbanistica commerciale, la distanza minima di dieci metri dal confine prevista dallo strumento urbanistico per la “zona agricola E”, nella quale ricadono i terreni in questione, non fosse mutata. L’art. A1 del piano commerciale, infatti, ha osservato la corte, pur avendo abrogato l’intero art. 18.1.4 norme att. P.R.G. (che, con riferimento agli “immobili produttivi sparsi”, confermava la distanza minima di 10 mt. dal confine), non ha di certo, così facendo, eliminato la distanza minima di mt. 10 dal confine prevista, in generale, per le zone agricole, dallo strumento urbanistico. Del resto, ha concluso la corte, lo stesso certificato di destinazione urbanistica che l’appellante ha prodotto indica in mt. 10 dal confine la distanza da rispettare per le zone in questione.

La corte, quindi, ha rigettato l’appello ed ha, quindi, condannato l’appellante a rimborsare all’appellata le spese di lite, che ha liquidato ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 posto che l’attività difensiva è stata completata dopo la sua entrata in vigore il giorno 3/4/2014.

M.A., con ricorso spedito per la notifica il 25/6/2015, ha chiesto, per sei motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente notificata in data 29/4/2015.

F.V. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione e la falsa applicazione degli artt. 871,872 e 873 c.c. e delle prescrizioni sulle distanze dei fabbricati dai confini previste, per gli “immobili produttivi sparsi” siti nella zona omogenea D4.1.1, dalla vigente disciplina urbanistica del Comune di (OMISSIS), vale a dire il P.R.G. ed il Piano di Urbanistica Commerciale approvato con decreto assessoriale del 21/3/2011, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, nel rigettare il quarto motivo d’appello proposto dal M., ha ritenuto che la distanza minima di dieci metri dal confine prevista dallo strumento urbanistico per la zona agricola E, in cui ricadono i terreni in questione, non era mutata pur a seguito delle norme di attuazione del P.R.G. e del piano di urbanistica commerciale: secondo la corte, infatti, l’art. A1 del piano commerciale, pur avendo abrogato l’intero art. 18.1.4 delle norme di attuazione del P.R.G. (che, con riferimento agli “immobili produttivi sparsi”, aveva confermato la distanza minima di 10 mt. dal confine), non ha di certo eliminato la distanza minima di mt. 10 dal confine prevista, in generale, per le zone agricole dallo strumento urbanistico. Del resto, ha concluso la corte, lo stesso certificato di destinazione urbanistica che l’appellante ha prodotto indica in mt. 10 dal confine la distanza da rispettare per le zone in questione.

1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha, innanzitutto, violato e falsamente applicato l’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 116 c.p.c., pronunciando una sentenza nulla. La sentenza, infatti, ha aggiunto il ricorrente, contiene affermazioni tra loro in contrasto irriducibile, così da configurare una motivazione inficiata da vizi giuridici e non solo contraddittoria e incoerente ma del tutto apodittica, apparente e illogica, non potendosi, infatti, conciliare l’affermazione che gli immobili del M. rientrano tra gli “immobili produttivi sparsi”, ricadenti nella zona commerciale, con quella per cui agli stessi dev’essere applicata, per ciò che riguarda le distanze, la normativa delle zone agricole: la corte d’appello, in effetti, da un lato, ha riconosciuto che gli immobili del ricorrente ricadevano nella zona commerciale, costituendo alcuni degli “immobili produttivi sparsi”, e, dall’altro lato, ha rigettato l’appello applicando disposizioni relative alla zona agricola.

1.3. La corte d’appello, inoltre, ha proseguito il ricorrente, ha omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, vale a dire la zona urbanistica nella quale ricadono gli immobili delle parti. La sentenza, infatti, ha osservato il ricorrente, affermando che gli immobili del ricorrente ricadevano in zona agricola, ha omesso di esaminare e valutare correttamente il fatto che tali immobili, in realtà, come dedotto nella memoria di replica dell’11/3/2015, ricadevano nella zona commerciale D4.1, costituendo, precisamente, uno degli “immobili produttivi sparsi”, individuati con il colore arancione scuro nella tavola D9 e disciplinati dal nuovo art. 18.1.4 delle norme di attuazione, come modificato dall’art. A1 del PUC. La corte, quindi, se avesse correttamente considerato che gli immobili in questione ricadevano in zona commerciale e quelli del M. costituivano “immobili produttivi sparsi”, non avrebbe mai ritenuto che agli stessi doveva essere applicata la disciplina della zona agricola e sarebbe, quindi, pervenuta ad una decisione completamente opposta rispetto a quella adottata.

1.4. La corte, del resto, ha proseguito il ricorrente, affermando che tali immobili ricadevano in zona agricola, ha implicitamente ritenuto che agli stessi non andava applicata la disciplina degli immobili produttivi sparsi, ricadenti nella zona commerciale D4.1, così violando anche i parametri previsti dall’art. 116 c.p.c..

1.5. La corte, infine, ha aggiunto il ricorrente, ha violato e falsamente applicato gli artt. 871,872 e 873 c.c. e le prescrizioni sulle distanze dei fabbricati dai confini previste, per gli “immobili produttivi sparsi” siti nella zona omogenea D4.1.1, dalla vigente disciplina urbanistica del Comune di (OMISSIS), vale a dire il P.R.G. ed il Piano di Urbanistica Commerciale approvato con decreto assessoriale del 21/3/2011. Gli immobili produttivi sparsi, ha osservato il ricorrente, sono quegli immobili già esistenti al momento dell’approvazione delle modifiche dello strumento urbanistico, destinati ad usi produttivi e dislocati in varie zone del territorio comunale, compresa quella che era originariamente agricola. Tali immobili, in un primo tempo, erano disciplinati dall’art. 18.1.4 delle norme di attuazione al P.R.G. del 2008 che, sia pur per le nuove costruzioni e non per quelle già esistenti, prevedeva un distacco minimo dai confini di m. 10. Il Piano di Urbanistica Commerciale, approvato con decreto del 31/3/2011, però, ha aggiunto il ricorrente, non solo hanno inserito gli immobili del ricorrente nella zona commerciale D4.1 ma ha anche eliminato la previsione dell’obbligo di rispettare la distanza di dieci metri dal confine prevista dal precedente art. 18.1.4. Il nuovo testo di tale articolo, infatti, allo scopo di regolarizzare le situazioni produttive preesistenti, non ha previsto, relativamente agli immobili produttivi sparsi già esistenti, tra i quali gli immobili del ricorrente, l’obbligo di rispettare alcuna distanza dal confine, potendo conservare le caratteristiche che avevano senza rispettare alcun parametro edilizio. Con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, che avevano efficacia per gli immobili esistenti, ha osservato il ricorrente, gli immobili già presenti nel fondo del M. erano perfettamente in regola anche per ciò che riguardava il loro posizionamento rispetto ai confini con il fondo della F.. Nè rileva, ha concluso il ricorrente, quanto indicato dal certificato di destinazione urbanistica che riguarda le previsioni della zona D4.1 per le nuove costruzioni ma nulla dice per i preesistenti immobili produttivi sparsi.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 2729 c.c. e art. 360 c.p.c., n. 3, e la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che ai fabbricati di proprietà del ricorrente indicati con le lettere A e A’ nella relazione del consulente tecnico d’ufficio si applicava la normativa urbanistica entrata in vigore il 4/4/1977 laddove, come dedotto nella comparsa conclusionale di primo grado e nell’atto d’appello, si tratta di un vecchio fabbricato rurale realizzato prima del 1967 e, comunque, prima del 1977, quando sono entrate in vigore le norme urbanistiche locali, come, del resto, confermato dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio. Peraltro, ha aggiunto il ricorrente, non solo vi era la prova certa, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, che il fabbricato era stato realizzato prima del 1967, ma vi erano presunzioni gravi, precisi e concordanti di tale fatto, costituite dal fatto che l’immobile era già stato inserito in catasto come fabbricato rurale da tempo remoto e, comunque, di molto anteriore rispetto al 1967 ed, in ogni caso, al 1977.

2.2. Peraltro, ha proseguito il ricorrente, il tribunale, nell’accogliere la domanda proposta dall’attrice anche relativamente al fabbricato A, aveva ritenuto che la sua realizzazione in un periodo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 765 del 1967 era irrilevante posto che la variazione della sua destinazione urbanistica da rurale in commerciale lo rende inevitabilmente soggetto alla normativa urbanistica in vigore. La statuizione del giudice di primo grado, con la quale lo stesso aveva ritenuto che l’edificio A era stato realizzato prima del 1967, censurata dal M. sul rilievo che la distanza prevista dal regolamento locale non dev’essere rispettata nell’ipotesi in cui la destinazione di un fabbricato già esistente venga mutata prima della entrata in vigore della nuova normativa urbanistica, non è stata oggetto di appello incidentale da parte della F., con la conseguenza che, in ordine alla questione dell’epoca di realizzazione del fabbricato A prima del 1967, si era formato il giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c..

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed, infine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui, pur a fronte di un motivo con il quale l’appellante aveva espressamente dedotto, con l’atto d’appello, che, contrariamente a quanto ritenuto dal consulente tecnico d’ufficio, i fabbricati A’ e B sono posti a distanza di oltre dieci metri dal confine, come si evince dall’esame dell’elaborato planimetrico allegato alla consulenza, la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi su tale rilievo, in tal modo incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c. e nel vizio di omessa pronuncia.

3.2. La corte, poi, ha proseguito il ricorrente, non ha considerato, in violazione dell’art. 2697 c.c., che la prova che i fabbricati B e B’ fossero a meno di dieci metri dal confine spettava all’attrice, che, però, non l’ha fornita, risultando, anzi, da una semplice misurazione grafica della planimetria allegata alla consulenza tecnica, il contrario.

3.3. Infine, ha concluso il ricorrente, la corte d’appello ha omesso di esaminare il fatto, come sopra espressamente prospettato, pur trattandosi di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti, violando, peraltro, i parametri previsti dall’art. 116 c.p.c.: in effetti, ha osservato il ricorrente, se la corte d’appello avesse esaminato la consulenza tecnica e avesse motivato sul punto, avrebbe affermato che i fabbricati A’, B e B’ erano ad oltre dieci metri dal confine.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado affermando che le verande realizzate dal M. costituivano costruzioni, laddove, al contrario, si tratta di opere prive di pareti e di copertura fissa, facilmente amovibili ed assimilabili a verande, per cui, non potendo essere qualificate come costruzioni, in mancanza dei requisiti della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo, non dovevano rispettare alcuna distanza dal confine.

5.1. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 e della L. n. 380 del 2001, art. 30 in relazione agli artt. 100,115 e 360 n. 3 c.p.c., dopo aver ricordato: – che il M., nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado, aveva dedotto che il fondo confinante al suo era stato oggetto di lottizzazione a fini edilizi non autorizzata; – che i comproprietari, dopo aver eseguito i predetti lavori, avevano provveduto, con atto del 17/9/2003, alla divisione dell’appezzamento attribuendosi i diversi lotti formati a seguito del frazionamento; – il frazionamento del terreno in lotti del tutto privi di qualsiasi possibilità di utilizzazione agricola si configurava come una trasformazione urbanistica del terreno in violazione di quanto previsto dal vigente programma di fabbricazione del Comune di (OMISSIS) e dalle leggi nazionali e regionali ed, in particolare, dalla L. n. 47 del 1985, art. 18; che aveva, quindi, chiesto di dichiarare la nullità dell’atto di divisione del 17/9/2003 e, conseguentemente, la carenza di legittimazione attiva in capo all’attrice; – il tribunale aveva rigettato tale domanda; – il M., nell’atto d’appello, aveva censurato sul punto la sentenza per avere il tribunale errato a ritenere infondata l’eccezione di nullità dell’atto di divisione del 19/7/2003, per violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 ribadendo, nelle conclusioni, la domanda di nullità dell’atto di divisione per violazione della predetta norma; ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello nulla ha detto in ordine alla nullità dell’atto di divisione, limitandosi ad affermare che, “a prescindere da ogni altra considerazione, ciascun comproprietario è, in ogni caso, legittimato ad agire, anche con azioni reali, a tutela della proprietà”.

5.2. Sennonchè, ha osservato il ricorrente, così facendo la corte d’appello ha trascurato di considerare che, nel caso di specie, non solo vi è stato il frazionamento del terreno in lotti del tutto inutilizzabili dal punto di vista agricolo, ma anche che sono state realizzate costruzioni, come il capannone, poi trasformato in appartamenti, oltre ad un’ulteriore palazzina per civile abitazione e le opere di urbanizzazione. La conseguenza, ha proseguito il ricorrente, è la nullità dell’atto di divisione con il quale è stata posta in essere tale lottizzazione abusiva e, quindi, la mancanza di legittimazione ad agire della F.. Nè, ha proseguito il ricorrente, rileva l’archiviazione disposta in sede penale per i medesimi fatti posto che, a norma della L. n. 47 del 1985, art. 18 in caso di lottizzazione abusiva, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune, con la conseguente perdita del diritto di proprietà in capo al lottizzatore. La corte d’appello, quindi, ha erroneamente ritenuto che “ciascun comproprietario è, in ogni caso, legittimato ad agire, anche con azioni reali, a tutela della proprietà” dato che la F., quale lottizzatore abusivo, ha perduto il diritto di proprietà e, conseguentemente, il diritto e l’interesse ad agire a tutela dello stesso.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e delle tariffe forensi di cui al D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali liquidandole, però, in una misura che, ove non si dovesse ritenere di porre le spese di giudizio a carico della F. o di compensarle, viola palesemente i limiti delle tabelle previste dal D.M. n. 55 del 2014. La F., infatti, ha osservato il ricorrente, si è limitata a redigere la comparsa di costituzione in appello e non ha svolto alcuna attività nella fase decisoria sicchè, per tale fase, nessuna somma le è dovuta.

7. Il primo motivo è, nei limiti che seguono, fondato, con assorbimento delle residue censure e di tutti gli altri motivi. La sentenza impugnata è stata, infatti, depositata dopo l’11/9/2012, trovando, dunque, applicazione l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), la predetta norma consente di denunciare in cassazione anche l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, tra l’altro, quando tale anomalia si esaurisca nella “motivazione apparente”: come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, ha ritenuto che l’art. A1 del piano commerciale, pur avendo abrogato l’intero art. 18.1.4 delle norme di attuazione del P.R.G. (che, con riferimento agli immobili produttivi sparsi, aveva confermato la distanza minima di dieci metri dal confine), non aveva, così facendo, eliminato la fissazione di tale distanza minima dal confine prevista dallo strumento urbanistico per la “zona agricola E” nella quale ricadono i terreni in questione. La corte, tuttavia, non ha spiegato in alcun modo – se non, forse, per l’implicito riferimento alla relazione del consulente tecnico d’ufficio, redatta, tuttavia, in epoca anteriore alla normativa urbanistica sopravvenuta nel 2011 – le ragioni per le quali ha ritenuto, pur a fronte di tale sopravvenienza normativa, che gli immobili delle parti rientrassero nella “zona agricola E” e, come tali, assoggettati alla relativa disciplina in materia di distanze.

8. Il ricorso, quindi, nei limiti indicati, dev’essere accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Catania anche ai fini delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte così provvede: accoglie, nei limiti esposti in motivazione, il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Catania anche ai fini delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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