Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2164 del 01/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 01/02/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 01/02/2021), n.2164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18937/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– ricorrente –

contro

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 13,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CECILIA FELSANI, rappresentata

e difesa dall’avvocato ISIDE B. STORACE;

– controricorrente –

e contro

C.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 148/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 29/04/2015 R.G.N. 66/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza n. 148 del 30 aprile 2015, la Corte d’appello di Genova ha accolto l’impugnazione proposta da M.I. nei confronti dell’INPS e di C.M. (chiamata in causa dall’INPS) avverso la sentenza di primo grado di rigetto della domanda proposta dalla stessa M., nei confronti dell’INPS, al fine di ottenere dall’Istituto la regolarizzazione della propria posizione assicurativa, con accredito dei contributi omessi dalla datrice di lavoro relativamente al periodo 1.1.200714.10.2010;

a fondamento della decisione, la Corte territoriale, ritenuta provata la sussistenza del rapporto di lavoro nel periodo contestato, ha fatto applicazione del disposto dell’art. 2116 c.c., accertando il diritto della M. alla regolarizzazione della propria posizione assicurativa con accredito dei contributi omessi dal datore di lavoro ed ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dall’Inps nei riguardi di C.M. (erede della datrice di lavoro);

avverso tale sentenza, ricorre l’INPS sulla base di due motivi: violazione e falsa applicazione dell’art. 2116 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in particolare, si denuncia l’erronea applicazione della disposizione posto che nessuna prestazione era stata domandata ma si era lamentata la carenza di contribuzione; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 436 e 343 c.p.c., laddove la domanda formulata dall’INPS in via subordinata era stata rigettata ritenendosi formato un giudicato interno, seppure l’INPS fosse rimasto totalmente vittorioso in primo grado, per cui non era stato gravato di alcun onere di impugnativa;

resiste con controricorso M.I.;

C.M. non ha svolto attività difensiva;

il P.G. ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo con assorbimento del secondo ed in subordine il rigetto del secondo.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il primo motivo è fondato;

la sentenza impugnata ha ritenuto, nella sostanza, l’INPS soggetto garante della regolarità della posizione contributiva della lavoratrice e ciò per effetto del cd. principio di automaticità delle prestazioni, previsto dall’art. 2116 c.c., come interpretato dalla sentenza di questa Corte di Cassazione n. 5767 del 2002; la questione dibattuta è relativa alla tutela della integrità della posizione contributiva del lavoratore;

questa Corte di legittimità ha senz’altro affermato (vd. da ultimo Cass. n. 3661 del 2019) che il lavoratore, sulla base delle previsioni contenute nella L. n. 153 del 1969, art. 39 e della L. n. 467 del 1978, art. 4, ha un vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (cfr. Cass. 23 novembre 1989 n. 379; n. 9850 del 2002) ed ogni qualvolta non trovi applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali fissato dall’art. 2116 c.c., o il lavoratore subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, egli ha diritto ad essere risarcito dal datore di lavoro ai sensi del disposto dell’art. 2116 c.c., comma 2;

si è pure affermato che l’azione a tutela della posizione previdenziale nei confronti del datore di lavoro, possa avere ad oggetto la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione non prescritta ed in tal caso va chiamato necessariamente in giudizio anche l’Ente previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell’obbligazione contributiva (Cass. n. 19398 del 2014; Cass. n. 8956 del 2020);

diversamente, in caso di prescrizione del credito contributivo, si giustifica l’azione risarcitoria una volta che si siano realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale poichè tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del 2018);

da ciò si evince che l’obbligazione contributiva ha quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi nella parte maggiore (ex art. 2115 c.c.), ovvero nell’intero (L. n. 218 del 1952, ex art. 23, in caso di pagamento tardivo o parziale) e ne consegue che il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, nè può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel caso di omissione contributiva, il rimedio dell’art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia di cui alla L. 12 agosto del 1962, n. 1138, art. 13 (Cass. 3491 del 2014);

Cass. n. 6569 del 2010, ha pure precisato che tale facoltà spetta innanzi tutto al datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione onde può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo comma 4, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi, mediante il versamento della corrispondente riserva matematica;

analoga facoltà è altresì attribuita al lavoratore, in sostituzione del datore di lavoro, quando non possa ottenere da quest’ultimo la costituzione dell’anzidetta rendita, salvo il diritto a risarcimento del danno (in tal caso, il lavoratore, per potere agire direttamente nei confronti dell’Inps, deve allegare e comprovare che non ha potuto far valere questa pretesa nei confronti del datore di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass., n. 23584/2004);

la normativa citata ha dunque la funzione di consentire al lavoratore, ricorrendone gli specifici presupposti, di eliminare, attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico conseguente all’intervenuto omesso versamento dei contributi dovuti;

non è invece prevista la regolarizzazione della posizione assicurativa, in ipotesi di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, laddove l’Istituto assicuratore, pur se messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia attivato per l’adempimento nei confronti del soggetto obbligato; anche in tale ipotesi, infatti, in difetto di previsione di diverso segno, la tutela del lavoratore deve ritenersi affidata al ricorso alla descritta procedura di costituzione della rendita;

con il che deve rilevarsi come non possa trovare applicazione nel presente giudizio il principio affermato dalla sentenza di questa Corte di cassazione n. 7459 del 2002, siccome resa nell’ipotesi, qui non ricorrente, in cui il lavoratore non aveva potuto, nè avrebbe potuto in futuro, sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore per i casi di inadempimento datoriale;

la fattispecie relativa a Cass. 7459 del 2002, infatti, era riferita ad ipotesi in cui il diritto alla regolarizzazione della posizione assicurativa era stato azionato non nei confronti del datore di lavoro, obbligato al versamento dei contributi, bensì nei confronti dell’Istituto assicuratore a causa di un duplice ordine di ragioni tra loro collegate: perchè l’Istituto, nonostante la tempestiva comunicazione della omissione contributiva, non aveva provveduto a riscuotere i contributi dovuti, lasciando, anzi, trascorrere, il termine di prescrizione e perchè a tale inottemperanza, l’assicurato, alla stregua di un accertamento di fatto, operato dal Giudice del merito, non aveva potuto e neppure avrebbe potuto in futuro sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore nei casi di suddetti inadempimenti datoriali;

in siffatta situazione, è apparso conforme al diritto far gravare sull’Ente istituzionalmente deputato, oltre tutto, alla tutela di interessi di rango costituzionale (art. 38 Cost.), – che non si era adeguatamente attivato per la riscossione di un credito, che, ancorchè proprio, vale a soddisfare altro diritto inerente alle esigenze di vita del lavoratore in caso di invalidità, vecchiaia, ecc. (arg. ex art. 38 Cost., comma 2), le conseguenze che discendono dalla violazione di obblighi di comportamento (ivi compresi quelli derivanti dalle ordinarie regole di correttezza e diligenza ex artt. 1175 e 1176 c.c.) cui l’Istituto è tenuto nell’ambito del rapporto giuridico con l’assicurato;

si è, quindi, affermato che, ove l’Istituto previdenziale non abbia provveduto a conseguire dal datore di lavoro i contributi omessi, nonostante sia venuto tempestivamente a conoscenza dell’omissione, lo stesso è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore, che ne abbia fatto richiesta ad al quale è precluso ricorrere alla costituzione della rendita L. n. 1338 del 1962, ex art. 13 o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c., comma 2;

tali circostanze non sono state accertate nel caso di specie;

altrettanto non pertinente è il richiamo a Cass. n. 5767 del 2002, operato dalla sentenza impugnata, laddove si è fatta applicazione del principio di automaticità delle prestazioni con riferimento all’istituto della ricongiunzione, cioè in fattispecie di pregiudizio specifico alla posizione assicurativa del lavoratore, determinato oltre che dall’inadempimento datoriale anche dal diniego opposto dall’Istituto a che operasse la ricongiunzione anche dei periodi non coperti; questa Corte di legittimità (Cass. n. 10477 del 2019) ha evidenziato che Cass. n. 5767 del 20 aprile 2002 come anche Cass. n. 6772 del 10/05/2002 hanno configurato il diritto all’integrità della posizione previdenziale in casi in cui si era manifestato un interesse attuale alla definizione della posizione trasferita, prendendo le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 374 del 1997, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 29 del 1979, art. 2, comma 2 e art. 6, comma 2, nella parte in cui non prevede il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali nei casi di contributi non effettivamente versati, ma dovuti nei limiti della prescrizione decennale, affermando che tale principio opera anche nel caso di ricongiunzione, in quanto la gestione di provenienza deve versare a quella di destinazione anche i contributi dovuti e non riscossi;

la presente fattispecie non poggia su tali presupposti per cui il richiamo al precedente è del tutto inappropriato;

il primo motivo del ricorso va, pertanto, accolto restando assorbito il secondo;

la sentenza impugnata va cassata e la domanda originaria deve essere rigettata;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo per ciascun grado di merito e per il presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.I.; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al primo grado, in Euro 1350,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge, quanto al grado d’appello, in Euro 1860,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2021

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