Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21639 del 20/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21639 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

con velinaProcedibilità
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26962/11) proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ex
lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– ricorrente contro
LEONE MICHELE, rappresentato e difeso dall’Avv.to Pietro Modaffari del foro di Reggio Calabria,
in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliato presso
Io studio dell’Avv.to Francesco Romeo in Roma, via Otranto n. 47;
– controricorrente –

44v’m

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Data pubblicazione: 20/09/2013

avverso la sentenza in grado di appello del Tribunale di Reggio Calabria n. 795 depsotata il 13
maggio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22 maggio 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

Giovanni Patrone, che — in assenza delle parti costituite – ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Giudice di pace di Melito Porto Salvo, depositato il 4 novembre 2011, Michele
LEONE proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 7000004204140, emesso
dalla Polizia Stradale di Reggio Calabria in data 27.11.2007, relativo a sanzione amministrativa
per violazione di disposizioni del codice della strada.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Ministero dell’Interno, il Giudice di pace adito
accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava il verbale di contestazione in questione.
In virtù di rituale appello interposto dallo stesso Ministero, con il quale lamentava l’erroneità della
decisione del giudice di prime cure per invalida valutazione circa la non affidabilità
dell’apparecchiatura telelaser, nonché in relazione alla mancanza di omologazione, con presunto
obbligo di taratura, alle modalità e luogo di utilizzazione dell’apparecchiatura, il Tribunale di
Reggio Calabria, nella resistenza dell’appellato, dichiarava improcedibile il gravame per avere
l’appellante, notificato l’atto di appello in data 13/16 marzo 2009, iscritto la causa il 13 marzo 2009
con la sola ‘velina’, ossia depositando una copia dell’atto di appello non corredato da alcuna
notifica alla controparte, prodotto l’originale dell’atto di citazione solo alla prima udienza fissata al
19.11.2009, atto necessario a documentare l’effettiva proposizione dell’impugnazione, giusta la

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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ignazio

sanzione di cui al combinato disposto degli artt. 347 e 348 c.p.c. che non distinguerebbe a
seconda che si tratti di primo o di secondo grado di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la stessa Amministrazione, articolato

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il dedotto motivo il Ministero ricorrente denuncia la supposta violazione e falsa applicazione
degli artt. 348, 347, 165 e 156 c.p.c., sul presupposto che, nella fattispecie, il Tribunale di Reggio
Calabria avrebbe dovuto ritenere la validità della costituzione di esso ricorrente, nella qualità di
appellante, anche se effettuata mediante il deposito della sola copia, anziché dell’originale,
dell’atto di appello. A tal proposito la difesa erariale sostiene che la costituzione dell’appellante
attraverso il deposito della cosiddetta velina dell’atto di impugnazione, seguito dal successivo
deposito del conforme originale notificato, si sarebbe dovuta considerare perfettamente idonea al
raggiungimento dello scopo, non solo perché non determinava alcuna lesione del diritto alla
difesa della controparte, ma anche perché non precludeva al giudice la possibilità di riscontrare
la corretta instaurazione del giudizio, essendo da escludere che tale riscontro dovesse avvenire
antecedentemente alla prima udienza, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice di
appello. In altri termini, la costituzione dell’appellante mediante deposito di copia, anziché
dell’originale recante la relata di notificazione, dell’atto di impugnazione non avrebbe potuto
determinare l’improcedibilità dell’appello, integrando una mera irregolarità suscettibile di
sanatoria mediante il deposito dell’originale entro la prima udienza di trattazione, che si identifica
con il momento in cui il giudice è chiamato a compiere la verifica della regolare costituzione in
giudizio. La difesa erariale ha, inoltre, prospettato che l’applicazione degli esposti principi al caso
di specie rende evidente l’inammissibilità della riconducìbilità dell’ipotesi di costituzione mediante
la c.d. velina alla diversa fattispecie di omessa tempestiva costituzione, che sola varrebbe a

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su un unico motivo, cui ha resistito il LEONE con controricorso.

giustificare la pronuncia di improcedibilità. Ed invero ad una siffatta declaratoria si potrebbe
pervenire — nell’ottica delineata dal Ministero ricorrente — solo in caso di accertata difformità tra
la copia depositata al momento dell’iscrizione a ruolo e l’originale notificato dell’atto di
impugnazione, depositato soltanto successivamente, ma ove non sia in discussione — come

luogo dell’originale una mera irregolarità, non integrando tale deviazione dal modello legale una
costituzione priva dei requisiti necessari al raggiungimento dello scopo dell’atto e non
comportando essa alcuna violazione dei diritti difensivi della parte appellata.
Rileva il collegio che il formulato motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto.
Il Tribunale reggino, nel dichiarare l’improcedibilità dell’appello con la sentenza impugnata, si è
conformato ad uno specifico orientamento emerso nella giurisprudenza di questa Corte,
espressosi soprattutto nelle sentenze n. 18009 del 2008 e n. 10 del 2010.
Secondo le due pronunce, infatti, il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla
controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determinerebbe
l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., essendo privo di effetti sananti l’eventuale
deposito tardivo dell’atto notificato in prima udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla
legge. Per come ampiamente motivato nella sentenza oggetto del ricorso (nella quale è stato
ripercorso l’intero iter logico-sistematico posto a fondamento della citata sentenza n. 18009 del
2008), la costituzione in giudizio dell’appellante con il deposito di un atto non notificato (ovvero
non recante la prova documentale allegata della richiesta od eseguita notificazione) sarebbe
sprovvista del necessario requisito per il raggiungimento dello scopo cui è destinato il controllo di
procedibilità che la legge conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che, sulla
scorta di una lettura sistematica e coordinata degli artt. 347 e 348 c.p.c., l’atto di appello
dovrebbe essere dichiarato improcedibile allorquando l’appellante non depositi, nel termine

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nella fattispecie — la conformità tra i due atti, si dovrebbe ritenere che il deposito della velina in

stabilito per la sua costituzione (in relazione al richiamato art. 165 c.p.c.), l’atto di impugnazione
notificato ad almeno una delle controparti.
Ed era proprio questa la situazione processuale che si era venuta a verificare nel caso dì specie,
laddove il Ministero appellante, al momento della sua costituzione nel termine di legge, aveva

era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla richiesta od avvenuta notificazione alla
controparte, mentre solo in corso di causa aveva depositato l’originale dell’atto di appello
notificato (ovvero munito del riscontro documentale dell’intervenuta notificazione).
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha aderito il Tribunale reggino, la sanzione della
improcedibilità starebbe ad esprimere una valutazione normativa in ordine alla necessità di un
adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine – che il giudice è chiamato ad accertare
d’ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento.
D’altra parte, la perentorietà del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilità d’ufficio in
caso di inosservanza comporterebbero l’impossibilità di sanare ovvero di considerare mere
irregolarità, suscettibili in quanto tali di successiva regolarizzazione, imperfezioni e mancanze
della costituzione in giudizio dell’appellante tali da impedire l’accertamento della validità ed
efficacia dello stesso atto di impugnazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di secondo grado ha rilevato che la prospettazione
dell’inapplicabilità della sanzione dell’improcedibilità e della configurabilità di una mera irregolarità
nella predetta situazione processuale relativa all’attività di costituzione in appello del Ministero
dell’Interno non potevano considerarsi degne di rilievo perché la possibile regolarizzazione
avrebbe, comunque, presupposto che la costituzione, pur potendo avvenire con il deposito di una
mera copia dell’atto di appello, sarebbe dovuta, in ogni caso, intervenire nel termine di cui all’art.
165 c.p.c. con l’allegazione della idonea indicazione e del relativo riscontro documentale in
ordine all’effettuata rituale richiesta od avvenuta esecuzione della notificazione.

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depositato semplicemente una copia (“velina”) dell’atto di citazione in appello, la quale, tuttavia,

Ritiene il collegio che il complessivo impianto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata
non sia condivisibile.
La questione sottoposta al vaglio di questo Collegio (come precisata anche nella parte conclusiva
del ricorso del Ministero) è la seguente: “dica la Corte se violi gli artt. 348, 347, 165 e 156 c.p.c.,

iscritto a ruolo a mezzo di c. d. “velina”, rilevando che il deposito dell’atto di citazione in appello
privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado,
determina l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., considerato che l’accertamento
dell’avvenuto deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o
velina) dell’atto di appello in sostituzione dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notifica,
non comporta la sanzione dell’improcedibilità dell’appello”.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale di Reggio Calabria, la prevalente giurisprudenza
di questa Corte è nel senso che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della
costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in luogo
dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notificazione dello stesso atto, non comporta la
sanzione dell’improcedibilità del gravame (cfr. Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027; Cass. 24 agosto
2007, n. 17958; Cass. 29 luglio 2009, n. 17666, ord.; Cass. 17 novembre 2010, n. 23192; Cass.
8 maggio 2012, n. 6912 e, da ultimo,Cass. 23 novembre 2012, n. 20789, ord.).
Questo condivisibile orientamento è, infatti, saldamente basato sull’indiscusso principio di
tassatività delle cause dì improcedibilità (tra le quali, per l’appunto, non è previsto — all’atto
dell’iscrizione a ruolo della causa da parte dell’appellante – il deposito dell’originale dell’atto di
appello notificato); sulla esclusività del richiamo, in detta norma, ai soli termini di costituzione
dell’appellante (da intendersi riferiti a quelli contemplati dall’art. 165 c.p.c., per il giudizio di primo
grado, in virtù del rimando trasparente nel primo comma dell’art. 347 c.p.c.) e non anche alle
forme; sulla non configurabilità di un pregiudizio del diritto di difesa e dell’instaurazione del

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la sentenza del Tribunale che abbia dichiarato improcedibile l’appello ritualmente notificato e

contraddittorio per effetto dell’avvenuta notificazione. Del resto, la possibilità di provvedere alla
costituzione in giudizio da parte dell’attore (e, corrispondentemente, da parte dell’appellante in
secondo grado) e alla contestuale iscrizione a ruolo della causa prima del perfezionamento della
notificazione (mediante il deposito della c.d. “velina”) è un dato che deve ritenersi acquisito alla

aprile 2004, n. 107, ed ordinanza 12 aprile 2005, n. 154, ma già prima v., in senso analogo,
l’ordinanza 23 giugno 2000, n. 239), secondo cui tale ultimo adempimento si perfeziona per il
notificante sin dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, sicché a partire da tale momento
egli è legittimato a compiere tutte le attività che presuppongono la notificazione, ferma restando
la decorrenza del termine ultimo per la costituzione dalla consegna effettiva al destinatario. Ed
anche le Sezioni unite di questa Corte — con la sentenza 18 maggio 2011, n. 10864— hanno
affermato che la sola mancata costituzione in termini dell’appellante determina automaticamente
l’improcedibilità dell’appello (a nulla rilevando che l’appellato si sia costituito nel termine
assegnatogli).
In modo ancor più incisivo è stato chiarito (cfr., in particolare, Cass. n. 23192 del 2010) come il
nuovo testo dell’art. 348 c.p.c. (nella versione introdotta dalla legge n. 353 del 1990 e succ.,
integr.) abbia apportato significative modifiche alla disciplina dell’improcedibilità dell’appello, in
quanto ha previsto, quali ipotesi testualmente tassative conducenti a tale effetto (sull’operatività
del principio di tassatività in proposito cfr., anche di recente, Cass. n. 2171 del 2009 e Cass. n.
238 del 2010), solo due casi. Infatti, mentre nella disposizione prevista al primo comma viene
posto l’accento alla mancata tempestiva costituzione dell’appellante, nel capoverso è disciplinata
la mancata comparizione dello stesso, una volta costituitosi, alla prima udienza ed in quella
successiva; pertanto, in relazione al primo degli indicati profili, risulta univocamente evincibile
come, sul piano letterale della disposizione, la sanzione immediata ed insanabile, anche quindi a
prescindere dalla condotta processuale dell’appellato, attiene alla sola mancata tempestiva

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luce della lettura (costituzionalmente orientata) operata dal Giudice delle leggi (cfr. sentenza 2

costituzione dell’appellante che deve aver luogo “in termini” non anche all’omessa osservanza
delle “forme” previste per i procedimenti davanti al tribunale, nonostante alle stesse, compreso
dunque il deposito dell’originale della citazione, operi rinvio il precedente art. 347 c.p.c..
Oltretutto, bisogna rilevare che, sebbene l’art. 165 c.p.c. imponga all’attore di costituirsi, entro

ruolo ed il proprio fascicolo contenerne l’originale della citazione, la procura ed i documenti offerti
in comunicazione, tuttavia la giurisprudenza concorde di questa Corte ha già avuto modo di
evidenziare come la costituzione in giudizio dell’attore avvenuta mediante deposito in cancelleria,
oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente una copia anziché
l’originale dell’atto di citazione, depositato in seguito dopo la scadenza del termine prescritto, non
determina alcuna nullità della costituzione stessa, ma integra, semmai, una semplice ipotesi di
irregolarità rispetto alle modalità stabilite dalla legge, non conseguendo a tale violazione — come
già sottolineato – alcuna lesione dei diritti della controparte e venendosi ad instaurare il
contraddittorio con la notifica della citazione (Cass. n. 15777 del 2004, cit.).
Orbene, l’applicazione al giudizio d’appello di tali condivisibili principi non consente di ricondurre
la fattispecie in esame — come dedotto dall’Amministrazione ricorrente – all’ipotesi di mancata
tempestiva costituzione, dal momento che solo essa giustificherebbe, ai sensi dell’art. 348 c.p.c.
(nel testo come novellato dalla legge n. 353 del 1990), la declaratoria di improcedibilità del
gravame.
Non appare, perciò, convincente la diversa soluzione adottata da questa Corte con la sentenza
n. 18009 del 2008 (alla quale si è ispirata la sentenza impugnata in questa sede), che si fonda su
una sorta di “distinguo” tra l’art. 165 c.p.c., in relazione al quale accoglie la riferita giurisprudenza
che esclude l’essenzialità in sede di costituzione del deposito dell’originale notificato dell’atto di
citazione, e l’art. 348 c.p.c., in ordine al quale, di contro, ravvisandosi la ragione giustificatrice
della comminatoria dell’improcedibilità nell’esigenza di certezza dell’instaurazione del giudizio,

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dieci giorni dalla notificazione della citazione, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a

viene asserita tale essenzialità in funzione di un necessario controllo preventivo, da parte del
giudice di appello, dell’effettiva proposizione dell’impugnazione (e, quindi, della prova
dell’attivazione del correlato adempimento notificatorio nei confronti della controparte).
Infatti, questa impostazione non valorizza, innanzitutto, l’espressa limitazione del dettato

tempestività della costituzione (di per sé rivelatrice della effettiva volontà di impugnare), e non
alle modalità della costituzione stessa, ma, soprattutto, pone riferimento ad una necessaria
attività preliminare di controllo, senza la preventiva audizione delle parti, ad opera del giudice a
seguito della sola costituzione, che — però — il diritto positivo non prevede (e che avrebbe
dovuto necessariamente contemplare per giungere alla conclusione predicata, alla stregua del
pacifico principio di tassatività che deve caratterizzare, nell’ambito processuale, i casi di
improcedibilità e, in genere, quelli che comportano decadenze processuali), nel qual caso si
sarebbe potuta giustificare anche un’immediata declaratoria d’improcedibilità, mentre tale
controllo — alla stregua dell’assetto normativo vigente – può aver legittimamente luogo
successivamente già alla prima udienza (ed, invero, l’art. 350, comma secondo, c.p.c., demanda
a tale sede la verifica della regolare costituzione del giudizio, con la possibilità di disporre anche
la rinnovazione della notificazione dell’atto di appello: cfr., per questa sottolineatura, Cass. n.
6912 del 2012, cit.) con la visione, da parte del giudice, della copia notificata pur se tardivamente
depositata.
Tutt’al più, come correttamente dedotto anche da parte dell’Amministrazione ricorrente, alla
declaratoria d’improcedibilità si potrebbe pervenire, all’esito del giudizio di appello, soltanto ove
fosse accertata una difformità tra la copia depositata (al momento di iscrizione a ruolo) e
l’originale dell’atto di impugnazione (successivamente depositato), ma ove non sia in discussione
— come nella controversia in questione – la conformità dei due atti, si deve ravvisare nell’attività
di deposito della copia in luogo dell’originale una mera irregolarità, non integrando tale

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normativo del suddetto art. 348 c.p.c., che ricollega la procedibilità dell’appello alla sola

deviazione dal modello legale una costituzione priva dei requisiti essenziali al raggiungimento
dello scopo dell’atto e non comportando essa, di per sé, alcuna violazione dei diritti difensivi
dell’appellato nei confronti del quale il contraddittorio viene a radicarsi con la notifica dell’atto di
impugnazione.

giurisprudenza di questa Corte (avallato anche dall’interpretazione costituzionalmente orientata
fatta propria dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi) e con l’impianto normativo
sistematicamente inquadrato che il codice di rito riserva al giudizio di appello (e, in particolare,
alle forme, alla costituzione delle parti e alla fase della trattazione, non disgiunte dalla
valorizzazione, quale imprescindibile corollario, del principio della tassatività dei casi di
improcedibilità), deve enunciarsi (come già statuito con la recente Cass. n. 6912 del 2012) —
ravvisandosi la fondatezza del proposto ricorso – il seguente principio di diritto:
<

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