Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21634 del 20/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21634 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 26102/2011 proposto da:

processuale
sull’ammissibilità
dell’appello

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI REGGIO CALABRIA, in persona del
Prefetto pro-tempore, rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura generale dello Stato
e domiciliato presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

ricorrente —

contro
– intimato –

ZIMBALATTI Antonino;

per la cassazione della sentenza n. 143 del 2011 del Tribunale di Reggio Calabria,
depositata il 2 febbraio 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Ignazio Patrone, che ha concluso, in via principale, per rimessione alle Sezioni unite della
questione dedotta con il ricorso e, in subordine, per l’accoglimento del ricorso stesso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Data pubblicazione: 20/09/2013

Con sentenza n. 5613 del 2008 il Giudice di pace di Reggio Calabria accoglieva
l’opposizione a verbale di accertamento per violazioni al c.d.s. proposta da Zimbalatti
Antonino nei confronti del Prefetto di Reggio Calabria, con condanna di quest’ultimo alla
rifusione delle spese giudiziali.

Sull’appello proposto dall’Ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria avverso la
suddetta sentenza e nella contumacia dell’appellato, il Tribunale di Reggio Calabria, in
composizione monocratica, con sentenza n. 143 del 2011 (depositata il 2 febbraio 2011 e
non notificata), dichiarava l’improcedibilità del gravame e il non luogo a provvedere sulle
spese del grado per effetto della mancata costituzione dell’appellato. A sostegno
dell’adottata decisione il giudice reggino rilevava che l’appello si sarebbe dovuto
considerare improcedibile poiché la costituzione in giudizio della Prefettura di Reggio
Calabria, per mezzo dell’Avvocatura erariale, era avvenuta con il deposito di una copia
dell’atto di citazione in appello priva di qualunque indicazione in ordine alla (già intervenuta
o solo richiesta) notificazione alla controparte, provvedendo solo successivamente,
all’udienza di precisazione delle conclusioni, al deposito dell’originale dell’atto di appello
notificato. Avverso la menzionata sentenza di appello (non notificata) ha proposto ricorso
per cassazione (notificato il 25 ottobre 2011 e depositato il 14 novembre 2011) l’Ufficio
territoriale del Governo di Reggio Calabria, basato su un unico motivo.
L’intimato non risulta essersi costituito in questa fase.
Avviato il procedimento per la possibile definizione in sede camerale ai sensi dell’art. 380
bis c.p.c., il designato collegio, con ordinanza interlocutoria depositata il 15 febbraio 2013,

.. delibera di rimettere il ricorso alla trattazione in pubblica udienza non rilevandosi la
sussistenza delle condizioni di evidenza decisoria, con riferimento all’ipotesi prevista
dall’art. 375 n. 5) c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE

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..

1. Con il dedotto motivo il Ministero ricorrente denuncia la supposta violazione e falsa
applicazione degli artt. 348, 347, 165 e 156 c.p.c., sul presupposto che, nella fattispecie, il
Tribunale di Reggio Calabria avrebbe dovuto ritenere la validità della costituzione di esso
ricorrente, nella qualità di appellante, anche se effettuata mediante il deposito della sola
copia, anziché dell’originale, dell’atto di appello. A tal proposito la difesa erariale sostiene

impugnazione, seguito dal successivo deposito del conforme originale notificato, si
sarebbe dovuta considerare perfettamente idonea al raggiungimento dello scopo, non solo
perché non determinava alcuna lesione del diritto alla difesa della controparte, ma anche
perché non precludeva al giudice la possibilità di riscontrare la corretta instaurazione del
giudizio, essendo da escludere che tale riscontro dovesse avvenire antecedentemente alla
prima udienza, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice di appello. In altri termini,
la costituzione dell’appellante mediante deposito di copia, anziché dell’originale recante la
relata di notificazione, dell’atto di impugnazione non avrebbe potuto determinare
l’improcedibilità dell’appello, integrando una mera irregolarità suscettibile di sanatoria
mediante il deposito dell’originale entro la prima udienza di trattazione, che si identifica
con il momento in cui il giudice è chiamato a compiere la verifica della regolare
costituzione in giudizio. La difesa erariale ha, inoltre, prospettato che l’applicazione degli
esposti principi al caso di specie rende evidente l’inammissibilità della riconducibilità
dell’ipotesi di costituzione mediante la c.d. velina alla diversa fattispecie di omessa
tempestiva costituzione, che sola varrebbe a giustificare la pronuncia di improcedibilità. Ed
invero ad una siffatta declaratoria si potrebbe pervenire — nell’ottica delineata dal Ministero
ricorrente — solo in caso di accertata difformità tra la copia depositata al momento
dell’iscrizione a ruolo e l’originale notificato dell’atto di impugnazione, depositato soltanto
successivamente, ma ove non sia in discussione — come nella fattispecie — la conformità
tra i due atti, si dovrebbe ritenere che il deposito della velina in luogo dell’originale una
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che la costituzione dell’appellante attraverso il deposito della cosiddetta velina dell’atto di

mera irregolarità, non integrando tale deviazione dal modello legale una costituzione priva
dei requisiti necessari al raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa
alcuna violazione dei diritti difensivi della parte appellata.
2. Rileva il collegio che il formulato motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto per le
complessive ragioni che seguono.

si è conformato ad uno specifico orientamento emerso nella giurisprudenza di questa
Corte, espressosi soprattutto nelle sentenze n. 18009 del 2008 e n. 10 del 2010.
Secondo queste due pronunce, infatti, il deposito dell’atto di citazione in appello privo della
notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado,
determinerebbe l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., essendo privo di effetti
sananti l’eventuale deposito tardivo dell’atto notificato in prima udienza, oltre il termine
perentorio stabilito dalla legge. Per come ampiamente motivato nella sentenza oggetto del
ricorso (nella quale è stato ripercorso l’intero iter logico-sistematico posto a fondamento
della citata sentenza n. 18009 del 2008), la costituzione in giudizio dell’appellante con il
deposito di un atto non notificato (ovvero non recante la prova documentale allegata della
richiesta od eseguita notificazione) sarebbe sprovvista del necessario requisito per il
raggiungimento dello scopo cui è destinato il controllo di procedibilità che la legge
conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che, sulla scorta di una
lettura sistematica e coordinata degli artt. 347 e 348 c.p.c., l’atto di appello dovrebbe
essere dichiarato improcedibile allorquando l’appellante non depositi, nel termine stabilito
per la sua costituzione (in relazione al richiamato art. 165 c.p.c.), l’atto di impugnazione
notificato ad almeno una delle controparti.
Ed era proprio questa la situazione processuale che si era venuta a verificare nel caso di
specie, laddove il Ministero appellante, al momento della sua costituzione nel termine di
legge, aveva depositato semplicemente una copia (“velina”) dell’atto di citazione in
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Il Tribunale reggino, nel dichiarare l’improcedibilità dell’appello con la sentenza impugnata,

appello, la quale, tuttavia, era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla richiesta od
avvenuta notificazione alla controparte, mentre solo in corso di causa aveva depositato
l’originale dell’atto di appello notificato (ovvero munito del riscontro documentale
dell’intervenuta notificazione).
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha aderito il Tribunale reggino, la sanzione

necessità di un adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine – che il giudice è
chiamato ad accertare d’ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento.
D’altra parte, la perentorietà del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilità
d’ufficio in caso di inosservanza comporterebbero l’impossibilità di sanare ovvero di
considerare mere irregolarità, suscettibili in quanto tali di successiva regolarizzazione,
imperfezioni e mancanze della costituzione in giudizio dell’appellante tali da impedire
l’accertamento della validità ed efficacia dello stesso atto di impugnazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di secondo grado ha rilevato che la
prospettazione dell’inapplicabilità della sanzione dell’improcedibilità e della configurabilità
di una mera irregolarità nella predetta situazione processuale relativa all’attività di
costituzione in appello del Ministero dell’Interno non potevano considerarsi degne di rilievo
perché la possibile regolarizzazione avrebbe, comunque, presupposto che la costituzione,
pur potendo avvenire con il deposito di una mera copia dell’atto di appello, sarebbe
dovuta, in ogni caso, intervenire nel termine di cui all’art. 165 c.p.c. con l’allegazione della
idonea indicazione e del relativo riscontro documentale in ordine all’effettuata rituale
richiesta od avvenuta esecuzione della notificazione.
3. Ritiene il collegio che il complessivo impianto argomentativo che sorregge la sentenza
impugnata non sia condivisibile.
La questione sottoposta al vaglio di questo Collegio (come precisata anche nella parte
conclusiva del ricorso del Ministero) è la seguente: “dica la Corte se violi gli artt. 348, 347,
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della improcedibilità starebbe ad esprimere una valutazione normativa in ordine alla

165 e 156 c.p.c., la sentenza del Tribunale che abbia dichiarato improcedibile l’appello
ritualmente notificato e iscritto a ruolo a mezzo di c.d. “velina”, rilevando che il deposito
dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione
nel giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c.,
considerato che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della costituzione in

dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notifica, non comporta la sanzione
dell’improcedibilità dell’appello”.

Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale di Reggio Calabria, la prevalente
giurisprudenza di questa Corte è schierata nel senso che l’accertamento dell’avvenuto
deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina)
dell’atto di appello in luogo dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notificazione
dello stesso atto, non comporta la sanzione dell’improcedibilità del gravame (cfr. Cass. 9
dicembre 2004, n. 23027; Cass. 24 agosto 2007, n. 17958; Cass. 29 luglio 2009, n. 17666,
ord.; Cass. 17 novembre 2010, n. 23192; Cass. 8 maggio 2012, n. 6912 e, da ultimo,Cass.
23 novembre 2012, n. 20789, ord.).
Questo condivisibile orientamento è, infatti, saldamente basato sull’indiscusso principio di
tassatività delle cause di improcedibilità (tra le quali, per l’appunto, non è previsto — all’atto
dell’iscrizione a ruolo della causa da parte dell’appellante – il deposito dell’originale
dell’atto di appello notificato); sulla esclusività del richiamo, in detta norma, ai soli termini
di costituzione dell’appellante (da intendersi riferiti a quelli contemplati dall’art. 165 c.p.c.,
per il giudizio di primo grado, in virtù del rimando trasparente nel primo comma dell’ari.
347 c.p.c.) e non anche alle forme; sulla non configurabilità di un pregiudizio del diritto di
difesa e dell’instaurazione del contraddittorio per effetto dell’avvenuta notificazione. Del
resto, la possibilità di provvedere alla costituzione in giudizio da parte dell’attore (e,
corrispondentemente, da parte dell’appellante in secondo grado) e alla contestuale
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giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in sostituzione

iscrizione a ruolo della causa prima del perfezionamento della notificazione (mediante il
deposito della c.d. “velina”) è un dato che deve ritenersi acquisito alla luce della lettura
(costituzionalmente orientata) operata dal Giudice delle leggi (cfr. sentenza 2 aprile 2004,
n. 107, ed ordinanza 12 aprile 2005, n. 154, ma già prima v., in senso analogo, l’ordinanza
23 giugno 2000, n. 239), secondo cui tale ultimo adempimento si perfeziona per il

momento egli è legittimato a compiere tutte le attività che presuppongono la notificazione,
ferma restando la decorrenza del termine ultimo per la costituzione dalla consegna
effettiva al destinatario. Ed anche le Sezioni unite di questa Corte — con la sentenza 18
maggio 2011, n. 10864 — hanno affermato che la sola mancata costituzione in termini
dell’appellante determina automaticamente l’improcedibilità dell’appello (a nulla rilevando
che l’appellato si sia costituito nel termine assegnatogli).
In modo ancor più incisivo è stato chiarito (cfr., in particolare, Cass. n. 23192 del 2010)
come il nuovo testo dell’art. 348 c.p.c. (nella versione introdotta dalla legge n. 353 del
1990 e succ., integr.) abbia apportato significative modifiche alla disciplina
dell’improcedibilità dell’appello, in quanto ha previsto, quali ipotesi testualmente tassative
conducenti a tale effetto (sull’operatività del principio di tassatività in proposito cfr., anche
di recente, Cass. n. 2171 del 2009 e Cass. n. 238 del 2010), solo due casi. Infatti, mentre
nella disposizione prevista al primo comma viene posto riferimento alla mancata
tempestiva costituzione dell’appellante, nel capoverso è disciplinata la mancata
comparizione dello stesso, una volta costituitosi, alla prima udienza ed in quella
successiva; pertanto, in relazione al primo degli indicati profili, risulta univocamente
evincibile come, sul piano letterale della disposizione, la sanzione immediata ed
insanabile, anche quindi a prescindere dalla condotta processuale dell’appellato, attiene
alla sola mancata tempestiva costituzione dell’appellante che deve aver luogo “in termini”
non anche all’omessa osservanza delle “forme” previste per i procedimenti davanti al
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notificante sin dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, sicché a partire da tale

tribunale, nonostante alle stesse, compreso dunque il deposito dell’originale della
citazione, operi rinvio il precedente art. 347 c.p.c..
Oltretutto, bisogna rilevare che, sebbene l’art. 165 c.p.c. imponga all’attore di costituirsi,
entro dieci giorni dalla notificazione della citazione, depositando in cancelleria la nota
d’iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenerne l’originale della citazione, la procura

Corte ha già avuto modo di evidenziare come la costituzione in giudizio dell’attore
avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del
proprio fascicolo contenente una copia anziché l’originale dell’atto di citazione, depositato
in seguito dopo la scadenza del termine prescritto, non determina alcuna nullità della
costituzione stessa, ma integra, semmai, una semplice ipotesi di irregolarità rispetto alle
modalità stabilite dalla legge, non conseguendo a tale violazione — come già sottolineato alcuna lesione dei diritti della controparte e venendosi ad instaurare il contraddittorio con
la notifica della citazione (Cass. n. 15777 del 2004, cit.).
Orbene, l’applicazione al giudizio d’appello di tali condivisibili principi non consente di
ricondurre la fattispecie in esame — come dedotto dall’Amministrazione ricorrente all’ipotesi di mancata tempestiva costituzione, dal momento che solo essa
giustificherebbe, ai sensi dell’art. 348 c.p.c. (nel testo come novellato dalla legge n. 353
del 1990), la declaratoria di improcedibilità del gravame.
Non appare, perciò, convincente la diversa soluzione adottata da questa Corte con la
sentenza n. 18009 del 2008 (alla quale si è ispirata la sentenza impugnata in questa
sede), che si fonda su una sorta di “distinguo” tra l’art. 165 c.p.c., in relazione al quale
accoglie la riferita giurisprudenza che esclude l’essenzialità in sede di costituzione del
deposito dell’originale notificato dell’atto di citazione, e l’art. 348 c.p.c., in ordine al quale,
di contro, ravvisandosi la ragione giustificatrice della comminatoria dell’improcedibilità
nell’esigenza di certezza dell’instaurazione del giudizio, viene asserita tale essenzialità in
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ed i documenti offerti in comunicazione, tuttavia la giurisprudenza concorde di questa

funzione di un necessario controllo preventivo, da parte del giudice di appello, dell’effettiva
proposizione dell’impugnazione (e, quindi, della prova dell’attivazione del correlato
adempimento notificatorio nei confronti della controparte).
Infatti, questa impostazione non valorizza, innanzitutto, l’espressa limitazione del dettato
normativo del suddetto art. 348 c.p.c., che ricollega la procedibilità dell’appello alla sola

non alle modalità della costituzione stessa, ma, soprattutto, pone riferimento ad una
necessaria attività preliminare di controllo, senza la preventiva audizione delle parti, ad
opera del giudice a seguito della sola costituzione, che — però — il diritto positivo non
prevede (e che avrebbe dovuto necessariamente contemplare per giungere alla
conclusione predicata, alla stregua del pacifico principio di tassatività che deve
caratterizzare, nell’ambito processuale, i casi di improcedibilità e, in genere, quelli che
comportano decadenze processuali), nel qual caso si sarebbe potuta giustificare anche
un’immediata declaratoria d’improcedibilità, mentre tale controllo — alla stregua dell’assetto
normativo vigente – può aver legittimamente luogo successivamente già alla prima udienza
(ed, invero, l’art. 350, comma secondo, c.p.c., demanda a tale sede la verifica della
regolare costituzione del giudizio, con la possibilità di disporre anche la rinnovazione della
notificazione dell’atto di appello: cfr., per questa sottolineatura, Cass. n. 6912 del 2012,
cit.) con la visione, da parte del giudice, della copia notificata pur se tardivamente
depositata.
Tutt’al più, come correttamente dedotto anche da parte dell’Amministrazione ricorrente,
alla declaratoria d’improcedibilità si potrebbe pervenire, all’esito del giudizio di appello,
soltanto ove fosse accertata una difformità tra la copia depositata (al momento di
iscrizione a ruolo) e l’originale dell’atto di impugnazione (successivamente depositato), ma
ove non sia in discussione — come nella controversia in questione – la conformità dei due
atti, si deve ravvisare nell’attività di deposito della copia in luogo dell’originale una mera
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tempestività della costituzione (di per sé rivelatrice della effettiva volontà di impugnare), e

irregolarità, non integrando tale deviazione dal modello legale una costituzione priva dei
requisiti essenziali al raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa, di per
sé, alcuna violazione dei diritti difensivi dell’appellato nei confronti del quale il
contraddittorio viene a radicarsi con la notifica dell’atto di impugnazione.
Pertanto, in consonanza con il condivisibile orientamento assolutamente maggioritario

costituzionalmente orientata fatta propria dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi) e
con l’impianto normativo sistematicamente inquadrato che il codice di rito riserva al
giudizio di appello (e, in particolare, alle forme, alla costituzione delle parti e alla fase della
trattazione, non disgiunte dalla valorizzazione, quale imprescindibile corollario, del
principio della tassatività dei casi di improcedibilità), deve enunciarsi (come già statuito
con la recente Cass. n. 6912 del 2012) — ravvisandosi la fondatezza del proposto ricorso il seguente principio di diritto: <

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