Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21623 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 19/10/2011), n.21623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12943/2009 proposto da:

K.E., elettivamente domiciliata in ROMA, V. TRIONFALE

563 7, presso lo studio dell’avvocato COLANGELI GIORGIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato SCROFANI CANCELLIERI Daniele,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

OPERA PIA ISTITUTO RIZZA ROSSO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A MORDINI 14,

presso lo studio dell’avvocato TRAMONTI EUGENIO GIANALBERTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GENTILE Antonino, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 445/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/05/2008 r.g.n. 1491/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato SCROFANI CANCELLIERI DANIELE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1- La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello proposto da K.E. avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa del 4 ottobre 2005, che, a sua volta, aveva respinto il ricorso della K., volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole (il (OMISSIS)) dal Commissario straordinario dell’Opera Pia “Istituto Rizza Rosso” di (OMISSIS), con le conseguente condanna alla reintegrazione e al risarcimento dei danni.

La Corte d’appello di Catania precisa che:

a) non merita accoglimento il motivo d’appello con il quale si sostiene che il Tribunale non avrebbe effettuato una regolare istruttoria, limitandosi a decidere sulla base della documentazione prodotta dal datore di lavoro;

b) essa, infatti, non solo si sostanzia in una generica contestazione dell’esercizio dei poteri istruttori del giudice, rimesso al suo prudente apprezzamento, ma è anche contraddetta dal fatto che il Tribunale ha motivato – in termini di irrilevanza – sulla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta dalla ricorrente e non risulta che vi sia stata contestazione al riguardo;

c) neppure può essere accolta la doglianza relativa alla violazione dell’art. 7 St. lav., per mancata affissione del codice disciplinare;

d) tale affissione, infatti, non è necessaria quando, come nella specie, si tratta di violazioni che si sostanziano nella negazione dei fondamentali doveri attinenti il rapporto d i lavoro;

e) del resto, neanche la dipendente ha mai posto in dubbio l’inerenza ai doveri d’ufficio delle mancanze addebitatele;

f) la censura relativa alla prospettata violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 (sulla incompetenza del Commissario straordinario ad irrogare la sanzione) è reiterata e generica;

g) del tutto infondata è la censura secondo cui la contestazione sarebbe stata generica perchè effettuata facendo semplice riferimento agli artt. 9-12 e 13 del regolamento di Economato senza alcuna specificazione in merito alla condotta della lavoratrice;

h) infatti, le suddette norme regolamentari evidenziano i doveri propri di colui che ha la qualifica di istruttore di economato (quale era la ricorrente) e pertanto dovevano essere conosciute dalla lavoratrice;

i) del tutto ingiustificati appaiono sia la mancata tempestiva rendicontazione (riferita ad un periodo antecedente l’insorgere della malattia) sia la mancata riconsegna delle chiavi della cassaforte;

j) rispetto a tali mancanze le osservazioni della lavoratrice sono ininfluenti e basate su una “strana” ricostruzione dei fatti;

k) del pari irrilevanti sono le osservazioni relative all’assenza di danno economico e alla scarsità della provvista a disposizione dell’economo.

2 – Il ricorso di K.E. domanda la cassazione della sentenza per dodici motivi; resiste, con controricorso, l’Opera Pia “Istituto Rizza Russo” (IPAB).

La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi del ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione delle seguenti disposizioni: a) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, art. 5, commi 2 e 3, art. 55, comma 4; b) del D.Lgs. n. 207 del 2001, art. 6, comma 2, artt. 8, 9, art. 10, comma 2, artt. 11, 12; c) L.R. Sicilia n. 15 del 1993, art. 9, comma 1; d) artt. 14, 26 e 28 dello statuto dell’Ente datore di lavoro; e) art. 24, commi 4 e 7, del c.c.n.l. per i dipendenti del enti locali del 1995; f) art. 434 cod. proc. civ..

Si rileva che in entrambi i gradi di merito del giudizio la ricorrente ha eccepito – senza ottenere risposte appaganti – l’illegittimità del licenziamento perchè irrogatole dal Commissario straordinario dell’Ente datore di lavoro, il quale avrebbe la veste di organo politico facente le funzioni del solo Consiglio di amministrazione dell’Ente medesimo e non dell’Organo/Ufficio disciplinare, competente ex lege per l’istruzione dei procedimenti disciplinari e per l’applicazione delle eventuali sanzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55).

Il principio della distinzione tra indirizzo politico/amministrativo e gestione amministrativa tende a realizzare il valore fondamentale dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

In base a tale principio il Commissario straordinario non avrebbe avuto neppure la competenza di verificare la regolarità della gestione del servizio, affidato alla ricorrente.

La Corte d’appello ha ritenuto la relativa doglianza inammissibile per genericità e per ripetitività, ma in base ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, è consentito riproporre in appello, nella loro interezza, le medesime censure disattese dal giudice di primo grado, ove l’appello sia stato dichiarato inammissibile.

2- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza sul punto relativo alla competenza funzionale da parte dei Commissario a contestare, istruire e irrogare il licenziamento, nonchè sul punto in cui il corrispondente motivo di appello è stato ritenuto inammissibile per mancanza di “specificità”.

Si contesta che la Corte catanese abbia espresso le due suindicate tesi senza motivare in modo appagante al riguardo, non avendo spiegato perchè: 1) la tesi prospettata dalla ricorrente sull’incompetenza del Commissario straordinario non sia una “opzione interpretativa cui potere aderire”; 2) l’atto d’appello sul punto fosse privo della specificità richiesta dalla giurisprudenza (peraltro non citata dalla Corte catanese).

3- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 2, art. 115 cod. proc. civ., comma 1, art. 421 cod. proc. civ. e art. 437 cod. proc. civ., comma 2.

Si sottolinea che l’adesione da parte della Corte d’appello alla tesi del Tribunale sulla inammissibilità della prova testimoniale richiesta dalla lavoratrice – in risposta alle deduzioni effettuate dalla controparte nella comparsa di costituzione – avrebbe comportato una lesione delle norme che garantiscono il contraddittorio delle parti in posizione di parità, visto che poi il Tribunale ha fondato la propria decisione solo sulla documentazione prodotta dall’Ente, senza neppure fare uso dei poteri istruttori officiosi a propria disposizione ai fini di accertare la verità materiale.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa o insufficiente motivazione sulla mancata ammissione dei proposti mezzi istruttori e sui fatti sottesi, vertendo questi su questioni decisive per il giudizio.

Si rileva che la Corte d’appello è pervenuta alla suindicata conclusione sulla base di una presunta genericità della contestazione dell’atto di appello in merito alla mancata ammissione dei mezzi istruttori e al mancato uso dei poteri istruttori di ufficio da parte del giudice di primo grado, richiesta peraltro reiterata in appello.

In simili casi, in base alla giurisprudenza di legittimità, la motivazione di diniego deve essere specifica, cosa che nel presente caso non accade, essendo la motivazione sul punto meramente apparente perchè costituita da una acritica ripetizione di quanto ritenuto sul punto dal giudice di primo grado.

5- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione delle seguenti disposizioni: a) artt. 2104, 2106, 2119 cod. civ.; b) della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 2, 5, 8, 12; c) della L. n. 300 del 1970, art. 7; d) degli artt. 24 e 25 c.c.n.l. per i dipendenti degli enti locali del 1995.

Si sostiene che, sulla base delle disposizioni contrattuali, le infrazioni contestate non avrebbero dovuto essere sanzionate col licenziamento, ma con sanzioni più lievi.

Per applicare il licenziamento sarebbe stato necessario l’occultamento da parte della ricorrente di fatti e circostanze relativi all’uso illecito di beni e somme dell’Ente, ma dallo stesso provvedimento di irrogazione del licenziamento si desume che la ricorrente, ancorchè malata, ha restituito al Commissario la chiave della cassaforte e i soldi in essa contenuti.

Non vi è stata, quindi, distrazione o sottrazione di tali beni.

6- Con il sesto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’inquadramento dei fatti contestati in una fattispecie sanzionatoria prevedente il licenziamento, trattandosi di circostanza controversa e decisiva per il giudizio.

Si torna sulle censure esposte nel quinto motivo, nell’ottica del vizio di motivazione.

7.- Con il settimo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ., nonchè delle seguenti disposizioni: a) della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1; b) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, commi 2 e 3; c) art. 25, commi 10 e 11, ccnl, per i dipendenti del enti locali del 1995, con riferimento alla mancata approvazione/adozione/affissione del codice disciplinare.

Si sostiene che gli addebiti contestati necessitavano di essere specificati attraverso un codice disciplinare affisso.

8.- Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la mancata approvazione/adozione/affissione del codice disciplinare.

Si torna sulle censure esposte nel settimo motivo, nell’ottica del vizio di motivazione.

9- Con il nono motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2104 cod. civ. nonchè delle seguenti disposizioni: a) della L. n. 300 del 1970, art. 7; b) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55; c) art. 24 e 25 ccnl, per i dipendenti del enti locali del 1995, con riferimento alla mancata specificità degli addebiti contestati.

Si sostiene che il solo richiamo delle norme regolamentari non sia stato sufficiente a rendere la destinataria edotta degli addebiti, onde poter esercitare a pieno il proprio diritto di difesa.

10- Con il decimo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la mancata specificità dei motivi di contestazione degli addebiti, trattandosi di circostanza controversa e decisiva per il giudizio.

Si torna sulle censure esposte nel nono motivo, nell’ottica del vizio di motivazione.

11- Con l’undicesimo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione delle seguenti disposizioni: a) artt. 2104, 2110, 2119 cod. civ.; b) della L. n. 300 del 1970, artt. 1 e 7; c) artt.l, 3, 5, 8, 21, 24, comma 5, lettera i), del c.c.n.l. per i dipendenti del enti locali del 1995; d) art. 21 Cost.; e) artt. 51 e 599 cod. pen., con riferimento alla negata sussistenza della causa di giustificazione della malattia e dell’esercizio del diritto di critica e/o di difesa.

Si sostiene che alla ricorrente siano state pretestuosamente addebitate contestazioni disciplinari per la propria assenza per malattia, che invece è giustificata.

Si aggiunge che le asserite ingiurie nei confronti del Commissario erano solo legittime reazioni svolte nell’esercizio del diritto di critica e difesa – alle accuse, mossele per iscritto dal Commissario, in merito alla pretesa commissione del reato di “interruzione di pubblico servizio”.

12- Con il dodicesimo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento delle cause di giustificazione rappresentate dallo stato di infermità in cui versava la ricorrente e dal legittimo esercizio del diritto di difesa o di critica, trattandosi di circostanze controverse e decisive per il giudizio.

Si torna sulle censure esposte nell’undicesimo motivo, nell’ottica del vizio di motivazione.

2 – Esame dei motivi del ricorso 13.- I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione -sono inammissibili per molteplici ragioni.

13.1- In primo luogo, la formulazione dei motivi non è conforme all’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie ratione temporis), il quale esige, a pena di inammissibilità, che, nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4, il motivo sia illustrato con un quesito di diritto – la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza – mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi, per tutte: Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556).

Nella specie il suddetto principio risulta essere stato del tutto disatteso e questa è già, di per sè, una ragione sufficiente per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

13.2- Comunque si deve anche rilevare che tutta l’impostazione del ricorso non consente l’esame del merito delle censure in questa sede infatti – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nelle intestazioni del primo, del terzo, del quinto, del settimo, del nono e dell’undicesimo motivo – in realtà tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

Tanto più che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412;

Cass. 24 luglio 2007, n. 16346).

13.3- Va, infine, rilevato che, con riferimento alle censure riferite a norme dello Statuto dell’Ente datore di lavoro e del regolamento di Economato ovvero all’esame delle richieste probatorie e/o alla valutazione delle risultanze processuali, non risulta neppure essere stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in base al quale:

a) il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (vedi, per tutte: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915);

b) lo stesso vale in riferimento alle norme giuridiche secondarie ed agli atti amministrativi, in quanto l’art. 113 cod. proc. civ., che pone il principio jura novit curia va coordinato con l’art. 1 preleggi il quale indica le fonti del diritto, onde, laddove il primo eleva a dovere del Giudice la ricerca del “diritto”, non può non fare esclusivo riferimento alle vere e proprie fonti del diritto oggettivo, id est ai precetti che sono caratterizzati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, sicchè vanno esclusi dall’ambito d’operatività del richiamato principio sia i precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata o gli atti amministrativi) estranei alla previsione del menzionato art. 1 preleggi, sia quelli aventi forza normativa puramente interna, come gli statuti degli enti e i regolamenti intemi, quali sono quelli che vengono in considerazione nella specie (ex plurimis: Cass. 20 luglio 2007, n. 16089; Cass. 27 gennaio 2009, n. 1893; Cass. 29 agosto 2006, n. 18661; Cass. 20 agosto 2004, n. 16354; Cass. 26 agosto 2002, n. 12476; Cass. 26 giugno 2001, n. 8742; Cass. 29 settembre 1999, n. 10765; Cass. 5 luglio 1999, n. 6933; Cass. 4 giugno 1998, n. 5483).

E’ vero che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il suddetto principio non si applica alle norme della contrattazione collettiva nella specie invocate, trattandosi di clausole di clausole di un contratto di diritto pubblico nazionale, che, in quanto tale, presenta una peculiare specialità in ragione della dettagliata regolamentazione della legittimazione contrattuale e del procedimento formativo, della verifica da parte della Corte dei conti della compatibilità economica e finanziaria dei relativi costi, nonchè della prescritta pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ai senti del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 (vedi, per tutte: Cass. SU 12 ottobre 2009, n. 21568; Cass. SU 4 novembre 2009, 23329; Cass. SU 23 settembre 2010, n. 20075; Cass. 11 aprile 2011, n. 8231).

Ma, nell’attuale giudizio, la suddetta notazione è del tutto irrilevante, data la sussistenza dei già evidenziati radicali difetti di formulazione e impostazione delle censure.

3 – Conclusioni.

14.- In sintesi il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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