Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21622 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/08/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 22/08/2019), n.21622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena rel. Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26366/2016 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA

DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LA SPINA;

– ricorrente –

contro

A.SE. SPOLETO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLA PIRAMIDE

CESTIA, 1/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA

GIOVANELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati DANTE DURANTI,

LUCIANO BROZZETTI;

– controricorrente –

e contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 109/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 29/07/2016 R.G.N. 80/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 109 depositata il 29.7.2016 la Corte di appello di Perugia, respingendo preliminarmente l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo e della motivazione, ha confermato la pronuncia del giudice di prime cure, respingendo la domanda di G.G. promossa nei confronti di Azienda Servizi Spoleto – A.SE. Spoleto s.p.a. e del collega-dipendente S.M. per l’accertamento di una dequalificazione professionale e di condotte mobbizzanti – perpetratisi per il periodo dal 2010 in poi – e per il conseguente risarcimento del danno;

2. la Corte distrettuale ha condiviso la motivazione del giudice di prime cure circa la mancata allegazione, nell’atto introduttivo del giudizio, delle mansioni concretamente svolte prima e dopo la riorganizzazione dell’azienda (del settembre 2011) nonchè dell’impossibilità di utilizzare adeguatamente il bagaglio professionale acquisito nell’ambito del ruolo (privo delle funzioni di coordinamento, funzione del tutto eventuale nell’ambito della qualifica rivestita) assegnato dopo la riorganizzazione, rilevando, altresì, la tardività e la genericità del riferimento alla mancata partecipazione a sopralluoghi e lavori specialistici indicato solamente nell’atto di appello ed aggiungendo, con riguardo al c.d. mobbing, che gli elementi probatori raccolti erano insufficienti ad integrare quei requisiti di sistematicità, reiterazione, persecuzione elaborati dalla giurisprudenza di legittimità;

3. Propone ricorso avverso tale sentenza il G. affidandosi a tre motivi e l’A.SE Spoleto s.p.a. resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria. S.M. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. con il primo motivo del ricorso si deduce violazione dell’art. 429 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo, la Corte distrettuale, erroneamente respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per asserita omessa lettura del dispositivo e della sentenza (all’udienza di discussione del 26.3.2015) nonostante la circostanza emerga da documenti, che si producono ex art. 372 c.p.c., ossia dal fascicolo d’ufficio dell’intero giudizio di primo grado, dall’invio della sentenza allo studio legale, da parte della cancelleria, solamente in data 31.3.2015 e dall’inserimento della sentenza nel registro telematico dei depositi in data 3.8.2015;

5. con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2103,2697 c.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), avendo, la Corte distrettuale erroneamente confermato la sentenza di primo grado che aveva affermato la carenza di allegazioni nell’atto introduttivo del giudizio circa le mansioni svolte in concreto dal G. e, inoltre, rilevato la confusione, del lavoratore appellante, tra descrizione delle mansioni concretamente svolte ed esposizione delle declaratorie contrattuali del profilo di inquadramento (di cui all’organigramma approvato dal consiglio di amministrazione della società n. 67 del 2006); dette mansioni, nonchè lo svolgimento del ruolo di coordinamento, risultano, invece, dall’organigramma della società (n. 67 del 2006), di cui si riporta per estratto il contenuto, nonchè dalle lettere dell’ex dirigente Gh. e dall’ex Presidente F., dalle deduzioni della società relative all’indizione della selezione interna nonchè dalle espletate prove testimoniali;

6. con il terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 2087,2103,2697 c.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), avendo, la Corte distrettuale erroneamente valutato le deposizioni testimoniali, che confermavano un ininterrotto comportamento persecutorio e vessatorio, ed ingiustificatamente sottovalutato la deposizione del teste R. solamente in quanto anch’egli promotore di un ricorso avverso la società di identico contenuto;

7. il primo motivo è inammissibile, trattandosi, a ben vedere, di censura rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e non contro la sentenza di appello (sulla inammissibilità di siffatte censure v. Cass. n. 5637 del 2006, Cass. nn. 11026 e 15952/2007, Cass. n. 6733 del 2014), avendo, la Corte distrettuale, rilevato che l’eccezione risultava “assolutamente generica” (essendosi limitato, l’appellante ad affermare di aver appreso della sentenza unicamente per effetto della comunicazione via pec in data 31.3.2015) nonchè sfornita del minimo supporto di allegazione circa la vana attesa della lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza all’esito dell’udienza di discussione, e soprattutto infondata posto che la sentenza, come da “annotazione di cancelleria apposta in calce”, risultava depositata in data 26.3.2015 (circostanze non censurate dal ricorrente);

8. questa Corte ha affermato che la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce alla sentenza, la quale costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 2700 c.c., può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso (cfr. Cass. n. 17290 del 2009);

9. del pari inammissibili, in quanto prive di riscontro nelle allegazioni di fatto poste a base del decisum, quale risultanti dalla sentenza impugnata, sono le allegazioni prospettate per la prima volta nel ricorso per cassazione – relative al mancato rinvenimento, nel fascicolo d’ufficio, del verbale di udienza e della sentenza alla data di richiesta di copia conforme, in data 24.4.2015, all’invio della sentenza via pec, da parte della Cancelleria, in data 31.3.2015 e all’inserimento del dispositivo della sentenza nel registro telematico solamente in data 3.8.2015; secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 14599 e n. 14590 del 2005; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 4391 del 2007; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 5070 del 2009), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa;

10. infine, questa Corte ha affermato che il termine annuale di decadenza dall’impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, ossia dalla data del deposito in cancelleria della stessa, a nulla rilevando l’omissione della comunicazione di cancelleria dell’avvenuto deposito” (Cass. n. 24913 del 2008, Cass. n. 15778 del 2007, Cass. n. 6375 del 2006) ed analoga irrilevanza deve darsi al ritardo della predetta comunicazione del deposito, che potrebbe esservi stato nella fattispecie, così come alla diversa data indicata nella tardiva iscrizione della causa nei registri cronologici (per la irrilevanza della data diversa emergente a terminale, con funzione analoga a quella del registro, per le decisioni dei giudici tributaria cfr. Cass. n. 25236 del 2007);

11. con riguardo al secondo ed al terzo motivo di ricorso, va osservato che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge ed alla nullità della sentenza contenuto nell’intestazione dei motivi di ricorso, le censure si risolvono nella inammissibile denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti;

12. al riguardo va, da un lato, rilevato che opera, nel caso di specie, la modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia conforme” (art. 348 ter c.p.c., comma 5) e, dall’altro, va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. n. 21486 del 2011; Cass. n. 20731 del 2007; Cass. n. 18214 del 2006; Cass. n. 8718 del 2005);

13. la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134): l’intervento di modifica, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”;

14. nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori;

15. la Corte distrettuale ha rilevato, al pari del giudice di primo grado, che mancava l’allegazione delle mansioni “in concreto” svolte dal G. prima e dopo la riorganizzazione dell’azienda e che, “soprattutto”, il ruolo di coordinamento (di cui il lavoratore lamentava la privazione) rappresentava uno dei tanti (ed eventuali) compiti affidabili ad un lavoratore inquadrato (come il G.) nel 4 livello del contratto applicato in azienda, con conseguente impossibilità di apprezzare il lamentato depauperamento del bagaglio professionale acquisito, rimanendo inalterato l’affidamento delle altre mansioni di manutenzione e riparazione dei guasti elettrici;

16. infine, in ordine all’attendibilità del teste R. ed al dedotto mobbing, la Corte distrettuale ha respinto la domanda sulla base degli elementi istruttori, del tutto convergenti, riferiti dai testimoni V., Ro. e Go., sottolineando che le circostanze riferite dal teste R. erano “in gran parte contrastanti con quelle rese dagli altri testi” e comunque non sufficienti “ad integrare i presupposti del mobbing sia per il ristretto lasso temporale in cui gli stessi si sarebbero verificati (dalla fine del 2010 al 212 da cui vanno detratti prolungati periodi di assenza del lavoratore) sia per il mancato riferimento a vere e proprie circostanze di carattere oggettivo, venendo desunto l’intento persecutorio da mere valutazioni soggettive rese dal teste (ad esempio, in merito al carattere gratuito delle critiche e dei richiami, all’inutilità o allo scarso rilievo dei lavori assegnati al ricorrente), peraltro evidentemente condizionate in quanto il teste si doleva, ed aveva proposto ricorso giudiziale, in relazione agli stessi fatti”;

17. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite, a favore della società controricorrente, seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.; nulla nei confronti di S.M. rimasto intimato.

18. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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