Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21620 del 28/07/2021

Cassazione civile sez. II, 28/07/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 28/07/2021), n.21620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNA Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15881/2016 proposto da:

B.G., S., E., L.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato NUNZIA COPPOLA LODI giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.P., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CAMILLO

NOSARI, giusta procura in calce al controricorso;

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO LODI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1134/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla difesa di M.P..

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Bergamo sezione distaccata di Clusone, con sentenza n. 125 del 7/8/2008, riconosceva in favore di M.P. l’usucapione della sola quota del 50% di un immobile, meglio indicato in atti, appartenuto in vita allo zio materno P.B., del quale era stata dichiarata la morte presunta con sentenza dello stesso Tribunale n. 587/1986. Avverso tale sentenza proponeva appello il M., che invece sosteneva che l’usucapione dovesse riguardare la piena proprietà del bene.

Si costituivano in giudizio gli eredi dell’originaria convenuta P.M. che concludevano per il rigetto dell’appello, mentre M.M., fratello dell’appellante, aderiva alle richieste di quest’ultimo.

La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 1134 del 5/11/2015, ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata, rimettendo la causa al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di P.A..

In motivazione rilevava che il bene oggetto di causa era appartenuto in vita a P.B., di cui era stata dichiarata la morte presunta alla data dell’8 marzo 1943, con sentenza passata in giudicato il 20/10/1986.

Il Tribunale aveva evidenziato che questi non era coniugato ed aveva tre fratelli, A., C. e M..

Alla data di aperura della successione, da individuare nella data di passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della morte presunta, P.A. era già deceduto (in data 2/10/1984), e quindi al de cuius erano succedute solo le due sorelle, C. e M. nei confronti delle quali, e dei loro eredi, era stato instaurato il contraddittorio.

Secondo la Corte d’Appello tale conclusione era erronea, in quanto pur ad annettere alla dichiarazione di morte presunta gli effetti della morte ai fini successori, la successione va fatta risalire in ogni caso alla data individuata come quella in cui il soggetto sarebbe presuntivamente deceduto.

Poiché il de cuius è stato dichiarato morto presunto, in quanto disperso nella campagna di Russia, alla data dell’8 marzo 1943, a quella data anche il fratello A. era un erede, e quindi il contraddittorio doveva essere integrato anche nei confronti dei suoi eredi.

Per la cassazione di tale sentenza propongono B.G., B. E., L.E., e B. S., quali eredi di P.M., sulla base di un motivo.

B.L., sempre quale erede di P.M., resiste con controricorso adesivo al ricorso principale.

M.P. resiste a sua volta con controricorso, illustrato da memorie.

M.M. non ha svolto difese in questa fase.

2. Il motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 354 c.p.c., per essere stata rimessa la causa al giudice di primo grado senza che ricorresse un’ipotesi di difetto di integrità del contraddittorio.

Assumono i ricorrenti che, pur volendo includere tra i successori di P.B., il fratello A., morto in epoca successiva alla data individuata come quella cui risalirebbe la morte presunta, ma prima del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell’evento de quo, i giudici di appello non si sono avveduti che in realtà erano già presenti nel giudizio tutti i litisconsorti necessari.

Infatti, come confermato dal fatto che l’atto di riassunzione posto in essere da M.P., in ottemperanza di quanto disposto dalla sentenza gravata, era stato indirizzato esclusivamente a coloro che già erano partecipi del giudizio di appello (e cioè a seguito del decesso delle sorelle di P.B., M. e C., degli eredi di queste ultime), P.A. era deceduto ab intestato, lasciando a sé superstiti unicamente le sorelle C. e M..

La sentenza d’appello ha equivocato circa il tenore delle difese spese dalla convenuta M. dinanzi al Tribunale, in quanto il preteso difetto di contraddittorio in quella sede evocato non intendeva rimarcare la necessità di rendere partecipi del giudizio altri soggetti oltre quelli già ritualmente evocati, ma piuttosto invitare a considerare che i convenuti rispetto alla domanda di usucapione spiegata da M.P., erano altresì eredi di P.A., oltre che di P.B..

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, nel richiamare il precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 536/1981, a mente del quale la dichiarazione di morte presunta determina una vera e propria successione mortis causa dei presunti eredi del dichiarato morto, come si evince dalle norme dettate in ordine alla devoluzione degli elementi attivi del patrimonio di quest’ultimo ai suoi presunti eredi e legatari (artt. 63, 64, 69, 73 cod civ) e dal contrapposto silenzio sulla sorte degli elementi passivi di detto patrimonio, spiegabile solo con la sottintesa applicabilità della disciplina delle successioni mortis causa (conf. Cass. n. 476/1956), ha altresì affermato che la successione si apre, ai sensi degli artt. 58 e 61 c.c., al momento a cui è fatta risalire la morte presunta, ritenendo che quindi anche l’individuazione dei successibili vada compiuta facendo riferimento alla data cui risale la morte presunta, senza che possa incidere la circostanza che uno degli interessati sia a sua volta deceduto in data anteriore al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa.

Tale affermazione in diritto (che trova il conforto anche di Cass. n. 48/1975, che ha ritenuto applicabile la normativa fiscale vigente alla data della morte presunta, senza dare rilievo alla successiva data di esecutorietà della sentenza dichiarativa) non è oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti principali, né da parte dei controinteressati.

Rileva però la Corte che la stessa, quanto alla incidenza sulla sorte della delazione delle vicende verificatesi nelle more tra la data cui risale la morte presunta e quella di apertura della successione per effetto del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa, non sia del tutto pacifica nella dottrina e nella giurisprudenza di merito.

Infatti, parte della dottrina pur riconnettendo il fenomeno successorio alla data individuata in sentenza, come corrispondente a quella della morte presunta, valorizza il diverso elemento secondo cui la delazione ereditaria ha luogo soltanto quando diviene eseguibile la sentenza dichiarativa, e cioè al suo passaggio in giudicato, traendo da tale premessa la conclusione secondo cui non acquisterebbe la qualità di erede colui che, pur essendo vivente alla data della morte presunta, sia deceduto prima del passaggio in giudicato della sentenza che l’ha dichiarata.

Corollario di tale affermazione sarebbe che per tale ipotesi, che appunto ricorrerebbe nella vicenda in esame, essendo P.A. deceduto dopo la data della morte presunta ma prima del passaggio in giudicato della relativa sentenza, sarebbe impedita la transmissio delationis, e secondo parte della giurisprudenza di merito, anche la rappresentazione (così Corte Appello Roma 6 agosto 1954, che ha negato lo ius repraesentationis in favore dei figli del fratello del morto presunto, deceduto dopo la data dell’accertata morte, ma prima della conseguita esecutorietà della sentenza dichiarativa di essa).

L’adesione a tale diversa opinione renderebbe evidente come non fosse in alcun modo configurabile un’esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di P.A., posto che il suo decesso, in epoca anteriore al passaggio in giudicato, lo escluderebbe dal novero dei successibili.

Ma reputa la Corte che la questione sia stata invece oggetto di esplicita statuizione del giudice di appello, e che pertanto non sia dato ritornare sulla correttezza in diritto della stessa, in assenza di una specifica censura sul punto.

Tuttavia, l’affermazione che tra gli eredi di P.B. vi sia anche P.A. non determina di per sé la necessità di dover procedere all’integrazione del contraddittorio.

In tal senso, rileva quanto evidenziato in ricorso circa l’assoluta coincidenza tra gli eredi di P.B. e gli eredi di P.A., essendo entrambi, sia pure in date diverse, deceduti, senza coniuge e senza figli, con il subentro quali eredi legittimi (in mancanza della deduzione circa l’esistenza di un testamento) delle due sorelle, M. e C., i cui eredi già sono parti del presente giudizio.

Ne’ rileva la circostanza che gli stessi siano stati inizialmente evocati in giudizio o vi abbiano preso parte spendendo la qualità di eredi delle dette sorelle, occorrendo a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 13411/2008), qualora una medesima persona fisica cumuli in sé la qualità di parte in proprio e quale erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello, per mancata integrazione del contraddittorio, in relazione all’omessa notifica dell’atto di citazione nei confronti degli eredi di una parte, deceduta anteriormente alla notifica di tale atto, i quali erano già costituiti, in proprio, nel medesimo grado di giudizio; conf. Cass. n. 6844/2012).

In termini si veda anche Cass. n. 1613/2003, a mente della quale, qualora venga ordinata l’integrazione del contraddittorio, in sede di merito, nei confronti dell’erede della parte defunta nel corso del giudizio, la circostanza che detto erede sia già costituito con comparsa, ancorché in proprio, rende superflua una nuova notificazione della citazione, in considerazione della conoscenza diretta di quel provvedimento (in applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha considerato legittima la pronuncia della Corte d’appello, che aveva confermato il rigetto dell’eccezione di estinzione del giudizio, per la mancata integrazione del contraddittorio, ordinata dal Tribunale, in quanto le convenute si erano costituite e – pur avendo partecipato al giudizio “in proprio” avevano conosciuto il contenuto dell’atto introduttivo e l’attrice, pur non ottemperando all’ordine di integrazione del contraddittorio, aveva chiaramente manifestato la volontà di estendere la propria domanda a loro, anche in tale qualità).

Facendo applicazione di tali principi al caso in esame, la presenza in giudizio già di tutti coloro, che per effetto della morte di P.A. e delle sue sorelle, sarebbero eredi del primo, rende superfluo un ordine di integrazione del contraddittorio indirizzato nei confronti delle medesime parti, sol perché nel giudizio abbiano speso la sola qualità di eredi di altra parte deceduta, dovendosi assicurare il rispetto del principio dell’integrità del contraddittorio in chiave sostanziale, senza quindi formalismi legati alla sola formale assunzione della qualità di erede di tutti i soggetti nei cui diritti si subentra.

Non si mette in discussione, come sembra invece prospettare la difesa del M., che il difetto di integrità del contraddittorio ben possa essere rilevato d’ufficio, finanche in sede di legittimità, ma è pur sempre necessario che il difetto sussista e che quindi una parte necessaria del giudizio sia rimasta estranea allo stesso, il che non accade quando la parte sia comunque presente, sebbene non abbia inteso esplicitamente spendere anche la diversa qualità di erede di altro soggetto a sua volta parte necessaria del giudizio.

Il motivo deve quindi essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.

3. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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