Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21618 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/08/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 22/08/2019), n.21618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22143/2016 proposto da:

ABRAMO CUSTOMER CARE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo

studio dell’avvocato ANTONELLA PARISI, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIOVANNI GIUSEPPE GENTILE, ADOLFO LARUSSA;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIANA N. 48,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/03/2016 R.G.N. 1600/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Catanzaro ha riformato la sentenza di primo grado e, in accoglimento del ricorso di T.R., ha accertato che il progetto in relazione al quale la T. aveva prestato la sua attività in favore della Abramo Customer Care s.r.l. non era specifico. Inoltre ha verificato che il rapporto si era svolto in regime di subordinazione. Per l’effetto ha dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti ed ha disposto la reintegrazione della T. nel posto in precedenza occupato condannando la società appellata al pagamento di una indennità risarcitoria quantificata in sei mensilità di retribuzione oltre accessori dalla sentenza al saldo ed al pagamento delle differenze retributive spettanti in relazione all’inquadramento nel IV livello del c.c.n.l. di settore, oltre accessori dalle singole scadenze al saldo.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre la Abramo Customer Care s.r.l. che articola due motivi cui resiste con controricorso T.R.. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 c.c. e segg., art. 409 c.p.c., n. 4, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 61 e 69, oltre che la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

3.1. Sostiene la ricorrente che la Corte sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni non avendo tenuto nella dovuta considerazione la circostanza che nella specie si trattava di un rapporto di lavoro parasubordinato e non di un rapporto di lavoro autonomo.

4. La censura è inammissibile in quanto, concentrando la sua attenzione sulla natura autonoma piuttosto che parasubordinata del rapporto intercorso tra le parti, omette di censurare l’autonoma ratio decidendi, che ha determinato la Corte a ritenere sussistente tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato consistente nell’accertata insussistenza di un valido progetto.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro, in specie dell’art. 23 del ccnl per il personale dipendente delle imprese di telecomunicazione. La nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.. Un vizio di extrapetizione nella parte in cui la Corte di merito ha riconosciuto l’inquadramento nel IV livello sebbene nel ricorso introduttivo del giudizio non fosse stato specificatamente chiesto e nonostante che, dai conteggi, emergesse che il livello di riferimento utilizzato era il III.

6. Osserva in proposito il Collegio che la censura è inammissibile poichè demanda alla Corte una mera correzione della motivazione che avrebbe dovuto semmai essere coltivata con l’apposita procedura di correzione di errore materiale.

6.1. Ed infatti, come evidenziato dalla stessa ricorrente per cassazione, la somma riconosciuta a titolo di differenze retributive è stata calcolata avendo riferimento al III livello del c.c.n.l. e per effetto della diversa qualificazione giuridica del rapporto. Nè risulta che la lavoratrice avesse mai chiesto un inquadramento diverso e superiore. In tal senso neppure l’odierna controricorrente contesta che l’inquadramento chiesto fosse nel terzo livello del c.c.n.l.. Si aggiunga che nel dispositivo ci si limita a condannare la società al pagamento di un importo (appunto la somma calcolata sulla base del terzo livello) e dunque deve ritenersi che la Corte sia incorsa in un errore materiale laddove invece in motivazione ha, riconosciuto l’inquadramento mai richiesto.

6.2. Va rammentato in proposito che nel rito speciale del lavoro, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, deve attribuirsi prevalenza a quest’ultimo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la decisione assunta nella fattispecie concreta, mentre le enunciazioni della motivazione incompatibili con il dispositivo devono considerarsi come non apposte ed inidonee a costituire giudicato (cfr. Cass. 19/06/2002 n. 8912, 07/07/2003 n. 10653, 18/06/2004n. 11432). Tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda, inoltre, sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga; in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamene dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione (cfr. Cass. 11432/2004 cit. e Cass. 27/08/2007 n. 18090).

7. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo vanno poste a carico della ricorrente e devono essere distratte in favore dell’avv. Pileggi antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali 15% per spese forfetarie oltre accessori di legge. Spese da distrarsi in favore dell’Avv. Pileggi che se ne dichiara antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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