Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21617 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 26/10/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 26/10/2016), n.21617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28797/2012 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA

MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TAVERNA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RENATO

FERRARA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI TERNI, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AMMINISTRAZIONE ECONOMIA e FINANZE DELLO STATO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 135/2012 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 10/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TAVERNA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

C.V. propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 135/04/12 del 10 luglio 2012 con la quale la commissione tributaria regionale di Perugia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione notificatogli dall’agenzia delle entrate l’8 maggio 2009 a titolo di decadenza dalle agevolazioni da lui fruite – L. n. 97 del 1994, ex art. 5 bis, comma 1, introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 51, comma 21: esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere – in relazione al decreto 20 dicembre 2002 con il quale il tribunale di Orvieto gli aveva trasferito la proprietà di un compendio agricolo di circa 360 ha, a lui aggiudicato.

Assumeva, in particolare, la commissione tributaria regionale che: – il C., come risultava dall’avvenuta registrazione (OMISSIS) di denuncia di contratto verbale, aveva affittato al padre Piero C. una porzione, di circa 28 ha, dei terreni agricoli oggetto dell’acquisto agevolato; – tale circostanza era di per sè sufficiente a revocare i benefici di legge richiesti.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Il C. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui è stato proposto nei confronti del ministero dell’economia e delle finanze; vale a dire, di un soggetto che non ha partecipato ai precedenti gradi di giudizio, e nei cui rapporti giuridici, poteri e competenze in materia sono succedute ex lege (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57,comma 1, con decorrenza dal 1 gennaio 2001, D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1) le agenzie fiscali. Enti dotati di autonoma e distinta soggettività impositiva, nonchè di assorbente legittimazione sostanziale e processuale (Cass. 1550/15; 8177/11 ed altre).

p. 2. Con il primo motivo di ricorso il C. lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’agenzia delle entrate, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Ciò perchè l’atto di appello non era stato notificato, in tempo utile, presso lo studio del difensore domiciliatario (sito, in (OMISSIS), ad un indirizzo diverso da quello indicato nell’elezione di domicilio, e tuttavia agevolmente rinvenibile dall’amministrazione finanziaria), ma soltanto depositato ai sensi dell’art. 17 cit., oltre il termine, presso la segreteria della commissione tributaria.

La censura non può trovare accoglimento stante la configurabilità, nella specie, di un’ipotesi di nullità della notificazione; con conseguente sanatoria per l’intervenuta costituzione in giudizio dell’appellato (Cass. 12539/14).

p. 3. Con n secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – difetto di motivazione ed omesso esame, nonchè violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 e L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 1 bis. Per non avere la commissione tributaria regionale motivato alcunchè in ordine alla eccepita decadenza dell’amministrazione finanziaria, la quale aveva notificato l’avviso di liquidazione in oggetto ((OMISSIS)) oltre tre anni dopo l’emergere della causa della asserita revoca delle agevolazioni, individuata nella registrazione della denuncia di contratto verbale di affitto ((OMISSIS)). Nè era, nel caso di specie, applicabile la proroga biennale dei termini di cui alla legge sul condono, posto che alla scadenza di presentazione della relativa istanza (16 (OMISSIS)) non si era ancora verificato alcun illecito astrattamente condonabile.

Il motivo non merita accoglimento.

E’ principio giurisprudenziale di legittimità che il termine triennale per l’accertamento in materia di registro, previsto in via generale dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, è assoggettato alla proroga biennale dettata dalla L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 ed 1 bis; e ciò anche nella specifica materia di revoca delle agevolazioni.

L’art. 11, comma 1 bis L. cit., facendo menzione delle “violazioni relative alla applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, possono essere definite…” assimila infatti le violazioni delle disposizioni agevolative a quelle relative all’enunciazione di valore degli immobili di cui al comma 1 L. cit.. Ne consegue l’applicabilità anche alle violazioni di cui al comma 1 bis della proroga prevista nel comma 1; e ciò senza necessità di esplicito richiamo, posto che una diversa soluzione determinerebbe una incongrua ed irrazionale disparità di trattamento tra ipotesi del tutto equivalenti (Cass. 23222/15; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 279 del 08/01/2013; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1672 del 2011; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12069 del 17/05/2010; Sez. 5, Sentenza n. 24575 del 03/12/2010; Sez. 5, Ordinanza n. 15750 del 2010 Sez. 5, Ordinanza n. 4321 del 2009).

Nel ribadire tale principio, Cass. n. 24683/14 ha poi affermato – con orientamento al quale si intende dare qui continuità, pur a fronte del precedente difforme in Cass. ord. n. 24118/15 – la portata generale della proroga, indipendentemente dalla data della violazione, in rapporto all’esigenza di complessiva funzionalità dell’attività accertativa dell’amministrazione finanziaria in vigenza di condono, “…in quanto, ai fini dell’astratta definibilità del rapporto d’imposta, è essenziale unicamente l’intervenuta o omessa registrazione entro il 30 settembre 2003, mentre è del tutto ininfluente la non ancora maturata perdita del beneficio fiscale” (in termini: Cass. 13342/16; 13416/16).

Quest’ultima soluzione trova una ratio anche di ordine sistematico nella tutela della complessiva funzione di accertamento. Dovendosi ritenere che il legislatore abbia individuato nella proroga biennale generalizzata – ferma restando la necessaria anteriorità, rispetto al termine previsto dalla legge, dell’insorgenza del rapporto tributario astrattamente condonabile, rappresentata dalla registrazione dell’atto uno strumento esecutivo di contemperamento e raccordo tra – da un lato l’opportunità di definizione agevolata concessa al contribuente e – dall’altro l’esigenza di effettività dell’azione accertativa dell’amministrazione finanziaria su tutte quelle posizioni pregresse, non fatte oggetto per qualsiasi ragione di istanza di condono, con riguardo alle quali quest’ultima non avrebbe potuto tempestivamente operare il capillare e concreto discernimento dei presupposti impositivi; e ciò proprio per la concomitante funzione di verifica e smaltimento ad essa attribuita sulle istanze presentate.

Applicando tali principi al caso di specie, la decadenza dell’amministrazione finanziaria va pertanto esclusa, attesa, da un lato, l’anteriorità dell’insorgenza del rapporto tributario al termine di astratta condonabilità (decreto di trasferimento del dicembre 2002) e, dall’altro, la notificazione dell’avviso di liquidazione ((OMISSIS)) nel rispetto del quinquennio dal riscontro della causa di revoca dei benefici ((OMISSIS)).

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 214 e 216 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e art. 62. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto provata la stipulazione del contratto di affitto sulla base di una scrittura privata (la denuncia di registrazione di contratto verbale) che era stata disconosciuta nella sua sottoscrizione e nel suo contenuto; a fronte di che, l’amministrazione finanziaria non aveva formulato istanza di verificazione nè aveva altrimenti fornito la prova, posta a suo carico, della riferibilità della scrittura medesima ad esso contribuente e, comunque, dell’effettiva conclusione del contratto di affitto.

Con il quarto motivo di ricorso il C. lamenta difetto di motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, relativo all’ammissibilità della prova testimoniale subordinatamente da lui dedotta a riprova della mancata stipulazione del contratto di affitto; prova ammissibile anche nel processo tributario, nel caso in cui il contribuente si trovi nell’impossibilità incolpevole di assolvere all’onere probatorio su di lui incombente.

p. 4.2 Tali motivi di ricorso sono infondati, ancorchè dal loro rigetto non debba discendere – come si dirà – un giudizio di piena fondatezza della pretesa impositiva.

La denuncia di contratto verbale di affitto è stata ritenuta probante dal giudice di merito all’esito di una articolata e logica motivazione; non scevra dal fatto che, a fronte della richiesta di registrazione proveniente dal contribuente, sarebbe stato onere di questi dimostrare tanto l’estraneità al contratto delle parti che ne apparivano stipulanti, quanto le ragioni per le quali il contratto, ancorchè asseritamente privo di qualsivoglia volontà negoziale sottostante, sarebbe stato presentato alla registrazione dalle parti stesse; ovvero da altri soggetti che risultassero portatori di un – non meglio identificato nè immaginabile – interesse in tal senso. Vieppiù considerati, come osservato dal giudice di merito, gli oneri di identificazione personale oltre, naturalmente, che di effettivo versamento del tributo, così come posti a carico del presentatore dell’atto oggetto di registrazione.

Va poi considerato che nemmeno ha pregio l’argomento secondo cui si verterebbe nella specie di un contratto di affittanza agraria nullo per difetto del requisito di forma, giacchè il giudice di merito ha tratto dalla registrazione del contratto il convincimento su una circostanza obiettiva – la dismissione a favore di terzi di una porzione del compendio acquistato, con conseguente cessazione della coltivazione diretta della medesima da parte dell’acquirente – rilevante obiettivamente ai fini della decadenza dal beneficio; e dunque anche a prescindere dalla vincolatività giuridica dell’atto fatto oggetto di registrazione.

Inaccoglibile è anche il quarto motivo di ricorso, atteso il chiaro disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 comma 4, che fa divieto di assumere, nel processo tributario, la prova testimoniale.

Nel riaffermare tale divieto, se ne è altresì stabilito il rapporto con la prova dichiarativa mediante autocertificazione (che, pure, il C. ha chiesto ammettersi durante il procedimento di merito) nel senso che: “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo” (Cass. 6755/10; così Cass. 1663/13).

p. 5.1 Come anticipato, il rigetto dei motivi di ricorso non esclude che la sentenza qui impugnata debba essere corretta sotto un profilo giuridico fondamentale.

Si tratta, appunto, di un rilievo discendente da una più corretta interpretazione giuridica alla quale questa corte è tenuta nell’ambito della propria funzione di controllo di legittimità e nomofilachia; non senza peraltro considerare come tale profilo giuridico, ancorchè non contenuto nei motivi di ricorso del C., sia stato tuttavia da questi ampiamente dedotto nella memoria ex art. 378 c.p.c..

Atto processuale, quest’ultimo, certo inidoneo a contenere nuovi motivi ovvero nuove censure, e tuttavia in grado di richiamare ed illustrare una diversa interpretazione – in puro diritto, e fermi restando i contorni fattuali della vicenda della normativa di riferimento della fattispecie.

Orbene, non si ritiene del tutto condivisibile l’affermazione della commissione tributaria regionale secondo cui la (comprovata) sussistenza del contratto di affitto sarebbe “da un punto di vista giuridico, comunque sufficiente a revocare i benefici di legge richiesti”.

In base alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis (Disposizioni per favorire le aziende agricole montane), come introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 21: “1. Nei territori delle comunità montane, il trasferimento a qualsiasi titolo di terreni agricoli a coltivatori diretti e ad imprenditori agricoli a titolo principale che si impegnano a costituire un compendio unico e a coltivarlo o a condurlo per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento è esente da imposta di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere. I terreni e le relative pertinenze, compresi i fabbricati, costituiti in compendio unico ed entro i limiti della superficie minima indivisibile di cui al comma 6, sono considerati unità indivisibili per quindici anni dal momento dell’acquisto e per questi anni non possono essere frazionati per effetto di trasferimenti a causa di morte o per atti tra vivi. In caso di successione i compendi devono essere compresi per intero nella porzione di uno dei coeredi o nelle porzioni di più coeredi che ne richiedano congiuntamente l’attribuzione. (…)”.

Il comma 6, dell’articolo in oggetto stabilisce che: “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano regolano con proprie leggi l’istituzione e la conservazione delle aziende montane, determinando, in particolare, l’estensione della superficie minima indivisibile”.

In ottemperanza a quest’ultimo disposto, la Regione Umbria è intervenuta a fornire la definizione di superficie minima indivisibile con l’articolo unico della L.R. n. 4 del 2003, secondo cui: “Al fine di fruire dei benefici e delle agevolazioni previsti dalla L. 31 gennaio 1994, n. 97, art. 5 bis, come aggiunto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 52, comma 21, le aziende agricole devono essere costituite in un compendio unico della superficie minima indivisibile di quattro ettari”.

Sul piano interpretativo soccorre anche l’art. 7 (Conservazione dell’integrità fondiaria) del D.Lgs. n. 99 del 2004 (norma sopravvenuta all’acquisto in oggetto, ma utile sul piano della ricostruzione sistematica dell’istituto), che statuisce: “1. Dopo il D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 5, è inserito il seguente: “Art. 5-bis (Conservazione dell’integrità aziendale). 1. Ove non diversamente disposto dalle leggi regionali, per compendio unico si intende l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999, e successive modificazioni. 2. Al trasferimento a qualsiasi titolo di terreni agricoli a coloro che si impegnino a costituire un compendio unico e a coltivarlo o a condurlo in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento si applicano le disposizioni di cui alla L. 31 gennaio 1994, n. 97, art. 5-bis, commi 1 e 2. Gli onorari notarili per gli atti suddetti sono ridotti ad un sesto”.

Sulla nozione generale di compendio unico di cui al testè riportato D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 7, è intervenuta anche questa corte di legittimità (Cass. 15562/14) che, nell’evidenziarne l’autonomia rispetto a quella di minima unità culturale di cui all’art. 846 c.c. (contestualmente abrogato) ha osservato come quest’ultima facesse riferimento alle necessità della famiglia coltivatrice diretta, ed alla conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria, “mentre il compendio unico ha inteso dare rilievo all’aspetto produttivo dell’azienda agricola, stabilendo condizioni per il conseguimento di agevolazioni fiscali allo scopo di garantire un minimo di redditività”.

Per quanto concerne il compendio unico in ambito montano, soccorre parimenti una nozione di superficie minima tutelata dal legislatore per la sua ritenuta idoneità a garantire, da un lato, la razionalizzazione ed ottimizzazione dello sfruttamento agricolo del territorio (art. 44 Cost., u.c.) e, dall’altro, l’obiettivo di una apprezzabile concorrenzialità e redditività aziendale: quel “livello minimo di redditività” che, cit. D.Lgs. n. 99 del 2004, ex art. 7, definisce il compendio unico.

Ed è per conseguire questi obiettivi che il legislatore ha poi introdotto un vincolo di natura temporale al compendio unico così costituito, imponendone l’indivisibilità ed infrazionabilità – mortis causa o per atto tra vivi – per 15 anni dall’acquisto.

Va però osservato che, in base alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, il vincolo di indivisibilità non riguarda il compendio unico considerato nella sua interezza, cioè così come risultante dall’atto di acquisto, bensì il compendio unico “entro i limiti della superficie minima indivisibile di cui al comma 6”; dunque, nei limiti della superficie stabilita dal legislatore regionale.

Poichè il vincolo di indivisibilità è, come detto, funzionale alla conservazione di una superficie minima di sfruttamento territoriale e di produttività aziendale, consegue che la sua violazione, in tanto può determinare la decadenza dalla agevolazione fiscale, in quanto produca la formazione di superfici agricole inferiori a quelle minime – volute dal legislatore (statale e regionale).

Va in altri termini ritenuto che l’interpretazione della prima parte dell’art. 5 bis in esame (impegno del contribuente alla coltivazione per almeno 10 anni del compendio unico) non possa non porsi in relazione con quanto disposto nella seconda parte della medesima disposizione (indivisibilità oltre il limite della superficie minima stabilita per legge regionale), stante la natura e lo scopo dell’agevolazione.

Anche l’impegno di coltivazione-conduzione va dunque rapportato all’esigenza (coincidente con la ratio agevolatrice) di preservare una superficie minima di sfruttamento, così come anche evincibile dalla normativa regionale di riferimento su riportata, secondo cui condizione necessaria e sufficiente per fruire dei benefici delle agevolazioni previste di dall’art. 5 bis in questione è che le aziende agricole siano costituite “in un compendio unico della superficie minima indivisibile di quattro ettari”.

Va in definitiva affermato che la decadenza dall’agevolazione di cui alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, per violazione dell’impegno assunto dall’acquirente al momento dell’acquisto, non discende sempre ed in ogni caso dalla cessione a terzi, nel decennio, di una porzione del compendio unico acquistato in regime agevolato. Occorre infatti distinguere l’ipotesi in cui la dismissione a terzi di parte del compendio unico abbia determinato in capo all’acquirente la formazione di porzione agricola inferiore alla superficie minima indivisibile stabilita con legge regionale, nel qual caso l’agevolazione è esclusa in toto; da quella in cui tale dismissione non abbia determinato la formazione di porzione inferiore alla superficie minima indivisibile, nel qual caso l’agevolazione continua a spettare in rapporto alla sola porzione non concessa dall’acquirente a terzi, ed oggetto di coltivazione diretta da parte del medesimo.

p. 5.2 Quanto fin qua osservato vale a fornire un’interpretazione complessiva ed unitaria, in chiave funzionale e finalistica, della norma agevolativa di cui alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis; così da effettivamente escludere – in via di interpretazione diretta, e non analogica nè estensiva della norma agevolativa – la fondatezza dell’avviso di liquidazione opposto là dove ha inteso revocare del tutto le agevolazioni fruite.

Ciò perchè dagli atti di causa emerge che il contratto di affitto in oggetto ha avuto riguardo solamente a 28 dei 360 ha. acquistati da C.V. con il decreto giudiziale di trasferimento; è dunque assodato che egli abbia mantenuto una porzione di coltivazione diretta del compendio unico di molto superiore a quella minima di legge.

Ne segue la cassazione, in relazione a quanto indicato, della sentenza impugnata; con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Perugia la quale, in applicazione del suddetto principio di diritto, rideterminerà dunque l’importo dovuto dal C. sulla base dell’avviso di liquidazione opposto, nella considerazione del rapporto tra porzione da lui ceduta a terzi, e porzione oggetto di coltivazione diretta da parte del medesimo.

PQM

La Corte:

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale Umbria.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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