Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21613 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. II, 19/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 19/10/2011), n.21613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.C. e G.C., rappresentati e difesi, in

virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Soprano

Enrico e Andrea Napolitano, elettivamente domiciliati nel loro studio

in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;

– ricorrenti –

contro

P.L. e PA.Ca., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Buonanno

Roberto, elettivamente domiciliati nel suo studio in Roma, corso

Trieste, n. 148;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2036 del 22

giugno 2009;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 21

settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che G.C. e S.C. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli P.L. e P. C. al fine di sentire ordinare la divisione di una palazzina sita in (OMISSIS) secondo quanto stabilito con la scrittura privata del 26 gennaio 1988, con la condanna dei convenuti all’abbattimento di tutte le strutture costituenti il complesso del ristorante nonchè delle altre fabbriche eseguite in difformità dalla predetta pattuizione; in via alternativa, nell’ipotesi di ritenuta invalidità della indicata scrittura privata, chiesero che venisse ordinata la divisione degli immobili esistenti sul terreno acquistato con l’atto pubblico del 2 giugno 1987 e l’eliminazione degli abusi denunciati;

che i convenuti si costituirono in giudizio deducendo l’invalidità della scrittura privata di divisione e spiegarono, in via riconvenzionale, domanda intesa alla correlativa declaratoria, alla formazione di un nuovo progetto di divisione degli immobili secondo criteri di “verticalità” nonchè alla condanna degli attori all’eliminazione delle opere abusive a loro volta realizzate;

che l’adito Tribunale, con sentenza del 9 febbraio 2004, rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale, dichiarando compensate tra le parti le spese processuali;

che pronunciando sull’appello principale proposto dal P. e dalla Pa. e sull’appello incidentale del G. e della S., la Corte di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 giugno 2009, ha rigettato il gravame principale quanto al primo motivo in rito, dichiarandolo inammissibile per il resto, ed ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale quanto alla domanda nuova con esso spiegata, rigettandolo in relazione alle altre censure;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la S. e il G. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 14 ottobre 2010, sulla base di due motivi;

che gli intimati hanno resistito con controricorso;

che in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo denuncia “violazione di legge (artt. 1350, 1347 e 1444 cod. civ.) ed errata qualificazione dell’atto di divisione del 26 gennaio 1988 o della domanda principale”, nonchè “esecuzione del preliminare ovvero convalida tacita del definitivo”, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

che il secondo mezzo è rubricato “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; omessa motivazione sulla domanda subordinata e/o alternativa; motivazione impropria, insufficiente e contraddittoria;

violazione e/o falsa applicazione di norma di legge; violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 40”;

che entrambi i motivi – là dove denunciano violazione o falsa applicazione di norme di legge – sono privi del quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della cen-sura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che gli stessi motivi, nella parte in cui denunciano il vizio di motivazione, sono stati redatti senza l’osservanza dell’onere, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., del quesito di sintesi;

che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è omessa, insufficiente o contraddittoria, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che nella specie detto quesito di sintesi è del tutto assente;

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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