Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21603 del 23/10/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21603 Anno 2015
Presidente: DI BLASI ANTONINO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 29786-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
2652

ASTEC SRL;
– intimato

avverso la sentenza n. 55/2010 della
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il
12/02/2010;

Data pubblicazione: 23/10/2015

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/09/2015 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO che ha
chiesto raccoglimento;

Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
raccoglimento del 1° motivi di ricorso, assorbiti
gli altri.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

29786-10

Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate revocava parzialmente il credito
d’imposta fruito dalla As.Tec. s.r.l. in base agli art.
7, 10 0 co., della l. n. 388 del 2000 e 63 della 1. n.

Recupero
credito
d’imposta —
agevolazioni
ex art. 7 dellal.
n. 388-00 e 63
della L n. 28902 — lavoratori
svantaggiati —
regola de
minimis

lavoratori effettuate negli anni dal 2003 al 2006. Ad
avviso dell’ufficio era stata difatti aggirata la regola
cd. de minimis,

secondo la quale il beneficio non poteva

eccedere l’importo complessivo di euro 100.000,00 nel
triennio.
Avverso l’atto di revoca insorgeva la contribuente e
l’adita commissione tributaria provinciale di Pescara
accoglieva il suo ricorso.
La sentenza, appellata dall’ufficio, veniva confermata
dalla commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, la
quale riteneva che il beneficio avesse integrato una
misura a favore dell’occupazione, non soggetta alla
regola de minimis.
Ha proposto ricorso per cassazione l’agenzia delle
entrate affidandosi a quattro motivi.
La società contribuente non ha svolto difese.
Motivi della decisione
I. – Devesi preliminarmente dichiarare l’inammissibilità
del quarto motivo di ricorso, col quale l’amministrazione
lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione

289-02, in relazione ad alcune nuove assunzioni di

all’art. 360, n. 4, c.p.c., degli artt. 16, 5 ° co., 51,
1 ° co., del d.lgs. n. 546-92 e dell’art. 140 c.p.c., in
ordine a una presunta declaratoria di inammissibilità
dell’appello incidentale da essa amministrazione

Il motivo di basa su un evidente errore prospettico, dal
momento che nessuna declaratoria di tal genere è stata
resa dall’impugnata sentenza, la quale si è limitata a
respingere, per ragioni di merito, l’unico appello
(principale) proposto dall’amministrazione avverso la
sentenza di primo grado.
– Vanno invece congiuntamente esaminati i primi tre
motivi di ricorso, coi quali l’amministrazione deduce la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 7 della 1.
n.388-00 e 63 della 1. n. 289-02, anche in relazione
all’art. 87 del Trattato CE e ai Regolamenti comunitari
nn. 69 del 2001 e 2204 del 2002.
Essa lamenta che la sentenza impugnata si sia posta in
contrasto con le norme legislative interne in materia,
atteso che l’art. 7, 10 ° co., della 1. n. 388-00
stabilisce appunto la regola de minimis quale limite di
fruizione del beneficio in relazione al triennio.
La suddetta regola non avrebbe potuto essere disapplicata
dal giudice tributario per la presunta esistenza di
contrasto con norme di diritto comunitario. Il beneficio

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proposto.

configurava difatti un aiuto di Stato soggetto alla
disciplina contenuta nell’art. 87 del Trattato, e non
un’agevolazione in favore dell’occupazione, con
conseguenza ininfluenza, ai fini specifici, dell’entrata

consentire la concessione di contributi alle imprese
oltre il limite stabilito.
111. – I motivi sono fondati.
La questione controversia è quella del limite di
fruizione del credito d’imposta di cui all’art. 63 della
1. n. 289 del 2002.
L’impugnata sentenza ha annullato il provvedimento di
recupero del credito d’imposta sull’essenziale
affermazione che la regola de minimis non si applica agli
aiuti

de quibus

in quanto facenti riferimento alla

materia occupazionale. A tale materia avrebbe dovuto
essere applicato il Regolamento CE n. 2204-02 che, in
discontinuità rispetto al Regolamento CE n. 69-01
introduttivo della regola de

mínimis,

riguarderebbe

misure configurabili come aiuti alle persone (id est,

ai

lavoratori svantaggiati), anziché come aiuti di stato
alle imprese o alle produzioni tali da falsare la
concorrenza.
La conclusione della commissione tributaria si infrange
col complesso di difformi principi espressi da questa

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in vigore del Regolamento CE n. 2204-02 volto a

corte sul tema, e non è assistita da convincenti
argomentazioni volte a superare quei principi. Il punto è
che la commissione ha trascurato di considerare l’ambito
della legislazione nazionale cui, nel rispetto dei

disciplina concretamente applicabile alla fattispecie.
IV. – Questa corte ha costantemente affermato che il
credito di imposta di cui si controverte è astrattamente
configurabile quale aiuto di Stato in considerazione del
suo carattere selettivo correlato alla differenziata
applicazione territoriale. Esso non può superare, per
espressa previsione del legislatore nazionale,
l’ammontare previsto per gli aiuti de minímis, che opera,
dunque, quale tetto massimo della relativa fruizione.
Pertanto, per effetto della disposizione nazionale non è
configurabile un credito d’imposta eccedente il suddetto
ammontare (v.

ex anis Sez. 5^ n. 21797-11, n. 7361-12; e

v. pure Sez. 5^ n. 20245-13 e Sez. 6^-5 n. 16178-14).
Al fondo dei principi si pone la constatazione che la 1.
n. 289-02, rinnovando il regime di incentivi alle
assunzioni già disposto con la 1. n. 388 del 2000, art.
7, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non
diversamente regolato, le relative disposizioni “per le
assunzioni di cui alle lett. a) e b)”. Ha mantenuto ferme
cioè, quanto alle dette assunzioni, tutte le disposizioni

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principi comunitari, si deve far capo per individuare la

della norma richiamata, ivi compresa quella del 10 0 coma
secondo la quale “all’ulteriore credito di imposta di cui
al presente comma si applica la regola de minimis di cui
alla comunicazione della Commissione delle Comunità

delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso
sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai
sensi della predetta comunicazione purché non venga
superato il limite massimo di L. 180 milioni nel
triennio” (massimale poi stabilito in euro 100.000,00 sul
periodo di tre anni, con effetto dal 2-2-2001, ex art. 2
del Regolamento CE n. 69 del 2001).
Ne discende l’ irrilevanza della normativa comunitaria
ulteriormente citata dalla commissione, in particolare
del Regolamento CE n. 2204-02 “relativo all’applicazione

degli artt. 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a
favore dell’occupazione”. Difatti il criterio comunitario
de minimis

è stato espressamente adottato, per via del

rinvio alla relativa fonte normativa, dal legislatore
nazionale, nel legittimo esercizio dei suoi poteri, quale
tetto massimo

dell’ulteriore credito d’imposta in

rassegna che ha inteso attribuire ai datori di lavoro.
E – giova dire – la natura nazionale della norma
suddetta,

limitativa

della

misura

massima

dell’

“ulteriore credito d’imposta” di cui all’art. 63 della 1.

europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

n. 289 del 2002, esclude che abbia a incidere sulla
questione l’art. 1, 8 0 co., del d.l. 15 febbraio 2007, n.
10, convertito in L. 6 aprile 2007, n. 46, recante
“disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi
ed internazionali”.

Invero

tale norma

stabilisce che “sono esclusi dal cumulo per il computo
dell’importo massimo fissato per l’applicazione della
regola de minimis gli aiuti autorizzati dalla Commissione
europea o rientranti in un regolamento di esenzione per
categoria anche se riferiti allo stesso presupposto,
qualora

la

rispettiva

normativa

non

preveda

diversamente”. Sicché l’esclusione riguarda solo gli
“aiuti” rientranti in detta previsione, che le norme
nazionali abbiano concesso in misura superiore alla
regola comunitaria. Non quindi 1′ “ulteriore credito di
imposta” qui in discussione perché l’ammontare massimo
dello stesso è stato legislativamente determinato in
misura giustappunto corrispondente a quella regola.
V. – L’evidente erroneità della sentenza impugnata ne
impone la cassazione.
La causa,

involgente solo la questione giuridica

esaminata, non abbisogna di ulteriori accertamenti di
fatto. E perciò, si sensi dell’art. 384 c.p.c., può
essere dalla corte decisa nel merito con il rigetto del

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comunitari

ricorso della contribuente avverso il provvedimento di
recupero del credito d’imposta.
VI. – Il consolidamento della giurisprudenza della corte
in epoca successiva alla proposizione del ricorso

p.q.m.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso,
inammissibile il quarto; cassa l’impugnata sentenza e,
decidendo nel merito,

rigetta l’opposizione della

contribuente avverso l’atto di recupero del credito
d’imposta; compensa le spese dell’intero giudizio.
Deciso in Roma, nella camera di consigli della quinta

giustifica la compensazione delle spese processuali.

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