Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21601 del 19/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/09/2017, (ud. 07/04/2017, dep.19/09/2017),  n. 21601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5565/2016 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA

293, presso il proprio studio rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI BRESCIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA, 42, presso

lo studio dell’avvocato GIOVANNI GALOPPI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAGDA POLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3692/2015 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata

il 18/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Ritenuto che il Tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 18 dicembre 2015, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di Brescia n. 1729 del 2014, che aveva rigettato l’opposizione proposta da C.A. avverso il verbale di accertamento della violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 9, contestata dalla Polizia Provinciale di Brescia;

che C.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a quattro motivi, ed ha depositato memoria;

che la Provincia di Brescia resiste con controricorso.

Considerato che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel senso della manifesta infondatezza del ricorso, e il Collegio condivide la proposta;

che con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione alla falsa applicazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 e si lamenta che il Tribunale abbia ritenuto nuova la contestazione della violazione dell’art. 25, comma 2, citato, che invece era stata formulata nel ricorso dinanzi al Giudice di pace;

che la doglianza è infondata;

che il rilievo del Tribunale – secondo cui nel ricorso in opposizione non era stata dedotta la violazione della distanza minima tra il segnale che prescrive il limite di velocità e il macchinario di rilevamento automatico della velocità, bensì il mancato rispetto della distanza tra il macchinario e il cartello che ne indica la presenza – risulta confermato dalla trascrizione della contestazione proposta dinanzi al Giudice di pace, come riportata dal ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza, nella quale si legge “il verbale è illegittimo per violazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, in quanto (…) risulta che la presunta violazione sarebbe stata accertata da una apparecchiatura fissa posizionata al km. 6+100 della strada prov. 510 nella direzione Brescia, mentre il cartello con l’avvertenza del posizionamento del macchinario risulta installato ad una distanza inferiore al chilometro come prescritto dalla L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2”;

che con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e si contesta l’omesso esame del fatto decisivo riguardante l’esistenza di segnali di limitazione della velocità prima e dopo l’incrocio con la strada proveniente da (OMISSIS), e, in ogni caso, la mancanza di prova dell’esistenza dei cartelli di segnalazione;

che la doglianza è inammissibile per la parte riguardante la questione della esistenza o non dei cartelli che prescrivono il limite di velocità, trattandosi di questione che il Tribunale ha ritenuto nuova e come tale estranea al thema decidendum, ed è infondata per la parte riguardante l’accertata esistenza di cartelli di segnalazione del macchinario di rilevamento della velocità, che il Tribunale ha argomentato richiamando le riproduzioni fotografiche prodotte dall’Amministrazione nel giudizio di primo grado, non specificamente contestate dall’opponente C. e l’ulteriore documentazione prodotta in appello, alla quale doveva riconoscersi valore indiziario;

che con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.L. n. 121 del 2002, art. 4, comma 2, conv. dalla L. n. 168 del 2002 e si contesta che il tratto di strada interessato dal passaggio dell’autovettura del ricorrente non sarebbe compreso tra quelli indicati nel decreto prefettizio che autorizza il posizionamento del macchinario di rilevazione della velocità, avuto riguardo al senso di marcia percorso dalla indicata autovettura;

che la doglianza è infondata;

che il Tribunale, in esito all’esame dell’atto amministrativo, non ripetibile in questa sede, ha ritenuto che l’autorizzazione riguardasse il tratto di strada interessato in entrambe le direzioni di marcia, evidenziando che la tesi contraria non era confortata da elementi dai quali potesse ricavarsi la differente pericolosità del tratto di strada in base al senso di percorrenza;

che con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. e si contesta l’ultrapetizione in cui sarebbe incorso il Tribunale per avere posto a carico dell’appellante soccombente l’obbligo di versare il contributo unificato;

che la doglianza è infondata;

che il raddoppio del contributo unificato, previsto per i procedimenti di impugnazione iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, è dovuto per legge e il giudice è tenuto a dare atto della sussistenza o non dei presupposti per il raddoppio, che consistono nel rigetto integrale dell’impugnazione – come nel caso di specie – ovvero nella declaratoria di inammissibilità e quindi del fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del giudizio di impugnazione (ex plurimis, Cass., 13/05/2014, n. 10306);

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese, nella misura indicata in dispositivo;

che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017

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