Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21601 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 07/10/2020), n.21601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16491-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FRATELLI N. FU S. SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO COSTARELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4165/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CALABRIA, depositata il 06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Calabria, con sentenza n. 4165/2018, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Catanzaro con cui era stato accolto il ricorso presentato dalla società Fratelli N. fu S. s.n.c. nei riguardi della comunicazione del diniego di disapplicazione delle norme antielusive.

Rilevava che tale atto rientrava in quelli considerati impugnabili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, la cui elencazione non poteva ritenersi tassativa. Osservava al riguardo che il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio di immediata rilevanza esterna da qualificarsi come una ipotesi di diniego di agevolazione.

Relativamente al merito evidenziava che la società aveva documentato ai sensi del TUR, art. 101, la definitiva inesigibilità del credito attraverso l’articolato esercizio di azioni giudiziarie per il recupero dello stesso che si sono concluse con esito negativo per l’assenza di beni e somme presso il debitore Duesse s.r.l. per una situazione di insolvenza.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso la società Fratelli N. fu S. s.n.c..

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Lamenta che la Ctr non avrebbe a torto ritenuto che la comunicazione del mancato accoglimento della richiesta di disapplicazione delle disposizioni sulle società non operative per l’anno d’imposta 2012 rientri fra gli considerati impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Osserva infatti che tale previsione contiene una elencazione tassativa degli atti che devono considerarsi autonomamente impugnabili e fra essi non rientra quello oggetto del presente giudizio in quanto non assimilabile alla categoria di atti amministrativi definitivi dotato di autoritatività o della capacità di produrre unilateralmente nella sfera giuridica di altri soggetti le modificazioni giuridiche previste dalle proprie statuizioni, esecutività ed inoppugnablità, una volta decorsi i termini per l’impugnazione.

Con un secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta in particolare che la società non avrebbe presentato alcun elemento certo e preciso in ordine alla inesigibilità dei crediti dedotti che si sarebbe limitata ad esperire le normali azioni giudiziarie per il recupero dei crediti laddove il semplice avvio di procedure esecutive non è di per sè circostanza qualificabile come elemento preciso dell’inesigibilità del credito non essendo possibile escludere a priori che nelle more, venga eseguito un volontario o coatto adempimento da parte del debitore esecutato.

Sostiene infatti che il contribuente avrebbe dovuto fornire la prova non solo di aver iniziato l’esperimento della procedura esecutiva ma anche l’esito infruttuoso delle stesse.

Il primo motivo è infondato.

Va premesso che in base a giurisprudenza consolidata “in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1993, n. 546, art. 19, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa (cfr. Cass., n. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017; Cass. n. 13963/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3315 del 19/02/2016).

Tale principio, espresso in materia di comunicazione di irregolarità, oltre che di diffida di pagamento (cfr. Cass. n. 11471/2018), preavviso di iscrizione ipotecaria (cfr. Cass. n. 26129/2017), mancata risposta all’istanza per ottenere un maggior credito di imposta (cfr. 22497/2017), è stato altresì esteso anche a fattispecie, come quella in esame, di interpello disapplicativo di norme antielusive, in base alla richiamata interpretazione estensiva, consentita da una lettura nell’ottica costituzionale della tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448.

Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37-bis, comma 8, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass. 2020 nr 2062; Cass. n. 24704 del 2019; Cass. n. 17010/12; in particolare, secondo Cass. n. 8663/11, il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione).

Tale principio regolatore (isolatamente disatteso da Cass. n. 5843/2012) si è consolidato nel diritto vivente (es. Cass. n. 20394/12, 335/14, 25281/15, 6200/15 e da ultimo, v. Cass. ord. n. 19962/17) sino ad essere stato ripreso anche in altri contesti fiscali (vedi, in motivazione, sez. un. nn. 7665/16, 19704/15, 12760/15, 649/15, 13451/14; cfr. ex plurimis: Cass. nn. 11397/17, 5723/16, n. 2616/15, 11922/14, 25916/13).” (Cass. 6/10/2017, n. 23469);

In questa vicenda tributaria, in coerenza con i principi giuridici appena esposti, ai quali il Collegio intende dare continuità, è chiaro che la società contribuente aveva un interesse qualificato (ai sensi dell’art. 100 c.p.c.), ad impugnare, in sede giudiziaria, il diniego di disapplicazione di norme antielusive, quale atto non meramente consultivo e, anzi, potenzialmente lesivo della sua sfera giuridica; e questo perchè – in un’ottica più generale – la risposta negativa del Direttore Regionale delle Entrate – a prescindere dalle ragioni addotte – è diretta a incidere sulla condotta del soggetto istante, in ordine alla dichiarazione dei redditi, in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.

Corretta deve ritenersi la pronuncia impugnata che pertanto si sottrae alla critica che le è stata mossa dalla ricorrente.

Con riguardo al secondo aspetto se ne deve rilevare l’inammissibilità.

Il vizio dedotto anche se prospettato in termini di violazione di legge, si risolve in una censura di merito, inammissibile in questa sede, con la quale si chiede al giudice di legittimità di sostituirsi al giudice di merito nell’apprezzamento della rilevanza probatoria degli indizi da esso scrutinati.

Nella specie la CTR, ha ritenuto, con valutazione in fatto insindacabile in sede di legittimità che la società avesse documentato la definitività inesigibilità del credito l’attraverso l’articolato esercizio di azioni giudiziarie per il recupero dello stesso che si sono concluse negativamente per l’assenza di beni e somme presso il debitore Duesse s.r.l. per una situazione di insolvenza.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di legittimità vanno secondo il principio della soccombenza poste a carico della ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità liquidate in complessivi Euro 4000,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

 

 

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