Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21600 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 22/08/2019), n.21600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6499-2015 proposto da:

P.G.A., PE.PA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 123 INT. 18, presso lo studio

dell’avvocato MARIA CUOZZO, rappresentati e difesi dall’avvocato

BRUNO FORTE giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 995/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.G.A. e Pe.Pa. ricorrono avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia che ha respinto la domanda da loro proposta nel 2013, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’equa riparazione della eccessiva durata di un giudizio da lui introdotto davanti al tribunale amministrativo regionale del Lazio negli anni ‘90 del secolo scorso, definito dal giudice amministrativo con sentenza depositata il 30.11.12.

La corte territoriale ha disatteso la domanda degli odierni ricorrenti sul rilievo che nel giudizio amministrativo presupposto non avevano presentato l’istanza di prelievo di cui all’art. 71 codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), richiesta come condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo, in vigore dal 16.9.10, modificato dal suddetto D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. n. 4 e, successivamente, dal D.Lgs. n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. “a”, n. 6.

Il ricorso si articola in quattro motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito con controricorso.

Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 6 CEDU, par. 1 e art. 13 CEDU, nonchè la violazione del principio di interpretazione adeguatrice della norma interna contrastante con la convenzione Europea. Nel motivo si argomenta che la corte di appello avrebbe dovuto fare applicazione immediata dei principi fissati nella CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Daddi giudicando quindi proponibile la loro domanda di equa riparazione quanto meno per la durata del giudizio presupposto anteriore al 25.6.08.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 34 e 41 CEDU e solleva la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010; denuncia la violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 Addizionale alla CEDU, in riferimento al credito maturato per la durata irragionevole maturata prima dell’entrata in vigore della suddetta disposizione; denuncia la violazione del divieto di applicazione di norme retroattive. Nel motivo si argomenta come i ricorrenti debbano essere considerati vittime nei sensi di cui all’art. 34 CEDU; essendo stato leso il loro diritto ad una ragionevole durata del processo, come non si possa ritenere che l’istanza di prelievo sia di per sè un rimedio efficace per ottenere una celere fissazione dell’udienza; come il diritto alla ragionevole durata del giudizio debba essere riconosciuto anche nei confronti di coloro le cui domande giudiziali non siano qualificate da particolari ragioni di urgenza. Nel motivo si prospetta altresì il dubbio di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, sia con riferimento agli artt. 24,101,102,103,104,108 e 113 Cost. (in quanto tale disposizione si risolverebbe in un’interferenza nell’esplicazione della funzione giurisdizionale e in una compressione del diritto di agire e di difendersi in giudizio), sia con riferimento agli artt. 3,24 e 97 Cost. (in quanto tale disposizione, ribaltando con effetti retroattivi un’interpretazione giurisprudenziale consolidata, colliderebbe con i principi di ragionevolezza, divieto di disparità di trattamento, tutela dell’affidamento e certezza del diritto), sia con riferimento all’art. 117 Cost. in quanto tale disposizione si porrebbe in contrasta con i principi della CEDU.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 6 CEDU, p.1 e dell’art. 1 del Protocollo 1 Addizionale alla CEDU. Secondo i ricorrenti l’interpretazione in senso retroattivo del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, costituirebbe un’indebita ingerenza del potere legislativo nel funzionamento del potere giudiziario, avente ad effetto l’espropriazione del diritto di credito relativo all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo maturata fino all’entrata in vigore della disposizione.

Il quarto motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 CEDU, p. 1 in cui la corte territoriale sarebbe incorsa non ritenendo l’art. 54, nel testo vigente dal 16.9.10, applicabile solo ai giudizi amministrativi che al 16.9.10 non fossero stati ancora introdotti o, comunque, non avessero ancora superato la durata ragionevole.

Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 28234/2017 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. 4 in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1 CEDU. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui all’art. 6, comma 2 bis della stessa L. n. 89 del 2001, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole).

La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex Lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

Ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010,- aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “Legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

Per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunta, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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