Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21599 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 26/10/2016, (ud. 19/09/2016, dep. 26/10/2016), n.21599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19470/2012 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CANDIA 121,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO CRUCIANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA CONTI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 730/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 23/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE FRANCESCO per delega

dell’Avvocato CONTI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- B.D., esercente un’attività ricondotta allo studio di settore (OMISSIS) per l’attività di “riparazione/installazione di impianti elettrici per autoveicoli”, in particolare per quella di “elettrauto di piccole dimensioni”, impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno d’imposta (OMISSIS).

Il ricorrente deduceva l’imputazione ad un cluster di riferimento inadeguato rispetto all’attività in concreto esercitata (limitata all’installazione di impianti autoradio ed antifurto per clienti privati) e l’inadeguatezza del percorso tecnico metodologico seguito dallo studio di settore (per non aver adeguatamente considerato l’ubicazione, semiperiferica di fronte all’area agricola della ex (OMISSIS), con edilizia popolare, e le dimensioni ridotte di locali condotti in locazione, il valore irrisorio dei beni strumentali e la collaborazione di un solo dipendente apprendista).

La Commissione Tributaria Provinciale di Rieti accoglieva il ricorso, ritenendo che l’Agenzia delle Entrate si fosse limitata al puro e semplice calcolo dei ricavi secondo lo strumento degli studi di settore e comunque che non avesse motivato in merito alle cause che, in concreto, avrebbero potuto influire sul normale svolgimento dell’attività.

2.- Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha accolto il gravame, riformando la sentenza impugnata e compensando le spese del secondo grado. Il giudice d’appello ha considerato la ragione dello scostamento addotta dal contribuente, consistita nella “circostanza di svolgere la sua attività di installazione di autoradio ed allarmi per auto in una zona semiperiferica della città avendo a disposizione due piccoli locali” (come si legge in sentenza), ed ha ritenuto che non fosse sufficiente a valutare congruo il reddito dichiarato, avendo l’Ufficio “analiticamente” evidenziato gli elementi che depongono per la validità, nel caso di specie, dell’accertamento basato sugli studi di settore, in particolare quanto all’acquisto di materie prime ed alle rimanenze iniziali e finali di merci ed all’anormalità dei ricavi rispetto ai costi del venduto ed ai costi complessivi, sì da dare luogo ad una situazione di apparente antieconomicità atta a giustificare l’applicazione degli studi di settore.

3.- Avverso la sentenza, pubblicata il 23 novembre 2011, B.D. ha proposto ricorso

affidato a due motivi, illustrati da memoria.

L’Agenzia delle Entrate, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha notificato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia “omessa motivazione circa fiuti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”, perchè, secondo il ricorrente, la CTR, a fronte delle numerose circostanze allegate e dimostrate dal contribuente avverso le risultanze dello studio di settore, ne avrebbe considerata solo una (la collocazione dell’attività in una zona periferica della città) ritenendola pertanto insufficiente. Sostiene che la motivazione sarebbe soltanto apparente perchè non avrebbe tenuto conto degli altri elementi rilevanti e comunque perchè non avrebbe considerato che l’attività svolta non sarebbe stata completamente identificabile con quella dello studio di settore, tanto è vero che, apportati dei correttivi per gli anni successivi, lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello desunto dagli studi di settore si era notevolmente ridotto.

1.1.- Col secondo motivo si denuncia “motivazione insufficiente circa un fitto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Il ricorrente censura la sentenza sostenendo che la CTR non avrebbe esplicitato gli indizi gravi precisi e concordanti atti a fondare l’accertamento presuntivo.

2.- I motivi – che vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – non meritano accoglimento, essendo in parte infondati ed in parte inammissibili.

Questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass. S.U. n. 26635/2009, Cass. n. 12558/2010, Cass. n. 12428/2012, Cass. n. 23070/2012).

In termini di onere della prova, nella citata sentenza delle Sezioni Unite, si è affermato, schematicamente, che “l’onere della prova (…) è così ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento: b) al contribuente (…) fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”. Come successivamente precisato da questa Corte (Cass. n. 3312/2011), l’effetto del principio di diritto affermato delle Sezioni Unite è stato quello di porre in luce l’importanza del contraddittorio, non solo nel processo ma anche nella realtà, quale strumento principale di verificazione o falsificazione della corrispondenza tra realtà e sua rappresentazione, in quanto proprio “in sede di contraddittorio – il quale può avvenire già in fine amministrativa. ma anche e soprattutto nel giudizio – il contribuente potrà in primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri utilizzati sono in sè erronei perchè sono basati su elementi, fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici” e potrà quindi chiedere l’annullamento del provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in errore operativo nell’applicare i parametri alla sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale quei parametri intendono riferirsi o la sussistenza, nella propria attività, di caratteri per così dire anormali, cioè di elementi che la diversificano rispetto a quelle in riferimento alle quali è stata individuata la normalità reddituale (cfr., da ultimo, Cass. n. 3415/15, in motivazione).

3.- La C.T.R. si è attenuta ai principi di cui sopra, fornendo adeguata motivazione del percorso logico-giuridico seguito nella valutazione delle circostanze specifiche addotte dal contribuente per escludere, nel caso concreto, l’applicabilità dei risultati degli studi di settore.

Pertanto, è totalmente destituita di fondamento la censura di motivazione omessa od apparente.

3.1.- Ogni altra censura è inammissibile.

Il giudice ha esaminato proprio le circostanze di fatto addotte dal contribuente quanto all’ubicazione dell’attività esercitata, nonchè quanto alle caratteristiche dei locali condotti in locazione e quanto alla tipologia di attività esercitata, pur compendiando queste circostanze (che il ricorrente elenca nuovamente nell’illustrare il primo motivo) nel sintetico passaggio di motivazione sopra trascritto.

Sebbene non si sia soffermato specificamente sulla totale o meno riconducibilità dell’attività allo studio di settore applicato, il giudice ha mostrato di avere avuto contezza dei dati di fatto qui riproposti dal ricorrente (anche quanto alla tipologia di attività esercitata) e di avere reputato gli stessi non ostativi all’applicazione dello studio di settore.

Entrambi i motivi, laddove insistono sulla valenza probatoria delle circostanze di fatto esaminate dal giudice di merito, sono inammissibili perchè, in sostanza, si traducono nella richiesta rivolta a questa Corte di un nuovo apprezzamento dei medesimi fatti.

3.2.- Analogamente è a dirsi quanto all’apprezzamento che il giudice di merito ha fatto degli elementi ulteriori di riscontro addotti dall’Amministrazione a sostegno delle risultanze degli studi di settore, quanto all’incongruità dei ricavi dichiarati. La CTR ha riprodotto parte di questi dati in sentenza (costo per l’acquisto dei pezzi di ricambio, rimanenze di magazzino, costo del venduto, spese complessive etc.), rinviando all’analitico accertamento dell’Ufficio, si da trarne la conferma dell’apparente antieconomicità della gestione, che giustifica l’applicazione dello studio di settore.

Evidentemente inammissibile è l’apprezzamento di questi stessi elementi in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di Euro 5.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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