Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21598 del 19/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/09/2017, (ud. 18/07/2017, dep.19/09/2017),  n. 21598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3423/2016 proposto da:

C.M., C.F., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA FOGLIANO 4/A, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA,

rappresentate e difese dagli avvocati GIUSEPPE GALLO, LUCIANO GALLO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CU.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO 8,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE DE LUCA, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE APA giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

CU.GI., CU.FR., CU.CA., CU.DO.,

CU.MA., CU.DO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 155/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del motivo 1 del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M. e F. proposero opposizione avverso la richiesta, avanzata dai fratelli Cu. al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Crotone, per la determinazione delle modalità di esecuzione della sentenza n. 61/03 con cui il medesimo Tribunale aveva condannato P.E. (dante causa delle C.) al rilascio di un terreno occupato da un fabbricato (per 68,50 mq.), da un’area recintata (per 1,50 mq.) e da reliquati di una strada pubblica (per 13,85 mq.).

Il Tribunale ritenne che l’opposizione fosse basata sulla contestazione nel merito di quanto accertato con la sentenza posta in esecuzione, e non su fatti impeditivi, modificativi o estintivi verificatisi successivamente, e disattese sia la questione dell’operatività dell’art. 936 c.c., che l’eccezione di usucapione, rigettando pertanto l’opposizione.

Pronunciando sul gravame proposto da C.M. e F. la Corte di Appello, dopo aver escluso che i Cu. avessero proposto un ricorso ex art. 612 c.p.c. (anzichè un’istanza ex art. 610 c.p.c.), ha ritenuto che il motivo concernente la domanda di usucapione o l’applicazione dell’art. 936 c.c., fosse, “prima ancora che carente di pregio, irrispettoso del dettato dell’art. 342 c.p.c., nel testo anteriore alla novella del 2012”, ribadendo comunque che la circostanza dell’esistenza di una costruzione sul terreno oggetto della domanda di rilascio “avrebbe dovuto essere dedotta prima della formazione del titolo”; ha pertanto rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado.

Ricorrono per cassazione C.M. e F. affidandosi a sette motivi illustrati da memoria; resiste il solo intimato Cu.An. a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,102,103,106,107,331,332 e 615 c.p.c., deducendo la nullità della sentenza e dell’intero procedimento per difetto di integrità del contraddittorio: premesso che l’esecuzione azionata dai Cu. era stata promossa, oltrechè nei confronti di C.M. e F. anche contro C.G. e Gi. tutte e quattro figlie della deceduta P.E., rilevano che l’opposizione all’esecuzione era stata notificata ai soli esecutanti fratelli Cu., e non anche alle altre esecutate C.G. e Gi. litisconsorti necessarie nel giudizio di opposizione; concludono pertanto che la sentenza pronunciata a contraddittorio non integro doveva considerarsi nulla e che tale vizio poteva essere rilevato, anche d’ufficio, in sede di legittimità, con necessità di provvedere ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3 e art. 354 c.p.c..

Il motivo è infondato, in quanto difettano elementi idonei a consentire alla Corte di ritenere integrata la dedotta pretermissione di litisconsorti necessari.

Deve, infatti, considerarsi che:

questa Corte ha affermato che la parte che denunci per cassazione la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare nominativamente in ricorso le persone che debbono partecipare al giudizio, “nonchè di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a queste circostanze tale da non consentire alla S.C. di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione” (Cass. n. 6822/2013; conformi Cass. n. 5880/2006 e Cass. n. 13571/2006), con la precisazione che, “se tale eccezione viene posta per la prima volta nel giudizio di cassazione, la relativa prova deve emergere dagli atti” (Cass. n. 14820/2007);

nel caso in esame, le ricorrenti non hanno allegato e documentato il titolo che comporterebbe la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti delle sorelle Ci.Gi. e G.: a tal fine, non risulta invero sufficiente l’affermazione che le stesse sono figlie (al pari delle ricorrenti) della defunta P.E., richiedendosi invece l’allegazione e la dimostrazione della loro qualità di coeredi del terreno sottoposto ad esecuzione, che non è equiparabile a quella di semplici chiamate all’eredità (cfr. Cass. n. 13571/2006) e che non può ritenersi provata con la mera produzione dello stato di famiglia originario della P.;

nè può ritenersi sufficiente la circostanza che i Cu. abbiano intrapreso l’esecuzione nei confronti di tutte e quattro le sorelle, giacchè la qualità di parte esecutata nell’esecuzione per rilascio presuppone l’effettiva disponibilità del bene da rilasciare (cfr. Cass. n. 20053/2013, in motivazione), quale può conseguire – nella specie – all’accettazione dell’eredità dell’originaria destinataria dell’ordine di rilascio.

2. Il secondo motivo (che deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 610 e 612 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo) è inammissibile, non essendo apprezzabile alcun concreto interesse a stabilire se il procedimento nell’ambito del quale venne proposta l’opposizione fosse inquadrabile nell’ambito dell’art. 610 c.p.c. o dell’art. 612 c.p.c., o in nessuno di essi, una volta che sia pacifico che le C. proposero comunque un’opposizione all’esecuzione sulla quale il Tribunale – prima – e la Corte di Appello – poi – hanno provveduto;

3. Il terzo motivo (che ribadisce l’applicabilità dell’art. 936 c.c. e ipotizza – introducendo un profilo probabilmente nuovo – l’operatività dell’art. 938 c.c.), il quarto (che sostiene la proponibilità dell’eccezione di usucapione in una sede processuale successiva a quella in cui si sia formato il titolo nel giudizio di regolamento di confini) e il settimo (con cui si contesta l’ipotizzata violazione dell’art. 345 c.p.c.) restano assorbiti dalla inammissibilità del sesto motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla ritenuta inammissibilità dell’appello – per difetto di specificità – in riferimento alle questioni di usucapione e di operatività dell’art. 936 c.c.: rispetto ad esso, infatti, le ricorrenti si sono limitate a contestare la ritenuta genericità del gravame senza provvedere alla trascrizione dell’atto di appello nella misura necessaria a consentire a questa Corte di apprezzarne l’asserita specificità (cfr., ex multis, Cass. n. 86/2012).

4. Il quinto motivo (che denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 279 e 340 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo) è inammissibile, giacchè le ricorrenti discettano su una preclusione ex iudicato conseguente a un’ordinanza che avrebbe natura di sentenza non definitiva, senza tuttavia provvedere, in ossequio al criterio dell’autosufficienza, a trascrivere il contenuto di tale ordinanza.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza.

6. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017

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