Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21596 del 19/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.19/09/2017),  n. 21596Vedi massime correlate

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26317-2014 proposto da:

MINISTERO DIFESA, (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrenti –

contro

T.M., P.C., T.R.,

B.F., P.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CASORIA 16, presso lo studio dell’avvocato EMILIA MARIA ANGELONI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO

RAVIDA’, PIERLUIGI ANGELONI giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 815/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO GINUZZI per l’Avvocatura dello Stato;

udito l’Avvocato EMILIA MARIA ANGELONI;

udito l’Avvocato FABRIZIO RAVIDA’;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 19 dicembre 2008, condannò il Ministero della difesa a risarcire a M.G.B. i danni riportati a causa della malattia (Linfoma di Hodgkin) contratta in conseguenza dell’esposizione all’uranio impoverito, subita in occasione di una missione in Somalia nel periodo in cui aveva prestato servizio militare nel corpo dei paracadutisti.

Avverso la sentenza propose appello il Ministero soccombente con citazione notificata ad T.A., B.F. ed M.A., in qualità di eredi di M.G.B., deceduto nelle more.

Resisterono all’impugnazione, davanti alla Corte di appello di Firenze, T.A. e B.F..

All’udienza del 12 aprile 2012 fu dichiarata l’interruzione del processo in ragione del decesso di T.A. e il Ministero, in assenza di volontaria costituzione degli eredi, provvide a citarli in riassunzione.

La notifica del ricorso in riassunzione, effettuata agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio della defunta, ai sensi dell’art. 303 c.p.c., comma 2, non andò a buon fine e la Corte di Appello fissò al Ministero un termine perentorio per rinnovarla, disponendo che la nuova notifica fosse eseguita, personalmente, non solo agli eredi di T.A. ma pure a quelli di M.A., anche egli deceduto.

Notificato l’atto di riassunzione, si sono costituiti in giudizio gli aventi causa degli appellati deceduti, i quali hanno eccepito l’estinzione del processo, che è stata dichiarata dalla Corte di Appello, con sentenza del 15 maggio 2014, sul rilievo dell’avvenuta pretermissione di T.L. e T.R., eredi in rappresentazione della defunta T.A..

Avverso la sentenza della Corte fiorentina propone ricorso per cassazione il Ministero della difesa, sulla base di quattro motivi.

Rispondono con controricorso B.F., T.M., T.R., P.M. e P.C. (eredi di T.A.). I controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Tutti i motivi di ricorso denunciano errores in procedendo, sicchè questa Corte, in quanto giudice del fatto processuale, ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, salvo il sindacato sull’ammissibilità dei motivi medesimi, alla luce dei principi di autosufficienza e di specificità (Cass. 02/02/2017, n. 2771; Cass. 23/01/2004, n. 1170).

1. Con il primo motivo il Ministero deduce nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per error in procedendo consistente nella violazione del combinato disposto dell’art. 300 c.p.c. e art. 307 c.p.c., comma 3.

Sostiene che la dichiarazione della morte di T.A., effettuata dal suo procuratore, non presentava i requisiti formali indispensabili ai fini della produzione dell’effetto interruttivo del processo, in quanto a tali fini sarebbe necessario non solo il verificarsi di uno degli eventi contemplati dalla legge (la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio della parte costituita a mezzo di procuratore), ma anche la dichiarazione in udienza dell’evento medesimo o la sua notifica alle altre parti. Evidenzia che, invece, nel caso di specie, non vi era stata nè la notifica alle altre parti nè la dichiarazione in udienza, in quanto l’evento era stato dichiarato dal procuratore della parte deceduta in una nota depositata in cancelleria in data 21 marzo 2012, con la quale era stato invocato il provvedimento dichiarativo dell’interruzione del procedimento previa allegazione del certificato di morte.

Si duole, inoltre, che la Corte di appello abbia ritenuto irrilevante la revoca della richiesta di interruzione formulata dal medesimo procuratore della parte deceduta nel verbale dell’udienza del 12 aprile 2012. Deduce, in proposito, che la ritenuta irrevocabilità della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 1, sarebbe incompatibile con la natura negoziale della medesima, affermata dalla giurisprudenza con orientamento consolidato.

1.1. Il motivo è infondato.

Ai fini della produzione dell’effetto dell’interruzione del processo, la necessità che all’evento della morte o della perdita della capacità di stare in giudizio della parte si accompagni la dichiarazione dello stesso in udienza o la sua notificazione alle altre parti, sussiste nell’ipotesi in cui l’evento medesimo colpisca la parte che si è costituita a mezzo di procuratore.

Con riguardo a tale ipotesi, infatti, è stato chiarito da questa Corte (Cass. Sez. U 4 luglio 2014, n. 15295) che, a norma dell’art. 300 c.p.c., commi 1 e 2, l’effetto interruttivo del processo è prodotto da una fattispecie complessa costituita dal verificarsi dell’evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti.

La comunicazione formale dell’evento ad opera del procuratore, nelle forme tassativamente previste dalla norma, è, in questa ipotesi, indispensabile ed insostituibile, sicchè non assume rilevanza la conoscenza che le altre parti ne abbiano acquisito aliunde. Ciò in quanto la legge attribuisce al procuratore la massima discrezionalità (cui corrisponde una sua personale responsabilità in confronto della parte sostanziale) non solo in ordine alla scelta se provocare o meno l’effetto giuridico dell’interruzione del processo ma anche in ordine al momento in cui provocare tale effetto.

La predetta comunicazione formale (dichiarazione dell’evento in udienza o notificazione dello stesso alle altre parti) assume natura di negozio giuridico processuale in quanto si esteriorizza in una determinazione volitiva del procuratore, finalizzata al conseguimento di un determinato effetto giuridico, consistente nell’interruzione del processo.

Non si verifica pertanto tale effetto allorchè difetti l’elemento intenzionale (per essere stato esposto l’evento dal procuratore per finalità diverse da quella tipica) o quando manchi il requisito formale, in quanto la dichiarazione non sia stata resa in udienza nè sia contenuta in un atto notificato alle altre parti (Cass. 28/09/2015, n. 19139; 03/04/2007, n. 8357; Cass. 23/11/2000, n. 15131; Cass. 22/01/1993, n.782).

Ciò non vale, peraltro, nella diversa ipotesi in cui la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio colpisca la parte prima della sua costituzione, nel qual caso l’effetto interruttivo si produce immediatamente al momento del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 299 c.p.c., senza necessità della successiva dichiarazione o notificazione (cfr. ancora la citata Cass. Sez. U 4 luglio 2014, n. 15295).

Questa disciplina trova applicazione anche nel giudizio di appello, di talchè, se prima della costituzione in tale giudizio sopravviene la morte della parte a cui sia stata notificata l’impugnazione, si determina l’automatica interruzione del processo, a prescindere sia dalla conoscenza che di tale evento abbiano avuto le altre parti o il giudice sia da qualsiasi attività diretta a determinarla, rilevando l’effettiva conoscenza dell’evento interruttivo ai soli fini della decorrenza del termine per la riassunzione (Cass. 31/07/2013, n. 18351; Cass. 21/02/2006, n.3725; Cass. 17/08/2004, n. 16020).

1.2. Nella vicenda in esame, la morte di T.A. – a cui, in qualità di erede del defunto M.G.B., era stato notificato l’atto di citazione in appello avverso la sentenza di primo grado – si era verificata in data 9 marzo 2012 (cfr. il certificato di morte allegato alla nota con cui era stato invocato il provvedimento dichiarativo dell’interruzione del processo), prima della sua costituzione in giudizio, avvenuta con comparsa di risposta depositata il successivo 21 marzo 2012, nel rispetto dei termini stabiliti dagli artt. 347 e 166 c.p.c., atteso che l’udienza di comparizione era stata differita, ex art. 168-bis c.p.c., comma 5, al 12 aprile 2012.

Al momento del verificarsi dell’evento interruttivo la parte non era dunque ancora costituita nel giudizio di appello, non potendosi a tale riguardo attribuire rilievo alla circostanza che essa, con comparsa depositata alla precedente udienza del 26 gennaio 2010 (fissata per i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria), aveva resistito all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, atteso che la costituzione nella fase dei provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza, disciplinata dall’art. 351 c.p.c., non implica l’automatica costituzione della parte nella fase di merito, in ragione del carattere autonomo del procedimento di inibitoria nonchè della circostanza che, diversamente opinando, l’appellato, costituendosi nella fase preliminare, sarebbe tenuto a proporre appello incidentale in un termine più breve rispetto a quello fissato dagli artt. 166 e 343 c.p.c. (Cass. 08/04/2014, n. 8150).

L’interruzione del processo si era dunque automaticamente verificata per effetto diretto dell’evento morte, senza che assumesse alcuna rilevanza la successiva dichiarazione dell’evento medesimo da parte del procuratore e senza che, pertanto, l’efficacia interruttiva potesse essere neutralizzata dall’inosservanza dei requisiti formali previsti dall’art. 300 c.p.c. per una fattispecie diversa da quella verificatasi nè dalla circostanza che la predetta dichiarazione, contenuta in una nota depositata in cancelleria prima dell’udienza, fosse stata, in udienza, revocata.

Ne discende l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.

2. Con il secondo motivo il Ministero deduce nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per error in procedendo consistente nella violazione del combinato disposto dell’art. 303 c.p.c., comma 2, e art. 307 c.p.c., comma 3.

Sostiene che il provvedimento con cui la Corte di appello, dopo avere rilevato il vizio della notifica del ricorso in riassunzione effettuata collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte deceduta, aveva disposto che la rinnovazione dell’atto fosse eseguita, personalmente, agli eredi di T.A. e di M.A., aveva costituito un’indebita compressione di una facoltà processuale riconosciuta dalla legge.

Afferma che, infatti, anche la rinnovazione avrebbe potuto essere effettuata nelle forme di cui all’art. 303 c.p.c., comma 2, non essendo ancora decorso, alla scadenza del termine perentorio concesso per la rinnovazione, il periodo (un anno dalla morte) entro il quale questa norma consente la possibilità di compiere la notifica agli eredi in forma collettiva e impersonale nell’ultimo domicilio della parte defunta.

L’ordine di eseguire la rinnovazione personalmente agli eredi delle parti decedute aveva dunque indebitamente impedito alla parte che agiva in riassunzione di fruire di una forma di notificazione agevolata, che l’avrebbe dispensata dalla necessità di svolgere ricerche onerose al fine di individuare nominativamente i singoli eredi, e che le avrebbe consentito di non incorrere nella pretermissione posta a fondamento della successiva declaratoria di estinzione del giudizio.

2.2. Anche questo secondo motivo è infondato.

Va premesso che l’art. 303 c.p.c., comma 2 laddove ammette che la riassunzione del processo interrotto possa avvenire mediante notificazione dell’atto riassuntivo collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio della parte defunta, entro l’anno dalla morte di quest’ultima, si deve ritenere applicabile anche nell’ipotesi in cui l’evento della morte si sia verificato prima della costituzione della parte, poichè il citato art. 303 va letto al lume del precedente art. 302 c.p.c., il quale con l’espressione “nei casi previsti negli articoli precedenti” si riferisce anche alla fattispecie dell’art. 299 stesso codice (Cass. 08/09/1999, n. 9516).

Tanto premesso, deve anche rilevarsi tuttavia che la scelta delle modalità semplificate di notificazione dell’atto riassuntivo previste dalla norma in esame, costituisce oggetto di una facoltà della parte, la quale si pone come alternativa alla possibilità che l’atto di riassunzione sia invece notificato personalmente ai singoli eredi (Cass. 17/05/2005, n. 10336; Cass. 12/11/1997, n. 11155).

Orbene, dall’indagine sugli atti di causa (ed in particolare dal verbale dell’udienza del 13 novembre 2012) risulta che il Ministero ricorrente, dopo aver depositato il ricorso in riassunzione – e dopo aver fatto presente che la notifica effettuata ai sensi dell’art. 303 c.p.c., comma 2, non era andata a buon fine -, aveva chiesto termine per rinnovare l’atto, personalmente, agli eredi di T.A. e di M.A..

Nel disporre in conformità, concedendo all’uopo termine fino al 28 febbraio 2013, la Corte territoriale non ha dunque compromesso alcuna facoltà processuale della parte ma si è limitata ad accogliere la richiesta da questa formulata.

Anche il secondo motivo va, pertanto, rigettato.

3. Con il terzo motivo viene denunciata nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per error in procedendo consistente nella violazione del combinato disposto dell’art. 184-bis c.p.c. e art. 307 c.p.c., comma 3.

Il ricorrente deduce che, dopo avere ottenuto la concessione di termine sino al 28 febbraio 2013 per provvedere alla rinnovazione della notifica dell’atto riassuntivo agli eredi di T.A. e M.A., aveva richiesto informazioni all’Ufficio Anagrafe del Comune di Grosseto.

Tali informazioni, della cui completezza non aveva avuto motivo di dubitare, non gli avevano tuttavia consentito di accertare l’esistenza di eredi in rappresentazione della T., della pretermissione dei quali aveva avuto conoscenza soltanto alla successiva udienza del 9 luglio 2013, a seguito dell’eccezione di estinzione del processo sollevata dagli eredi costituiti.

Dopo aver invocato invano, contestualmente all’eccezione sollevata dalle controparti, la concessione di nuovo termine per provvedere alla notifica ai due eredi pretermessi, aveva dunque formulato istanza di rimessione in termini, ai sensi del vigente art. 184-bis c.p.c., nella comparsa conclusionale depositata il 22 ottobre 2013, ma tale istanza era stata rigettata dalla Corte di appello con la sentenza impugnata.

Si duole, pertanto, che la Corte di merito abbia ritenuto ad esso imputabile la causa della decadenza in cui era incorso, senza tenere conto dell’avvenuto esperimento delle ricerche anagrafiche, alla luce del quale avrebbe dovuto ritenersi dimostrata l’osservanza, da parte sua, dei canoni dell’ordinaria diligenza nello svolgimento delle attività connesse alla rinnovazione della notificazione.

3.1. Questo motivo è inammissibile per difetto di specificità in relazione al tenore della statuizione impugnata.

La Corte di appello, infatti, ha rigettato l’istanza di rimessione in termini sulla base di un’articolata motivazione, ritenendo, per un verso, che l’ordinaria diligenza avrebbe imposto al Ministero, onerato della rinnovazione della notifica, di non circoscrivere le ricerche ai registri anagrafici ma di estenderle al registro delle successioni e ai registri immobiliari, alla luce della circostanza, riscontrata già nel mese di febbraio 2013, che i dati contenuti nelle certificazioni anagrafiche rilasciate dal Comune di Grosseto si erano rivelati erronei; per altro verso, che il Ministero avrebbe potuto agevolmente desumere le informazioni relative all’identità e al nominativo degli eredi di T.A. dall’atto di riassunzione – che B.F. in data 15 febbraio 2013 aveva notificato sia all’amministrazione sia agli eredi della parte deceduta – del giudizio precedentemente instaurato dalla T. medesima dinanzi al tribunale di Firenze per il risarcimento del danno subito iure proprio in conseguenza delle vicende che avevano interessato M.G.B..

Ebbene, nessuna di tali argomentazioni – dalle quali la Corte di merito ha tratto la conclusione che l’esito parzialmente intempestivo del procedimento notificatorio non sarebbe dipeso da un fattore estraneo alla sfera di disponibilità della parte, con conseguente rigetto dell’istanza di rimessione in termini – ha formato oggetto di specifica censura con il motivo in esame, il quale dunque va dichiarato inammissibile per difetto di specificità.

4. Con il quarto motivo viene dedotta nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per error in procedendo consistente nella violazione del combinato disposto dell’art. 305 c.p.c., art. 307 c.p.c., comma 3, e art. 102 c.p.c..

Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato l’estinzione del giudizio senza tenere conto che, all’esito della rinnovazione della notifica dell’atto riassuntivo, ordinata all’udienza del 13 novembre 2012, erano stati pretermessi soltanto taluni degli eredi di T.A. (precisamente gli eredi in rappresentazione T.L. e T.R.) mentre la notifica era stata ritualmente effettuata nei confronti degli altri.

Sostiene che in tal modo sarebbe stato violato il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di interruzione del processo per morte di una parte, la tempestiva riassunzione almeno nei confronti di uno degli eredi della parte deceduta è sufficiente ad impedirne l’estinzione, comportando soltanto la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri.

4.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha effettivamente statuito (Cass. 02/04/2015, n. 6780; Cass. 12/09/2011, n. 18645; Cass. 16/05/1997, n. 4360) che la mancata riassunzione del giudizio di primo grado, interrotto per morte di una delle parti, nei confronti di tutti gli eredi di essa, indipendentemente dalla loro successione nel rapporto sostanziale controverso o dalla scindibilità di questo, non determina l’estinzione del processo, nè la riduzione dell’oggetto di esso per la corrispondente quota, bensì la necessità, a pena di nullità dell’intero giudizio, dell’integrazione del contraddittorio.

Questo principio è stato affermato sul rilievo che, in caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta l’ulteriore durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario di ordine processuale, che a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, impone la riassunzione del processo nei confronti di tutti gli eredi, anche quando manchi la successione nel diritto posto a fondamento del rapporto sostanziale controverso.

Da tali considerazioni, si è inferita la conseguenza che ove il giudizio si sia svolto a contraddittorio non integro – per non avere partecipato al processo alcuno degli eredi – il giudice di appello deve ordinare, anche d’ufficio ed a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., comma 2.

Nella medesima prospettiva è stato affermato che, a seguito della dichiarazione di interruzione del processo per fallimento della parte, la mancata riassunzione nei confronti della curatela fallimentare non può fondare un’immediata dichiarazione di estinzione del processo stesso, poichè la non integrità del contraddittorio, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, implica che questi debba, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., comma 2, fissare un termine perentorio alle parti costituite per la suddetta integrazione (Cass. 31/01/2011, n. 2207; Cass. 28/11/2008, n. 28409).

4.2. Il principio appena richiamato non è stato disapplicato dalla Corte di merito nella sentenza impugnata, contrariamente a quanto affermato dal Ministero ricorrente.

Invero, rilevato che non era andata a buon fine la notifica dell’atto riassuntivo effettuata nelle forme dell’art. 303 c.p.c., comma 2, la Corte di appello (cfr. il verbale di udienza del 13 novembre 2012) ha concesso termine per rinnovare la notifica non solo nei confronti degli eredi di T.A. ma anche nei confronti di quelli di M.A. (anche questi litisconsorti pretermessi in seguito al decesso del loro dante causa), concedendo termine sino al 28 febbraio 2013.

In tal modo la Corte ha fatto corretta applicazione dell’art. 102 c.p.c., comma 2, che, in presenza di un difetto del contraddittorio per omessa citazione di un litisconsorte necessario, impone che il giudice ne ordini l’integrazione in un termine perentorio da lui stabilito.

La declaratoria di estinzione del processo è invece seguita, in piena conformità al disposto dell’art. 307 c.p.c., comma 3, soltanto alla non corretta osservanza (riscontrata in esito all’eccezione sollevata alla successiva udienza del 9 luglio 2013) dell’ordine di rinnovazione della notifica, che era stato eseguito pretermettendo due litisconsorti necessari.

Anche l’ultimo motivo appare dunque infondato.

5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese del giudizio legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

7. Non sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

L’obbligo previsto dalla norma suddetta, per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, non riguarda, infatti, le Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto dal medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, art. 11 sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso (Cass. 29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017

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