Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21594 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 22/08/2019), n.21594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27888-2016 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Valadier

43, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Romano, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ennio Cerio;

– ricorrente –

contro

Ministero Economia Finanze (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello

Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2358/2016 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 02/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dr. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– con ricorso depositato in data 15/6/2011 l’odierno ricorrente proponeva, innanzi alla Corte d’appello di Perugia, domanda di accertamento della violazione del termine di ragionevole durata del processo, con contestuale condanna del MEF al pagamento in suo favore di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001;

– il giudizio presupposto era stato promosso con ricorso depositato il 21.04.1994 presso il TAR del Lazio-Roma con istanza per la fissazione dell’udienza di discussione proposta in data 09.05.1994;

-la domanda in oggetto riguardava l’annullamento dell’atto del Comando generale della Guardia di Finanza che respingeva l’istanza del ricorrente per il pagamento del trattamento accessorio attribuito al personale che svolge compiti e funzioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata;

– lamenta il ricorrente che il TAR del Lazio non ha mai provveduto a fissare la data per l’udienza di trattazione del ricorso e si limitava a comunicare al ricorrente, a distanza di circa 16 anni dal deposito della relativa istanza, l’avviso di perenzione quinquennale ai sensi della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, comma 2, e successive modificazioni;

-la parte ricorrente non provvedeva a depositare nuova domanda di fissazione d’udienza ai sensi del citato art. 9 e il TAR dichiarava la perenzione del ricorso;

– ciò posto, la corte d’appello adita ai sensi della legge Pinto dichiarava, con il decreto meglio indicato in epigrafe e qui impugnato, improponibile la domanda ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010 per mancata proposizione dell’istanza di prelievo nel giudizio davanti al TAR;

– la cassazione del suddetto decreto è chiesta con tempestivo ricorso articolato in un motivo di ricorso;

– il Ministero intimato si è costituito con controricorso; considerato che:

– con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 p. 1 dell’art. 13 CEDU, nonchè la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla pronuncia della corte d’appello di Perugia, in quanto questa con decreto impugnato in questa sede, ha ritenuto l’improponibilità della domanda per eccessiva durata del processo, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, non essendo stata mai proposta dal ricorrente istanza di prelievo;

– tale previsione contrasterebbe con il diritto fondamentale, sancito dalla CEDU, ad un processo equo e ad un ricorso effettivo (artt. 6p.1 e 13 CEDU), oltre che con l’art. 117 Cost. Italiana e col rimando, operato da quest’ultimo, alle fonti internazionali;

– il ricorso è fondato e merita accoglimento;

– questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27923/2017, relativa al ricorso sul ricorso 5086-2015 proposto da M.G. contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al e dal D.Lgs. correttivo n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6), in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1 CEDU;

-occorre prendere atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla cit. L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);

-la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

-ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex L. n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;

– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;

-per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

-la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda;

– al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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