Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21593 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 07/10/2020), n.21593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2547-2015 proposto da:

D.S.C., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FRANCESCA RAMICONE, MARCO PELLEGRINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCARA, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in

ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENA PETACCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 692/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/07/2014 R.G.N. 882/2013;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

la Corte d’Appello di L’Aquila, accogliendo il gravame proposto dal Comune di Pescara, ha respinto la domanda con la quale D.S.C. aveva chiesto l’erogazione dei buoni pasto per avere svolto il servizio, quale agente di polizia municipale, in orari non esclusi dal diritto secondo la contrattazione decentrata;

la Corte territoriale muoveva dal presupposto che l’art. 45 del CCNL di settore prevedesse il diritto ai buoni pasto solo per i dipendenti che prestavano servizio al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane; essa riteneva quindi che l’art. 13 del successivo c.c.n.l. (economico) del 2006, nel riconoscere la possibilità di attribuire la pausa ad inizio e fine turno per certi profili, tra qui quelli della vigilanza, andasse inteso nel senso che comunque, per avere diritto ai buoni pasto, dovesse persistere la condizione del protrarsi del lavoro dal mattino al pomeriggio come anche confermato da un parere Aran;

pertanto, secondo la Corte di merito, l’accordo decentrato del 2007 che aveva attuato il predetto art. 13, peraltro escludendo espressamente alcune fasce orarie (7-13, 8-14, fasce mattutine, 14/20 e turno notturno), non poteva dirsi legittimo nella parte in cui implicitamente, non prevedendo l’esclusione anche rispetto ad altre fasce orarie non espressamente contemplate, consentiva di riconoscere il diritto anche in casi diversi da quelli previsti dalla contrattazione nazionale;

il D.S. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso del Comune, che poi ha depositato anche note difensive finali;

il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta in cui ha insistito per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente sostiene la violazione dell’art. 1 e 11 c.d. preleggi, nonchè di ogni norma e principio in tema di fonti del diritto e successioni delle leggi nel tempo, sul presupposto che la sentenza impugnata abbia attribuito erroneamente valore normativo ad una circolare dell’Aran;

il secondo motivo assume invece la violazione degli artt. 111 e 112 c.p.c., nonchè degli artt. 1362 c.c. e ss e degli artt. 12 e 14 preleggi, sottolineandosi che l’art. 13 del c.c.n.l., come interpretato dalla Corte di merito, resterebbe privo di utilità normativa;

il ricorso è inammissibile;

la contrattazione nazionale (art. 45 CCNL 2000 comparto Regioni Autonomie Locali) consente in effetti la fruizione nei turni del mattino che proseguano al pomeriggio ed eventualmente (art. 13 CCNL economico 2006) in altri turni, per servizi anche dell’area della vigilanza, da individuare in sede di contrattazione decentrata e sulla base, se del caso, della collocazione delle pause ad inizio o fine turno; l’accordo sindacale decentrato ha previsto quindi l’erogazione dei buoni pasto in favore del personale della Polizia Municipale addetto ai turni, con esclusione delle fasce 7-13 e 8-14, delle fasce mattutine, 14-20 e turno notturno;

secondo la Corte territoriale la contrattazione nazionale andrebbe intesa nel senso che, per il riconoscimento del buono pasto sarebbe comunque necessario l’inizio della prestazione in ore antimeridiane e la sua prosecuzione nelle ore pomeridiane, sicchè gli accordi decentrati non erano da ritenere conformi alla contrattazione nazionale, nella parte in cui estendevano l’emolumento sostitutivo anche ad altre fasce orarie non espressamente escluse;

ciò posto si deve considerare che, per orientamento del tutto consolidato di questa Corte, il diritto ai buoni pasti non ha natura retributiva, ma assistenziale (Cass. 14 luglio 2016, n. 14388; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290), riconnettendosi a prestazioni in qualche modo destinate ad interferire con gli orari di normale fruizione del pranzo o eventualmente, per quanto qui interessa e vista l’operatività particolare della Polizia Municipale, della cena;

l’apprezzamento del determinarsi di una fattispecie concreta utile al riconoscimento, anche in via di interpretazione della pertinente contrattazione collettiva, del diritto ai buoni pasto, ha dunque per presupposto indispensabile l’indicazione degli orari di lavoro in concreto osservati e ciò è presupposto anche del ricorso per cassazione con cui si censuri un’erronea interpretazione della predetta normativa negoziale;

nel caso di specie il ricorso del D.S. non indica tali orari, limitandosi ad affermare che la sua prestazione lavorativa si era svolta in “fasce orarie non rientranti nella ipotesi di esclusione dell’applicazione della disciplina della contrattazione decentrata”, che però restano indefinite nella loro articolazione temporale e non consentono dunque alcuna concreta valutazione;

il ricorso risulta quindi generico ed in contrasto con le rigorose regole di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, al n. 4 stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469); all’inammissibilità segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

 

 

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