Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21592 del 23/10/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21592 Anno 2015
Presidente: DI BLASI ANTONINO
Relatore: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 18670/10 proposto da:
La Ricostruzione S.r.l., in persona del suo legale
rappresentante Fazio Cirino, elettivamente domiciliata
in Roma, Via delle Quattro Fontane n. 15, presso lo
Studio dell’Avv. Giuseppe Tirelli, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;

– ricorrente contro
Agenzia delle Entrate,
rappresentante

pro tempore,

in persona del

legale

elettivamente domiciliata

in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende
legis;

ope

Data pubblicazione: 23/10/2015

2

Il

– controricorrente avverso la sentenza n. 139/07/09 della Commissione
Tributaria Regionale della Sicilia sez. staccata di
Soracusa, depositata il 25 maggio 2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 settembre 2015 dal Consigliere Dott.
Ernestino Bruschetta;
udito l’Avv.

Giovanni Contestabile,

per delega

dell’Avv. Giuseppe Tinelli, per la ricorrente;
udito l’Avv. dello Stato Alessandro De Stefano, per la
controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa Anna Maria Soldi, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Fatto

Con l’impugnata sentenza n. 139/07/09 depositata il 25
maggio 2009 la Commissione Tributaria Regionale della
Sicilia sez. staccata di Siracusa, accolto l’appello
dell’Agenzia delle Entrate, in riforma della decisione
n. 82/04/07 della Commissione Tributaria Provinciale
della stessa città, respingeva il ricorso proposto da
La

Ricostruzione

S.r.l.

avverso

l’avviso

n.

RJVCR0100037/2004 con il quale l’Amministrazione
provvedeva a recuperare un credito d’imposta ritenuto
indebitamente compensato e ciò in quanto a seguito di
verifica fiscale era risultato che due lavoratori
assunti in zona svantaggiata non avevano i requisiti
2

a

e

soggettivi richiesti dall’art. 7 1. 23 dicembre 2000,
n. 388 per il riconoscimento dell’agevolazione.
La CTR, in relazione alla tesi difensiva della
ricorrente per cui i due dipendenti avrebbero in realtà
beneficiato delle diverse <>, rilevava in contrario che nel

accertato <> e che lo stesso era sottoscritto dal
legale rappresentante della contribuente <>.
Contro la sentenza della CTR, la contribuente proponeva
ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’Ufficio resisteva con controricorso.
La contribuente si avvaleva della facoltà di depositare
memoria.
Diritto

l. Con il primo motivo di ricorso il contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 51, comma
6, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, 2700, 2731, 2733,
coma 2, e 2735, comma 1, c.c. (art. 360, coma 1, n. 3
c.p.c.)>>, nella sostanza lamentando di aver depositato
davanti alla CTR documentazione idonea a dimostrare di
aver usufruito per i due lavoratori del credito
d’imposta di cui all’art. 4 1. 27 dicembre 1997, n. 449
e non già di aver usufruito del credito d’imposta di

3

processo verbale che aveva chiuso la verifica era

i

cui all’art. 7 1. n. 388 cit., ma che erroneamente la
CTR aveva privilegiato la confessione stragiudiziale
del legale rappresentante contenuta nel processo
verbale di verifica; invero, secondo la contribuente,
atteso che la materia tributaria aveva carattere
indisponibile conseguiva che, ai sensi e per gli

c.c., alle suddette dichiarazioni

contra se

non

potevasi attribuire valore di <>. Il
quesito sottoposto era il seguente: <>.
Il motivo è infondato.

lavoratori in possesso dei prescritti requisiti, sia

e

,

In realtà, come dimostra la nota giurisprudenza di
:

questa Corte in tema di decadenza,

ex latere

contribuente il tributo costituisce diritto disponibile
(Cass. sez. trib. n. 28530 del 2013; Cass. sez. trib.
n. 11521 del 2004). Principio che ha consentito a
questa Corte di ammettere senza difficoltà, anche in
materia di imposte, la confessione stragiudiziale del
legale rappresentante della Società fatta in sede di
verifica (Cass. sez. trib. n. 13482 del 2008; Cass.
sez. trib. n. 28316 del 2005).
2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 51, comma
6, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, 2730, comma 1, c.c.
(art. 360, coma 1, n. 3, c.p.c.)>>, lamentando a
riguardo che la CTR avesse considerato le dichiarazioni
contenute nel PVC come aventi <>, nonostante la mancanza
del cosiddetto

animus confitendi

e cioè

nonostante la

mancanza della «coscienza e volontà di rappresentare
un fatto sfavorevole>> e questo perché le dichiarazioni
in parola consistevano in «esternazioni non spontanee,
che conseguivano all’adempimento di un obbligo di
collaborazione con il personale preposto alle
operazioni di verifica>>. Il quesito sottoposto era il
seguente: «Se la sentenza con la quale la

CTR,

risultando dal PVC che la contribuente aveva indicato
quali lavoratori che avevano fruito dell’agevolazione
fiscale per l’incremento dei livelli occupazionali, ai

6

,

sensi dell’art. 7 1. n. 388 del 2000, le sigg.re Grassi
e Di Salvo, e che i verificatori avevano rilevato come
dette lavoratrici non possedevano i requisiti circa
l’età anagrafica non inferiore ai 25 anni e la mancanza
di un’occupazione a titolo di lavoro a tempo
indeterminato negli ultimi 24 mesi, di cui al coma 5,

contribuente avesse mosso contestazioni, concludendo,
quindi, nel senso che “i dipendenti Grassi e Di Salvo
non avessero i requisiti previsti dall’art. 7 1.
388/2000 e che pertanto la società non potesse
beneficiare per esse del credito d’imposta”, sebbene la
società avesse allegato e provato che per le due
lavoratrici sopra citate non era stato chiesto il
credito d’imposta per l’assunzione di lavoratori di cui
al predetto art. 7, bensì, come si desumeva dalla
prodotta modulistica fiscale regolarmente trasmessa al
Fisco, quello di cui all’art. 4 1. 449 del 1997, nel
cui testo non erano previste quali condizioni per
fruire del bonus, quelle ritenute mancanti in capo alle
due lavoratrici, mentre l’agevolazione contestata era
stata fruita da altri lavoratori in possesso dei
prescritti requisiti, sia illegittima per violazione
degli artt. 51, comma 6, d.p.r. 26 ottobre 1972, n.
633, 2700, 2731, 2733, coma 2, e 2735, comma 1, c.c.,
poiché a base del ragionamento giudiziale, vi è
l’assunto della valenza di prova piena e diretta delle
dichiarazione rese in sede di verifica, mentre invece,
dette dichiarazioni, in quanto rilasciate quale

lett. a) e b), della prefata disposizione, senza che la

1

t

adempimento ad un precipuo obbligo di collaborazione
con l’autorità fiscale, sanzionato a termini dell’art.
11, comma l, lett. c), d.lgs. n. 471 del 1997, non
possono ritenersi supportate dal c.d.
con fitendi,

snimus

sicché, non potendo assurgere al rango di

confessione stragiudiziale facente piena prova, devono,
per converso, considerarsi ammissioni, apprezzabili dal
giudice quali argomenti di prova, rispetto ai quali la
controprova documentale diretta era destinata a
prevalere, con conseguente illegittimità dell’avviso di
recupero che si basava sulla carenza dei requisiti
relativi all’agevolazione non richiesta per le citate
lavoratrici».
3. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 51, coma
6, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 e 2732 c.c. (art.
360, comma 1, n. 3 c.p.c.)>>, addebitando alla CTR di
non aver tenuto conto dell’errore di fatto in cui era
caduto il suo legale rappresentante e

In

thesi

dimostrato dalla prodotta documentazione e quindi di
non aver considerato revocata la confessione
stragiudiziale in discussione ai sensi e per gli
effetti dell’art. 2732 c.c. Il quesito sottoposto era
il seguente: «Se la sentenza con la quale la CTR,
risultando dal PVC che la contribuente aveva indicato
quali lavoratori che avevano fruito dell’agevolazione
fiscale per l’incremento dei livelli occupazionali, ai
sensi dell’art. 7 l. n. 388 del 2000, le sigg.re Grassi

.

,
i

i

e Di Salvo, e che i verificatori avevano rilevato come
dette lavoratrici non possedevano i requisiti circa
l’età anagrafica non inferiore ai 25 anni e la mancanza
di un’occupazione a titolo di lavoro a tempo
indeterminato negli ultimi 24 mesi, di cui al coma 5,
lett. a) e b), della prefata disposizione, senza che la

quindi, nel senso che “i dipendenti Grassi e Di Salvo
non avessero i requisiti previsti dall’art. 7 1.
388/2000 e che pertanto la società non potesse
beneficiare per esse del credito d’imposta”, sebbene la
società avesse allegato e provato che per le due
lavoratrici sopra citate non era stato chiesto il
credito d’imposta per l’assunzione di lavoratori di cui
al predetto art. 7, bensì, come si desumeva dalla
prodotta modulistica fiscale regolarmente trasmessa al
Fisco, quello di cui all’art.

4

1. 449 del 1997, nel

cui testo non erano previste quali condizioni per
fruire del bonus, quelle ritenute mancanti in capo alle
due lavoratrici, mentre l’agevolazione contestata era
stata fruita da altri lavoratori in possesso dei
prescritti requisiti, sia illegittima per violazione
degli artt. 51, coma 6, d.p.r. 26 ottobre 1972, n.
633, e 2732 c.c., poiché a base del ragionamento
giudiziale, vi è l’assunto della valenza di prova piena
e diretta delle dichiarazione rese in sede di verifica,
ritenute assimilabili alla confessione stragiudiziale
di cui all’art. 2735 c.c., la quale, però,

ex art.

2732, potendo essere revocata o, comunque, invalidata

9

contribuente avesse mosso contestazioni, concludendo,

allorché si basi su un errore di fatto, non poteva
essere considerata dal giudice quale fattore preclusivo
di un diverso accertamento dei fatti, sicché questo
avrebbe dovuto dichiarare illegittimo l’avviso di
recupero, in quanto fondato sulla carenza dei
presupposti di un’agevolazione che, per le citate

4. I motivi due e tre, che dipendendo da identica
questione possono essere esaminati congiuntamente, sono
inammissibili.
In

effetti

l’impugnata

sentenza

non

sull’eccezione di mancanza del cosiddetto

statuisce
animus

confidenti – e nemmeno sull’esistenza di un errore di
fatto cui far conseguire la revoca della confessione
stragiudiziale – ciò che avrebbe comportato una duplice
censura di omessa pronuncia per violazione dell’art.
112 c.p.c. e altresì di dimostrare ai fini
dell’autosufficienza del ricorso che le due eccezioni
implicanti un accertamento di fatto non erano state
sollevate per la prima volta davanti alla Corte (Cass.
sez. III n. 9021 del 2009; Cass. sez. lav. n. 12255 del
2003).
5. Con il quarto motivo di ricorso la contribuente
denunciava in rubrica <>, lamentando che la CTR
avesse senza spiegazione alcuna omesso del tutto di
valutare le prove documentali offerte, le quali In
thesi

«presentavano la medesima rilevanza>> delle

10

lavoratrici, non era stata richiesta>>.

dichiarazioni

confessorie

contenute nel processo

verbale di verifica. Il quesito sottoposto era il
seguente: <>.
6. Con il quinto motivo di ricorso la contribuente
denunciava in rubrica <>, lamentando che la CTR non
avesse preso in considerazione che il suo legale
rappresentante, nonostante le dichiarazioni confessorie
di che trattasi, avesse anche fatto metter a verbale:
<>. Secondo la
contribuente, la CTR avrebbe difatti dovuto spiegare
perché <>. Il quesito sottoposto
era il seguente: <>.
7. I motivi quattro e cinque, che dipendendo da
identica

questione

possono

essere

esaminati

congiuntamente, sono inammissibili.
In realtà quello che il contribuente contesta alla CTR
è che la stessa abbia accordato, nella gerarchia delle
fonti prova, un’assorbente prevalenza alla confessione
stragiudiziale (ciò che peraltro appare giuridicamente
corretto, in ragione del valore legale della
confessione di cui all’art. 2732, coma 2, c.c.,
richiamato dall’art. 2735, comma 1, c.c.; Cass. sez.
lav. n. 11011 del 2000; Cass. sez. III n. 4777 del
1998); ovvero che la CTR non abbia fatto corretta
applicazione dell’art. 2734 c.c., che disciplina «le
dichiarazioni aggiunte alla confessione>>. Gli errori
addebitati consistono quindi in violazioni di legge,

14

mentre la pronuncia non spiega perché una simile

3
precisamente in un errores in iudicando da censurarsi
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass.
sez. lav. n. 6332 del 2014; Cass. sez. II n. 1247 del
2000), non invece da denunciarsi per vizio
motivazionale ex art. 360, coma l, n. 5, c.p.c. (Cass.
sez. lav. n. 7394 del 2010; Cass. sez. I n. 4178 del
2007).
8. Con il sesto motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 52 d.p.r.
26 ottobre 1972, n. 633, 32 d.p.r. 29 settembre 1973,
n. 600, e 12, coma settimo, l. 27 luglio 2000, n. 212
(art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.>>, a riguardo
deducendo non essere vero il presupposto della
decisione della CTR, cioè
che«la
mancata
contestazione delle circostanze rappresentate nel PVC
redatto a conclusione delle operazioni di verifica,
precluderebbe la possibilità di prospettare un diverso
quadro dei fatti in sede contenziosa>>. Il quesito
sottoposto era il seguente: «Se la sentenza con la
quale la CTR, risultando dal PVC che la contribuente
aveva indicato quali lavoratori che avevano fruito
dell’agevolazione fiscale per l’incremento dei livelli
occupazionali, ai sensi dell’art. 7 1. n. 388 del 2000,
le sigg.re Grassi e Di Salvo, e che i verificatori
avevano rilevato come dette lavoratrici non possedevano
i requisiti circa l’età anagrafica non inferiore ai 25
anni e la mancanza di un’occupazione a titolo di lavoro
a tempo indeterminato negli ultimi 24 mesi, di cui al

15

comma 5, lett. a) e b), della prefata disposizione,
senza che la contribuente avesse mosso contestazioni,
nella specie affermando, a tale ultimo proposito, che
“Il predetto verbale risulta sottoscritto per l’ufficio
da Fronterrè Giovanni e per la società La Ricostruzione
S.r.l. da Fazio Cirino, rappresentante legale della

concludendo, quindi, nel senso che “i dipendenti Grassi
e Di Salvo non avessero i requisiti previsti dall’art.
7 1. 388/2000 e che pertanto la società non potesse
beneficiare per esse del credito d’imposta”, sebbene la
società avesse allegato e provato che per le due
lavoratrici sopra citate non era stato chiesto il
credito d’imposta per l’assunzione di lavoratori di cui
al predetto art. 7, bensì, come si desumeva dalla
prodotta modulistica fiscale regolarmente trasmessa al
Fisco, quello di cui all’art. 4 1. 449 del 1997, nel
cui testo non erano previste quali condizioni per
fruire del bonus, quelle ritenute mancanti in capo alle
due lavoratrici, mentre l’agevolazione era stata fruita
da altri lavoratori in possesso dei prescritti
requisiti, sia illegittima in quanto contraria agli
artt. 52 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, 32 d.p.r. 29
settembre 1973, n. 600, e 12, comma settimo, 1. 27
luglio 2000, n. 212, giacché nessuna disposizione
prevede a carico del contribuente assoggettato a
verifica l’onere di contestare, a pena di decadenza,
già a conclusione delle operazioni istruttorie, le
risultanze delle attività di controllo, mentre, per

16

stessa il quale nulla oppone su quanto verbalizzato,

Gi •

contro, la norma da ultimo citata prevede la mera
facoltà, per lo stesso, di svolgere l’attività
difensiva già al termine della fase istruttoria, sicché
mantenendo il soggetto passivo la possibilità di
articolare tutte le contestazioni, anche riguardanti le
operazioni di verifica ed i presupposti di fatto a base

Commissione non avrebbe potuto indurre dall’asserita
mancata contestazione della circostanza di fatto
relativa ai dipendenti per i quali si era fruito del
credito d’imposta, la preclusione della possibilità di
provare l’erroneità del dato emerso in sede
istruttoria, e posto a base dell’avviso di recupero>>.
Il motivo è infondato.
In effetti sopra è già stato osservato che la
confessione stragiudiziale, come quella giudiziale,
costituisce prova legale ai sensi dell’art. 2732, coma
2, c.c., richiamato dall’art. 2735, comma 1, c.c.; e,
come tale, gerarchicamente sovraordinata alle altre

dei rilievi ivi formulati, in sede giurisdizionale, la

5\„
(Cass. sez. lav. n. 11011 del 2000; Cass. sez. III n.
4777 del 1998); non è quindi vero che la CTR, accertate
le

dichiarazione

contra

se

fatte

dal

legale

rappresentante della contribuente, potesse valutare
altre prove documentali.
9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la contribuente
a rimborsare all’Agenzia delle Entrate le spese

17

e

processuali,

queste

liquidate

in complessivi C

1.500,00, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
giorno 8 settembre 2015

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