Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21591 del 13/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21591 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

zione a decreto in-

SENTENZA

giuntivo

sul ricorso proposto da

A.N.A.S. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata per legge in
Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, dalla quale è rappresentata e difesa

RICORRENTE
contro
FALLIMENTO DELLA DITTA BRUNO UMBERTO, in persona del curatore
p.t. dott. Domenica Cristina Tripaldi, elettivamente domiciliato in Roma, alla via
Flaminia n. 195, presso il prof. avv. MASSIMO PALLINI, unitamente all’avv.
DOMENICO ANTONIO FERRARA del foro di Potenza, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso

CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1506/06, pubblicata il 27

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Data pubblicazione: 13/10/2014

marzo 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 maggio
2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Immacolata ZENO, la quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto dei primi due motivi di ricorso, restando assorbiti
gli altri motivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — L’A.N.A.S. S.p.a. convenne in giudizio Umberto Bruno, in qualità di titolare dell’omonima ditta, appaltatrice dei lavori di consolidamento e ripristino del
corpo stradale al km. 10,500 della strada statale n. 517/var. Bussentina, proponendo opposizione avverso il decreto n. 3592/98, con cui il Presidente del Tribunale
di Roma le aveva ingiunto il pagamento della somma di Lire 120.125.920, oltre
interessi, a titolo di residuo per lo svincolo delle ritenute in garanzia effettuate sui
certificati di pagamento nn. 1 e 2, nonché per interessi maturati sulle somme già
corrisposte e su quelle ancora da corrispondersi.
A sostegno della domanda, affermò che le somme richieste erano state già
corrisposte, in parte con il secondo certificato di pagamento, in parte quando la
ditta aveva fornito la prova della regolarità della propria posizione assicurativa ed
indicato il nome del procuratore abilitato a ricevere il pagamento.
Si costituì il convenuto, chiedendo il rigetto dell’opposizione ed il risarcimento dei danni per i maggiori oneri sostenuti.
A seguito d’interruzione per l’intervenuta dichiarazione di fallimento dell’impresa, il giudizio fu riassunto nei confronti del curatore.

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udito l’avv. Giorgio Ferraro per delega del difensore del controricorrente;

1.1. — Con sentenza del 10 aprile 2002, il Tribunale di Roma accolse parzialmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo, ma condannando l’Anas
al pagamento della somma di Euro 35.001,48, oltre interessi, e dichiarando inam-

2. — L’impugnazione proposta dall’Anas è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 27 marzo 2006 ha dichiarato inammissibile il
gravame incidentale proposto dal curatore.
Premesso che ai fini della decisione occorreva fare riferimento soltanto alla
documentazione contenuta nel fascicolo dell’appellato, in quanto l’appellante non
aveva prodotto alcun documento né il fascicolo di primo grado, la Corte ha rilevato che a sostegno delle proprie censure l’Anas aveva richiamato allegati mai prodotti, aggiungendo che, relativamente al ritardo nel pagamento, non era stata dedotta alcuna circostanza idonea ad inficiare quanto osservato dal Giudice di primo
grado in ordine ad una comunicazione della Cassa Edile Salernitana comprovante
la regolarità della posizione contributiva dell’impresa.
3. — Avverso la predetta sentenza l’Anas propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il curatore del fallimento resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., sostenendo che la sentenza impugnata costituisce il frutto di un evidente fraintendimento delle doglianze
da essa sviluppate nell’atto d’appello, che ha condotto la Corte di merito a pronunciarsi su censure diverse da quelle sottoposte al suo esame. Afferma infatti di non
aver manifestato in alcun modo l’intenzione di produrre documentazione nuova,

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missibile la domanda di risarcimento dei danni proposta dal convenuto.

ma di essersi limitata a contestare l’apprezzamento del materiale probatorio compiuto dal Tribunale, il quale non aveva esattamente valutato le risultanze dei certificati di pagamento prodotti nel giudizio di primo grado.

pello, in quanto volti a censurare la valutazione dei documenti prodotti in primo
grado, anziché a far valere elementi risultanti da nuovi documenti, e non attingendo pertanto la ratio decidendi della sentenza impugnata, con cui la Corte di merito
non ha dichiarato affatto inammissibili le censure proposte dall’appellante, ma ne
ha escluso la fondatezza nel merito, rilevando che l’appellante non aveva prodotto
alcun documento né ridepositato il fascicolo di primo grado, e ritenendo insufficienti, ai fini della prova dei fatti dedotti a sostegno dell’opposizione a decreto ingiuntivo, gli elementi risultanti dalla documentazione prodotta dall’appellato.
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione
circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel dare atto del mancato deposito della documentazione prodotta in primo grado, la Corte di merito
non ha considerato che l’allegazione del relativo fascicolo all’atto di appello è necessaria soltanto nel caso in cui esso sia stato ritirato prima dell’impugnazione o
sia stato restituito dalla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata; qualora invece, come nella specie, esso sia rimasto nel fascicolo d’ufficio,
dev’essere trasmesso unitamente a quest’ultimo, a seguito della richiesta ritualmente inoltrata dalla cancelleria del giudice di appello, il quale non può dunque
rigettare la domanda senza verificarne l’acquisizione.
3. — Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un
punto decisivo della controversia, ribadendo che, ai fini della pronuncia sull’impugnazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere in esame la documenta-

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1.1. — Il motivo è inammissibile, riflettendo l’ammissibilità dei motivi di ap-

zione prodotta a sostegno dell’opposizione a decreto ingiuntivo, inserita nel fascicolo di parte da essa depositato all’atto della costituzione in primo grado ed accluso al fascicolo d’ufficio.

circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella
parte in cui ha rigettato i motivi d’appello senza valutarne la fondatezza sulla base
della documentazione prodotta dall’appellato, la quale comprendeva tutti i documenti in base ai quali era stato richiesto e concesso il decreto ingiuntivo.
5. — I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili,
proponendo censure riconducibili all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.,
la cui illustrazione non è accompagnata, come prescritto dal secondo periodo dello
art. 366-bis cod. proc. civ., dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
La ricorrente si limita infatti a denunciare l’omissione, l’insufficienza e la
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla
mancata valutazione della documentazione da essa prodotta in primo grado e di
quella prodotta dalla controparte, astenendosi però dal far precedere o seguire ciascun motivo d’impugnazione da un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto prescritto dal primo periodo dell’art. 366-bis cit. per il caso in cui vengano
fatti valere vizi riconducibili all’art. 360, primo comma, nn. 1-4) idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti delle censure proposte, e ad evitare quindi che la
formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità e fondatezza (cfr. Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2007, n. 20603; Cass.,

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4. — Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione

Sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass., Sez. III, 7 aprile 2008, n. 8897). L’indicazione prescritta dall’art. 366-bis, pur non essendo soggetta a rigidi canoni
formali, postula invece che in una parte del motivo o comunque del ricorso a ciò

argomentazioni svolte a sostegno della censura, il fatto al cui accertamento la
stessa si riferisce e le ragioni che la sorreggono, in modo da consentire di individuare ictu ocu/i la questione sottoposta all’esame del Giudice di legittimità (cfr.
Cass., Sez. III, 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009, n.
4556, cit.). Quest’esigenza non può quindi ritenersi soddisfatta allorquando, come
nella specie, tale individuazione non costituisca oggetto di un’opera di puntualizzazione compiuta dallo stesso ricorrente, ma sia possibile soltanto attraverso la
lettura integrale della complessiva illustrazione del motivo, configurandosi pertanto come il risultato di un’attività interpretativa rimessa al lettore. La necessità del
requisito in questione non può essere d’altronde esclusa alla luce dell’intervenuta
abrogazione dell’art. 366-bis ad opera dell’art. 47, comma primo, lett. d), della
legge n. 69 del 2009, non avendo tale disposizione efficacia retroattiva e dovendo
trovare applicazione la norma transitoria specificamente dettata dall’art. 58, comma quinto, della legge n. 69 cit., secondo cui la nuova disciplina si applica esclusivamente ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a
decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (cfr. Cass., Sez. II,
27 settembre 2010, n. 20323; Cass., Sez. III, 24 marzo 2010, n. 7119).
6. — Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come
dal dispositivo.

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specificamente e riassuntivamente destinata la parte enuclei, dal complesso delle

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna l’A.N.A.S. S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi

generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2014, nella camera di consiglio della Prima
Sezione Civile

compresi Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese

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