Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2159 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.27/01/2017),  n. 2159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 188/2015 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI (OMISSIS) ALDO MORO, ((OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLA LOIZZI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., L.G., LO.PA., M.L.,

A.N., C.A., D.B.M., G.N.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati EUGENIA

D’ALCONZO, NICOLA D’ALCONZO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

PE.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4098/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI del

2/12/2013, depositata il 17/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato GAETANO PRUDENTE per delega dell’Avvocato MARCELLA

LOIZZI, difensore della ricorrente, che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 4098/2013, depositata in data 17 dicembre 2013, la Corte di appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dall’Università degli Studi di (OMISSIS) nei confronti di A.N., Pe.Ro., P.L., M.L., Lo.Pa., L.G., G.N., D.B.M., C.A. e confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto dei ricorrenti, appartenenti al personale universitario non medico ed inquadrati nella ex 7^ qualifica funzionale in qualità di collaboratore tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente qualifica funzionale 9^ del c.c.n.l. Comparto sanità, senza che potesse assumere rilevanza la distinzione operata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università tra personale laureato e personale non laureato, in quanto in contrasto con la volutas legis di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 ed al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e senza che potesse essere attribuita importanza all’effettività delle mansioni svolte (che, si sosteneva, non poteva prescindere dal titolo di studio). Richiamava la Corte territoriale i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 12908/2013 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e conclusivamente riteneva, a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, fondato il diritto delle ricorrenti all’indennità di equiparazione commisurata alla retribuzione spettante alla ex 9^ qualifica funzionale del ruolo sanitario, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di (OMISSIS) affidato a due motivi.

A.N., P.L., M.L., Lo.Pa., L.G., G.N., D.B.M., C.A., A.N., Pe.Ro., P.L., M.L., L.P., L.G., G.N., D.B.M., C.A., resistono con controricorso.

Pe.Ro. è rimasto solo intimato.

Con il primo motivo l’Università denuncia violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, della L. n. 200 del 1974, art. 1, del D.I. 9 novembre 1982, D.M. 31 luglio 1997, art. 6, all. D, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata allegazione di parte istante dell’effettiva parità di mansioni e funzioni quale presupposto indefettibile dell’invocata parità retributiva, anche con riguardo al disposto di cui all’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte territoriale abbia fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 12908/2013 e richiama la difforme decisione di questo stesso giudice di legittimità n. 4418/2012, intervenuta in un contenzioso del tutto analogo a quello oggetto del presente giudizio. In particolare sottolinea la rilevanza attribuita in tale ultima decisione alla parità di mansioni, funzioni e anzianità che assume siano presupposti indefettibili per il riconoscimento all’equiparazione alle figure ospedaliere reclamate. Rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provata per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero). Evidenzia che le corrispondenze previste nel decreto interministeriale del 9/11/1982 e nella allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale.

Con il secondo motivo l’Università denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del c.c.n.l. Comparto sanità 1994/1997, dell’art. 51 c.c.n.l. Computo sanità 1998/2001, rilevando che tali disposizione pattizie avallano la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza.

I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.

Nella specie, i dipendenti hanno chiesto la liquidazione dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, commisurata alla retribuzione spettante alla ex 9^ qualifica del ruolo sanitario, poi transitata nell’unico ruolo dirigenziale (che, come è pacifico tra le parti, ha comportato per i livelli ex 9^, ex 10^ ed ex 11^ un unico trattamento economico dirigenziale, differenziato solo dalla retribuzione di posizione variabile). Tale richiesta è fondata sul fatto che, a termini dell’allegato D al D.I. 9 Novembre 1982, la figura del collaboratore tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e socio-sanitaria della 7^ qualifica funzionalè è equiparata a quella di assistente tecnico (farmacista, biologo, chimico, fisico, psicologo), ex 9^ livello sanitario ai sensi del D.P.R. n. 348 del 1983, art. 37. La tesi contraria dell’Università valorizza il carattere transitorio del D.I. 9 novembre 1982 cit., destinato a perdere efficacia con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986, che ha istituito il ruolo speciale dei personale medico-scientifico e la conseguente ridefinizione delle qualifiche ad opera della contrattazione collettiva. Si contesta da parte dell’odierna ricorrente l’attribuita esclusiva rilevanza all’inquadramento formale previsto dalla tabella, prescindendo da ogni valutazione della effettiva corrispondenza delle funzioni e delle mansioni effettivamente svolte dai dipendenti ovvero delle modalità di accesso alla qualifica (possesso del diploma di laurea).

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 8521 del 2012, hanno già avuto modo di affermare quanto segue: A) la normativa primaria contenuta nel D.P.R. n. 761 del 1979, non recava una disciplina specifica circa i criteri di commisurazione dell’indennità – se non il principio di equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità demandando, piuttosto, ad un decreto che contenesse apposite tabelle tale compito (D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, comma 4); “conclusione obbligata è dunque che la equiparazione è concretamente stabilita nell’allegato D del D.I. 9 novembre 1982″, da considerarsi, con la consolidata giurisprudenza amministrativa, esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità; B) corollario di tale regola è che la corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I. 9 novembre 1982, deve essere detetininata in base all’inquadramento dei personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981; C) rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale suddetto, e precisamente la L. n. 312 dei 1980, art. 85, in base al quale il personale universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a prescindere dal titolo di studio; D) risulta irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola; E) allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.

Quanto all’efficacia temporale di tale assetto normativo in relazione alla sopravvenuta disciplina contrattuale successiva alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazione, questa Corte, ancora a Sezioni unite, sulla base di un analitico esame di tali fonti collettive (cui si rinvia), ha sancito che il D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, ha continuato a trovare applicazione, nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., e che sono state conservate le indennità di perequazione in godimento e le collocazioni in essere (sul punto v. Cass. SS.UU. nn. 6104 e 6105 del 2012).

I suddetti principi sono stati confermati in numerose successive pronunce – si vedano Cass. SS.UU. n. 17928 del 24 luglio 2013; Cass. n. 12908 del 24 maggio 2013; Cass. n. 5325 del 7 marzo 2014; Cass. n. 1078 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 10629 del 22 maggio 2015; Cass. 4 agosto 2015, n. 16350; Cass., Sez. Un., 14799 del 19 luglio 2016.

In particolare, nella decisione a Sezioni unite n. 14799/2016, con riferimento alla questione del mancato possesso del titolo di studio richiesto per l’esercizio delle funzioni correlate alle posizioni lavorative prese a base per l’invocata equiparazione, è stato ribadito che è rilevante e determinante la qualifica riconosciuta presso l’Università e la ricordata tabella di equiparazione (allegato D al D.I. 9 novembre 1982) indipendentemente dal possesso del titolo di studio in parola necessario per la qualifica rivendicata ai fini della concessione dell’indennità di equiparazione (cfr. nel medesimo senso Cass. 16 dicembre 2015, n. 25298 e Cass. 31 agosto 2015, n. 17347 nonchè le già citate Cass., Sez. Un., 17928/2013; Cass. n. 12908/2013; Cass. n. 5325/2014; Cass. n. 1078/2015). Nella medesima decisione è stato altresì rimarcato che lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante solo in quelle controversie nelle quali si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale si pone il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito.

La sentenza impugnata risulta conforme agli indicati principi nè viene in rilievo, nella presente controversia, la questione oggetto della decisione di questa Corte a sezioni unite n. 9279 del 9 maggio 2016, intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 9388 dell’8 maggio 2015 di questa sezione, riguardante il (diverso) problema se la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità debba essere riconosciuta soltanto se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo o alla possibilità di ricoprirlo oppure se sia sufficiente l’equiparazione al livello dirigenziale operata dalla contrattazione collettiva (si veda assolutamente in termini e con riferimento proprio ai collaboratori tecnici appartenenti alla ex 7^ qualifica funzionale del personale universitario equiparata all’ex 9^ livello del personale delle unità sanitarie locali, successivamente transitato nel ruolo unico dirigenziale, la già citata Cass. n. 17347/2015).

Alla luce delle considerazioni che precedono si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.

2 – L’Università ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale l’Università si è limitata a riproporre le ragioni di cui al ricorso ed a sostenere che, con riferimento alle corrispondenze rispetto al livello dirigenziale, andrebbe escluso ogni automatismo ed andrebbero verificate in concreto le mansioni svolte perchè, diversamente, verrebbe compromessa la funzione meramente perequativa dell’indennità in questione, in violazione del principio del giusto trattamento economico ex art. 36 Cost.. Valga, al riguardo, richiamare quanto affermato da questa Corte a Sezioni unite nella già citata sentenza n. 14799/2016: “Lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante (…) solo in quelle controversie nelle quali (…) si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale è stato posto il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito; queste Sezioni unite hanno recentemente ribadito il principio per cui l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (indennità D.M.), riconosciuta dalla L. n. 200 del 1974, art. 1, per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università, deve essere determinata – in caso di equiparazione tra l’originario 8^ livello (ovvero, come nella specie, tra l’originario VII livello) di cui alla L. n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Università) e il 9^ livello, poi divenuto 1^ livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri) – senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (S.U. 9 Maggio 2016, n. 9279)”. Tuttavia tale questione non risulta essere stata mai posta (cfr. sentenza impugnata).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – La complessità della vicenda ed i plurimi interventi di questa Corte anche a Sezioni unite giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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