Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21589 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 22/08/2019), n.21589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8964-2015 proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO

CAMPISI;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1967/2014 del TRIBUNALE di SIRACUSA,

depositata il 25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2019 dal Consigliere Dr. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 25.9.2014, il Tribunale di Siracusa in sede di appello, confermava la sentenza del Giudice di Pace, che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposto da C.A. nei confronti di B.G., avente ad oggetto la condanna della medesima al pagamento di prestazioni veterinarie.

Il giudice d’appello riteneva che il recesso dal contratto, manifestato dalla C. non fosse valido, perchè espresso quando il contratto di prestazione d’opera era già stato concluso con l’affidamento del cane al B., per le cure e gli accertamenti veterinari, e che la prestazione fosse in corso di esecuzione.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso C.A. sulla base di due motivi.

B.G. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., rileva il collegio che il giudizio d’appello proposto dalla C. non poteva essere proseguito e doveva essere dichiarato inammissibile.

Il valore della domanda, proposta dalla C., con ricorso per decreto ingiuntivo, è pari ad Euro 173,23.

Ai sensi dell’art. 113 comma 2, come modificato dal D.L. 8 marzo 2002, n. 18, conv. con modificazioni dalla L. 7 aprile 2000, n. 63, il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede 1.100,00 Euro.

A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, le sentenze del giudice di pace pubblicate a partire dal 3 marzo 2006, pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, richiedono l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339 c.p.c., comma 3, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di radicale assenza della motivazione (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27339).

La delimitazione dell’ambito di applicazione del nuovo art. 339 c.p.c., comma 3 e, quindi dell’appello speciale a critica vincolata, richiede preliminarmente e l’individuazione delle sentenze pronunciate secondo equità. L’art. 339 c.p.c. si riferisce espressamente alle sentenze pronunciate a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, ovvero sulla base della cosiddetta equità necessaria.

L’attuale formulazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3 ha infranto la regola dell’inappellabilità di tali sentenze, introducendo una sorta di “appello speciale cassatorio”, in relazione a tre motivi specifici di impugnazione: “violazione delle norme del procedimento, violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

L’intenzione del legislatore è stata quella di limitare il controllo del giudice di secondo grado ai soli profili di diritto della decisione resa dal giudice di pace, con una differenza a seconda che si tratti di norme sul procedimento o di norme sostanziali: mentre la violazione delle prime può senz’altro essere dedotta in appello, la violazione delle seconde può essere dedotta solo nelle ipotesi previste dalla legge.

L’elenco dei motivi d’appello contenuto nell’art. 339 c.p.c., comma 3 ha carattere tassativo, sicchè la proposizione dell’appello avverso le sentenze d’equità, per uno dei motivi non ricompresi tra quelli ammessi, comporta la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

L’inammissibilità dell’appello, attenendo ai presupposti dell’impugnazione, è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità.

Nella specie, i motivi d’appello proposti dalla C. avverso la sentenza del Giudice di Pace riguardavano “l’erronea valutazione delle prove in merito alla fondatezza della domanda” e “l’insufficiente motivazione su un punto fondamentale della controversia”.

Nessuno dei due motivi, trascritti integralmente nel ricorso per cassazione, riguarda la “violazione delle norme del procedimento, violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

Ha, pertanto, errato il Tribunale a non procedere alla declaratoria di inammissibilità dell’appello.

E’ pacifico che l’inammissibilità dell’appello, attenendo ai presupposti dell’impugnazione, sia rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.

Tanto in ossequio al principio consolidato, secondo cui la Corte di cassazione può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello che il giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (Cassazione civile sez. II, 19/10/2018, n. 26525; Cass. Civ., n. 16863 del 2017; Cass. Civ., n. 21523 del 2016; Cass. Civ., n. 15019 del 2016).

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata senza rinvio e, in applicazione dell’art. 382 c.p.c., l’appello va dichiarato inammissibile.

Le spese di lite del giudizio d’appello seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il B. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata perchè il giudizio di appello non poteva essere proseguito e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di appello che liquida in complessivi Euro 220,00 oltre spese generali pari al 15%, Iva e cap come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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