Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21585 del 28/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/07/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 28/07/2021), n.21585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETIC Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4290-2020 proposto da:

K.A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCA CAMPOSTRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 7/2020 del TRIBUNALE di VENEZIA,

depositato il 02/01/2020 R.G.N. 4283/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Venezia con decreto pubblicato il 2.1.2020, ha respinto il ricorso proposto da K.A.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente – fuggito dal proprio Paese a seguito di una infondata denuncia di partecipazione ad una rissa e della distruzione del suo negozio di alimentari da parte di famiglie del villaggio vicino, che lo avevano altresì minacciato di morte – non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, né di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale né lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) il racconto del richiedente non è credibile in quanto generico (quanto all’episodio della rissa nonché ai motivi in base ai quali le famiglie del villaggio limitrofo lo avrebbero minacciato di morte), non plausibile (quanto al ricorso alla polizia locale tramite il padre e non personalmente), contraddittorio (quanto alla denuncia del padre, presentata parecchi mesi dopo l’accaduto, con indicazione della data della rissa e delle modalità di accadimento diversa da quella riportata dal richiedente, e con l’aggiunta dell’indicazione dell’espatrio in Italia del figlio nonostante ciò non si fosse ancora realizzato);

c) le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, tanto più che in (OMISSIS) non vì sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato e dalle fonti informative (Rapporto EASO 2017, rapporto Amnesty International 2017-2018) le condizioni di generali sicurezza appaiono meno critiche di altri paesi del continente africano, sussistendo episodi di violenza eminentemente nei confronti di figure che rivendicano una libertà di pensiero;

d) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perché non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e lo svolgimento di alcuni lavori di breve durata (bracciante agricolo) non è indice sufficiente di integrazione;

3. il ricorso di K.A.A. chiede la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, avendo, il Tribunale, trascurato di effettuare una rigorosa applicazione degli indici legali di affidabilità, avendo omesso di valutare le fonti internazionali per acquisire informazioni generali sul contesto di origine in modo esauriente e non parziale;

2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1 e art. 14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 avendo, il Tribunale, escluso il pericolo concreto per il ricorrente di essere sottoposto, con riguardo all’art. 14, lett. b), a trattamenti inumani solo in ragione della sua presunta inattendibilità e trascurato che lo stesso corre il rischio di un grave danno alla persona da parte di coloro che gli hanno distrutto il negozio, senza contare che dai rapporti internazionali citati dallo stesso Tribunale emerge una situazione di violenza indiscriminata;

3. con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., nullità del provvedimento per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3bis, art. 32, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del D.P.R. n. 394 del 1999, arttt. 11 e 28 con riguardo alla protezione umanitaria, avendo, il Tribunale, trascurato di valutare la giovane età del ricorrente ed i trattamenti disumani subiti in LIbia;

4. i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono inammissibili;

5. va rilevato che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poiché incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716);

6. peraltro, il giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso con riguardo all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016);

7. in ogni caso, qualora il giudice di merito giudichi inattendibili le dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale in ottemperanza ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice cui esso è devoluto e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);

8. nella specie, lungi dall’introdurre una censura motivazionale conforme all’attuale canone dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in termini di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, il ricorrente denuncia, fra l’altro in gran parte in modo non pertinente (utilizzando argomentazioni generiche e stereotipate), una insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio difforme da quella effettuata dal Giudice di merito e ampiamente motivata, sia con riguardo ai riscontri di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni concernenti la vicenda personale del richiedente sia con riguardo alle fonti internazionali, specifiche ed aggiornate, consultate ai fini della ricostruzione della situazione del Paese di provenienza;

9. infine, in ricorso si trascura di considerare che – per l’insegnamento delle Sezioni unite nn. 29459 e 29460 del 2019 – il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto per il solo livello di integrazione in Italia del richiedente, dovendo essere effettuata una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento sia al paese di origine (in relazione al quale il Tribunale ha escluso la credibilità) sia alla situazione di integrazione raggiunta in Italia; il giudice di merito ha espressamente esaminato gli elementi forniti dal richiedente (riferimenti familiari nel Paese di origine e attività lavorativa; insufficiente integrazione sociale e lavorativa in Italia, salvo brevi contratti di lavoro) e non ha ravvisato una condizione di “vulnerabilità” tutelabile, ritenendo, d’un canto, insussistente un pericolo di persecuzione o sottoposizione a trattamenti umanitari o degradanti, e, d’altro canto, carente l’integrazione nel territorio italiano;

10. in conclusione, il ricorso è inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;

11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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