Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21582 del 22/08/2019

Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 22/08/2019), n.21582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Marina Giannini,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Gracchi,

n. 84;

– ricorrente –

contro

LO.Me.; LO.Ma.; R.G.; A.G.;

P.P.; O.G.; P.A.; PO.No.;

LE.Ce.; F.L.; G.G.; LU.Ve.;

R.G.; P.M.G.; D.V.; A.A.;

M.A.; M.A.; V.A.M.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n.

3166/2014, pubblicata in data 14 maggio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 maggio 2019 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La controversia veniva promossa, con atto di citazione notificato il 4 marzo 1983, dinanzi al Tribunale di Roma da O.G. e altri contro la società Capitolina a r.l., lo.ma., C.C. ved. Lo., Lo.Me. e Lo.Ma., nella qualità di eredi di Lo.Ar., e L.A..

Con patto d’obbligo del 16 febbraio 1968 la società Capitolina si era impegnata a destinare ad area di parcheggio una superficie di mq. 523,75; con atto di compravendita del 23 dicembre 1968 detta società trasferiva ad Lo.Ar. gli appartamenti di cui alla scala B con annessa autorimessa al piano interrato e a Lo.Ma. la proprietà dei restanti appartamenti; Lo.Ar. vendeva ad L.A. il locale autorimessa distinto con il n. 2 e il locale autorimessa con il n. 3; con successivi atti Lo.Ar. e Lo.Ma. trasferivano la proprietà dei singoli appartamenti agli attori.

Il Tribunale di Roma, a seguito della rimessione della causa dalla Corte d’appello ex art. 354 c.p.c., per difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, con sentenza n. 17041 del 2001, non definitivamente pronunciando, così provvedeva: dichiarava che la società costruttrice si era impegnata irrevocabilmente e definitivamente a destinare e mantenere permanentemente a parcheggio la superficie asservita; dichiarava nullo l’atto con cui la società costruttrice aveva venduto ad Lo.Ar. un’autorimessa privata al piano interrato con un piccolo cortiletto di servizio e accessorio a confine da tutti i lati con terrapieno; dichiarava di conseguenza nullo in parte l’atto con cui Lo.Ar. aveva venduto ad L.A. i locali ad uso autorimessa privata siti al piano interrato e distinti con il n. 2 e il n. 3; dichiarava fondata l’azione degli attori tesa a ottenere uno spazio su cui esercitare in modo esclusivo e permanente il diritto di parcheggio come riconosciuto dal legislatore; dichiarava che il bene sul quale gli attori dovevano esercitare il diritto di parcheggio andava individuato nei due locali venduti da Lo.Ar. ad L.A. e precisamente nel locale ad uso autorimessa privata sito al piano interrato, distinto con il n. 2, confinante con il garage della palazzina A, nonchè nel locale a uso autorimessa privata sito al piano interrato, distinto con il n. 3, confinante con il locale caldaia; dichiarava che si doveva procedere con separata sentenza a indicare la consistenza del bene da asservire, individuare la posizione dei luoghi, indicare i lavori da eseguire, stabilire le modalità di uso, quantificare i danni patiti da L.A. da porre a carico degli eredi del dante causa, provvedere alla liquidazione delle spese; ordinava altresì l’estromissione di Lo.Ma. e compensava le spese nei suoi confronti, rimettendo con ordinanza la causa sul ruolo per l’istruttoria.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 33031 del 2004, definitivamente pronunciando, accertava che l’area da adibire all’uso di parcheggio per gli attori era di mq. 215,82 e per l’effetto condannava L.A. al rilascio dell’area, nonchè all’esecuzione dei lavori specificati dal c.t.u. e ritenuti necessari per l’adattamento dell’area all’uso, oltre che al pagamento delle spese di lite in favore della parte attrice, accoglieva la domanda di risarcimento dei danni proposta dal L. nei confronti degli eredi di Lo.Ar. e per l’effetto condannava Lo.Me. e Lo.Ma. al pagamento della somma di Euro 258.958, oltre rivalutazione e interessi legali, compensando le spese di lite tra di loro, mentre condannava questi ultimi a rivalere il L. delle spese di giudizio e di c.t.u. alle quali era stato condannato, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della C., nonchè rigettava la domanda di manleva proposta dagli eredi di Lo.Ar. nei confronti della società Capitolina e rigettava le restanti domande.

2. – Pronunciando sull’appello principale di Lo.Me. e Lo.Ma. e sull’appello incidentale di L.A., la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 14 maggio 2014, in parziale riforma della sentenza definitiva, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dal L., ha confermato nel resto le sentenze gravate come in parte motiva e ha compensato tra le parti costituite le spese del giudizio.

Per quanto qui ancora rileva, la Corte distrettuale:

– ha rigettato la doglianza del L. secondo cui agli attori avrebbe dovuto essere riconosciuta solo una tutela risarcitoria e non un diritto reale d’uso;

– ha escluso la sussistenza del diritto al risarcimento in favore del L., conoscendo costui, successivo acquirente, l’entità del suo acquisto e dunque il vincolo di destinazione d’uso;

– ha affermato che l’asservimento dell’area deve ritenersi limitato al solo diritto d’uso in proporzione fatto valere dagli attori e che con riguardo all’uso dei soli attori ha pronunciato il Tribunale con la sentenza gravata;

– ha rilevato che nessuna domanda di quantificazione del corrispettivo per il diritto d’uso è stata proposta dal L..

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello L.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 28-30 giugno 2015, sulla base di tre motivi.

Nessuno degli intimati ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, come introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, nonchè degli artt. 817,818,871,872,1374,1418,1419 e 2058 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente censura che la sentenza impugnata abbia confermato il riconoscimento di un diritto reale di destinazione d’uso ai resistenti condomini e non già una tutela risarcitoria (da imputare a Lo.Me. e a Lo.Ma.), stante, ab origine, la mancata realizzazione delle aree di parcheggio da parte del costruttore.

1.1. – La censura è infondata.

E’ bensì esatto, rispondendo ad un principio più volte affermato da questa Corte regolatrice (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202; Cass., Sez. II, 25 maggio 2017, n. 13210), che, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione; ove lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato, invece, utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto ma, eventualmente, a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso ed il riconoscimento giudiziale del diritto reale d’uso degli spazi destinati a parcheggio può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione.

Sennonchè da tale principio deriva che la configurabilità della sola tutela risarcitoria si ha quando lo spazio vincolato, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura.

Ma non è questa la situazione che la Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale, ha accertato, essendo risultato, alla luce delle emergenze tecniche, che la proprietà L. con la destinazione di autorimessa è localizzata all’interno della superficie destinata inderogabilmente a parcheggio (“l’area destinata a parcheggio di proprietà del L. indicata dal consulente in mq 215,82 è l’area sulla quale grava per legge il diritto d’uso”).

Il ricorrente sostiene che non sarebbe questa la situazione di fatto, che sarebbe invece caratterizzata dalla assenza assoluta di spazi da riservare ad area di parcheggio comune, per non averli il costruttore mai individuati o realizzati e per non essere il vincolo pertinenziale mai venuto ad esistenza.

In tal modo il ricorrente, pur denunciando violazione e falsa applicazione di norme di legge, muove dalla deduzione di una situazione di fatto (la mancata realizzazione delle aree di parcheggio da parte del costruttore) che non risulta dal testo della sentenza impugnata, finendo così per addebitare alla sentenza impugnata un vizio nella ricostruzione stessa del fatto rilevante, non censurato sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1476,1483,1218 e 1223 c.c., omesso esame delle tesi giuridiche prospettate, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia rigettato la domanda di risarcimento proposta, sul rilievo che l’acquirente L. non poteva non essere a conoscenza del vincolo di destinazione gravante sull’area. Così decidendo, il giudice di secondo grado – si sostiene oltre a fare un uso scorretto della regola di diritto, avrebbe altresì omesso di leggere il regolamento contrattuale di condominio che nessuna menzione fa circa l’area in questione. Anche nel contratto di compravendita intervenuto tra Lo.Ar. e il L. non vi sarebbe alcuna menzione circa il vincolo di destinazione gravante sull’area. La vicenda andrebbe ricompresa nell’alveo della garanzia per evizione, totale o parziale, della cosa venduta.

2.1. – La censura è priva di fondamento.

La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio di diritto secondo cui il diritto reale d’uso di aree destinate a parcheggio, quale limite legale della proprietà del bene, deriva da norme imperative assistite, come tali, da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sì che il vincolo da esse imposto non può legittimamente qualificarsi come onere non apparente gravante sull’immobile secondo la previsione dell’art. 1489 c.c., e non è, conseguentemente, invocabile dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non lo abbia dichiarato nel contratto (Cass., Sez. II, 18 aprile 2000, n. 4977).

3. – Il terzo motivo è rubricato “omesso esame circa circostanze decisive per il giudizio (punti 4-5-6 oggetto della comparsa di costituzione in appello), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″. Con esso il ricorrente si duole che, a causa del rigetto della domanda di risarcimento dei danni, il giudice di secondo grado abbia totalmente omesso di prendere in esame e pronunciare sui punti 4), 5) e 6) (pagg. da 11 a 18) della comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale, attinenti:

il punto 4), all’erronea valutazione del c.t.u. in merito all’esatta consistenza del bene da asservire a parcheggio. Vizio di ultra-petizione e di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia”;

il punto 5), all’erronea indicazione dei lavori da eseguire, onde consentire il buon diritto degli attori senza offendere e limitare oltre naturale misura quello del sig. L.”;

il punto 6), all’erronea quantificazione dei danni patiti dal sig. L. da porre a carico degli eredi del suo dante causa”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Esso infatti, pur denunciando l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine a tre motivi di gravame incidentale, non riconduce la censura nè alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., nè reca univoco riferimento alla nullità della decisione derivante da tale omissione.

La doglianza – dedotta esclusivamente sotto il profilo dell’omesso esame di circostanze decisive e della violazione e falsa applicazione di legge – non può pertanto trovare ingresso, secondo quanto già stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., Sez. H, 7 maggio 2018, n. 10862).

4. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati

svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2019

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